
Ovvero delle Famiglie
Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili
di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti
alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate
chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che
abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia.
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Famiglia de Monaco |
Arma: d'oro, al grifone di rosso, col capo d'oro a
quattro pali di rosso. |

Stemma famiglia de Monaco |
La nobiltà generosa del casato “de Monaco” fu accertata
al momento dell’ammissione di Palmerindo nella Compagnia
delle Reali guardie del corpo a cavallo di Sua Maesta’
il Re delle due Sicilie
(1). |
Per vero, per essere ricevuti nella Compagnia, era
necessario provare la nobiltà generosa dei 4 avi e non
soltanto della famiglia paterna, cosa che fu fatta
poiché gli avi paterni e materni del Palmerindo
appartenevano alle nobili famiglie dei
Rossi di San Secondo,
dei Buccino e dei
Grimaldi
di Seminara dei principi di Monaco.
Purtroppo, a causa dei bombardamenti della seconda
guerra mondiale, anche gli incartamenti con i processi
di ammissione alla Compagnia delle Reali guardie del
corpo sono andati perduti, per cui non e’ dato conoscere
la storia araldico-nobiliare della famiglia de Monaco,
per come sarebbe stato possibile delinearla
perfettamente sol che si fossero potuti avere i relativi
documenti.

Guardia del Corpo
- 1851 |
Pertanto si riporteranno le notizie che emergono dalle
scarse informazioni che e’ stato possibile reperire
negli archivi che si sono salvati.
Palmerindo, nato il 23 giugno 1837, muore ad Alessandria
d’Egitto il 7 settembre 1897.
Egli aveva un fratello - Giuseppe - e due
sorelle: Filomena (sposata a don Pietro Cacchione
di Sant’Elia Fiumerapido
(2)
rimasta vedova giovanissima senza figli) e Giulia
(sposata De Peruta, ebbe due figlie
(3)
). |
Palmerindo, Giuseppe, Filomena e Giulia
erano figli del nobile Gennaro e di Angelica
Buccino Grimaldi.
Giuseppe nacque nel 1841, sposò Letizia
Cavalcanti
dei Marchesi di Verbicaro. Fu ammesso alla Facoltà di
Giurisprudenza di Napoli il 29 agosto 1860 a 19 anni.
Ebbe due figli morti in tenera età. Fu insigne Avvocato
e imprenditore agricolo.
Giuseppe de Monaco fu un vero principe del Foro e
curava gli interessi delle principali famiglie
napoletane.
Le “Allegazioni”, raccolta di importanti cause civili
dallo stesso patrocinate a tutela di interessi di
antiche e note famiglie napoletane, sono state lasciate
al nipote Gennaro che le donò a sua volta alle
sorelle Maria Sofia e Angelina. Negli anni
cinquanta la nipote Angelina Jucci de Monaco lasciò i
volumi in suo possesso alla Biblioteca dei Francescani
di Santa Maria La Nova di Napoli. Negli anni ottanta, la
pronipote Anna Giannattasio Palmieri (figlia di Maria
Sofia), preoccupata che la biblioteca di famiglia
potesse andare dispersa, ne fece donazione alla
Biblioteca dei Gerolomini in Napoli. |

Napoli, Biblioteca dei
Gerolomini |
Con esperienza e lungimiranza Giuseppe de Monaco
modernizzò le aziende agricole possedute nel cassinate e
nel napoletano (Marano, Madona dell’Arco,
Sant’Anastasia) ricevendo riconoscimenti e premi.
L’ultimo gli fu conferito dal Ministero dell’Agricoltura
nel 1889 per il frutteto piantato nel territorio di
Pignataro Interamna (cfr. Bollettino di notizie agrarie
del Ministero di Agricoltura, industria e commercio –
anno XII – maggio 1890, n. 24).
Rimasto vedovo, si preoccupò dell’educazione dei figli
del fratello Palmerindo, orfani di ambedue i
genitori. Morì a Napoli il 21 aprile 1921.
Il suo testamento da' conto delle notevoli proprietà
immobiliari ed agricole possedute che egli aveva
ricomprato dopo che il fratello maggiore Palmerindo,
caduto in rovina per essere stato corrispondente dei
Rothschild a Napoli ed avere subito incagli, le aveva
alienate per fare fronte alle perdite subite.
Il primogenito Palmerindo, nato il 23 giugno
1837, fu ammesso nel 1857 nella Compagnia delle Reali
Guardie del Corpo; sposa Natalia dei marchesi Anselmi da
cui avrà numerosa prole e morirà ad Alessandria d’Egitto
il 7 settembre 1897.

Don Palmerindo De
Monaco, figlio del nobile don Gennaro e di donna
Angelica Buccino Grimaldi,
in divisa da alfiere a cavallo delle reali
guardie del corpo di Sua Maestà. |
La sua, sarà una vita intensa ma sfortunata. Quale Reale
Guardia del Corpo, sarà a
Gaeta durante il
lungo assedio (12 settembre 1860 – 15
febbraio 1861)
(4).
Raggiungerà, quindi, Roma dove
continuerà a prestare servizio presso il Sovrano ancora
per alcuni anni. A Roma, si unirà a quel folto gruppo
(vedi "La
primula rossa") gravitante intorno alla Corte
formato da gran parte della nobiltà legittimista
partenopea, tutta impegnata in piani strategici più o
meno fantasiosi nell’illusione di riconquistare il
Regno. Rientrato a Napoli, cerca di reinserirsi in un
contesto sociale non certo benevolo verso chi aveva
dimostrato fino all’ultimo fedeltà alla deposta
Dinastia. Si improvvisa, quindi, banchiere ed opera
all’ombra dei Rothschild nei territori dei suoi avi,
scelta questa quanto mai avventata che condizionerà
tutta la sua vita; a seguito di operazioni non andate a
buon fine a cui si aggiunse la fiducia mal riposta in
alcuni collaboratori, si troverà, infatti, coinvolto in
un crac finanziario da cui non si risolleverà più. Per
tenere fede agli impegni assunti e per salvare l’onore
della casata, cercò di ripianare le perdite con
interventi drastici i cui effetti si ripercuoteranno
sull’intera famiglia: del notevole patrimonio non solo
immobiliare, infatti, nulla resterà nella disponibilità
dei figli. Fortunatamente gran parte dello stesso
patrimonio fu riacquistato dal fratello Giuseppe.
Nel 1877 fu Console Generale del Cile(5). La data precisa (7 settembre 1897) ed
il luogo della morte (Alessandria d’Egitto) è riportata
nell’opera del Selvaggi “Nomi e volti di un esercito
dimenticato - Gli ufficiali dell’esercito napoletano del
1860/61”. |
Il padre di Palmerindo, Giuseppe e
Filomena si chiamava Gennaro e nacque nel 1804.
Iniziò gli studi di diritto molto tardi e si laureò il
27 novembre 1848. Egli, come già ricordato, sposò la
nobile Angelica Buccino Grimaldi
(6). Uno studio sulla famiglia Buccino
fatto dal Conte Don Antonio
Caracciolo di
Torchiarolo, pubblicato nel 1951 sulla
Rivista araldica, riporta il matrimonio di Angelica con
il “nobile Gennaro de Monaco” e l'ammissione della
famiglia Buccino nelle Guardie del Corpo di S. M. il Re
di Napoli “come quarto del nobile Palmerindo de Monaco”.
Gennaro de Monaco era figlio di Giuseppe e Anna
Rossi, discendente della nobile famiglia dei de Rossi
originaria di Pistoia, imparentatasi a Napoli con i
Gambacorta. |

Ritratto del nobile don
Gennaro de Monaco, figlio di don Giuseppe e di donna
Anna Rossi di San Secondo |
Nel 1500 Beatrice Gambacorta sposò il
conte Giovanbattista Caracciolo, capostipite dei
principi di Avellino, mentre la cugina Lucrezia sposò
Giovanni de Rossi, Patrizio pistoiese, dai quali
nacquero sette figli, tra cui Porzia, madre di
Torquato Tasso.
In tal modo le due famiglie, Caracciolo e de Rossi,
furono comproprietarie ed andarono ad abitare nel
Palazzo, ora in Largo Avellino, originariamente della
famiglia Gambacorta ed oggi denominato “Palazzo
Caracciolo”, nel quale, peraltro nacquero e vissero in
gioventù i figli di Palmerindo.
Anna Rossi, sposa di Giuseppe de Monaco,
discendeva appunto da uno dei fratelli di Porzia,
Jacopo.
Altri fratelli di Porzia e Jacopo erano Fabio, Cesare,
Scipione, poi abate di S. Maria della Valle di Giosafa,
e Anton Maria. Vi era poi un’altra sorella che andò
sposa, in successive nozze, a Lelio dell'Antoglietta,
Onofrio
Correale
e Giovan Battista
Carafa.
Il dottore utroque jure Giuseppe de Monaco era figlio di
Palmerino (seniore), nato quest'ultimo nel 1745 e morto
nel 1823, e alla morte di quest'ultimo, riuscì a
riappacificare la famiglia che era andata incontro a
controversie per la divisione dell'ingentissimo
patrimonio del padre, divise equamente i beni e si
trasferì a Napoli giurando che non sarebbe più ritornato
nei luoghi aviti.
Fratelli di Giuseppe de Monaco erano:
Benedetto, figlio primogenito di Palmerino, nato
nel 1773, che ricopri' la carica di secondo sindaco del
comune di Pignataro nel 1814 e fino al 1815 e poi dal
1826 al 1831 (quinto Sindaco della città). Figlio di
Benedetto fu Domenico, nato nel 1807, nono
sindaco di Pignataro dal 1847. Egli mori' in carica il
21 gennaio 1852.
Giovanni, domiciliato a San Germano.
Raffaele, prete.
Maria sposata con Giovanni Pietropaolo, di
Pignataro.
Elisabetta domiciliata a Pico.
Palmerino de Monaco (seniore) e gli altri fratelli erano
figli di Giovanni.
La famiglia de Monaco è dunque originaria di Pignataro
Interamna e di Cassino. I documenti sulla famiglia sono
andati perduti negli anni '40. Il Comune e quelli
limitrofi, tra cui Cassino, infatti, nonché gli altri
centri del Cassinate furono rasi al suolo durante la
seconda guerra mondiale. Non si salvò nulla di ciò che
era custodito negli archivi comunali, nelle canoniche
così come tutto ciò che era conservato nei palazzi di
proprietà della famiglia.
I più anziani di questi luoghi, tuttavia, ricordano
ancora quanto veniva loro raccontato: sin dai tempi
immemorabili la famiglia de Monaco era nota per essere
la più nobile e ricca della zona. I possedimenti si
estendevano nel territorio di Pignataro Interamna, s.
Apollinare, s. Angelo in Theodice, Piumarola,
Pisciariello, Marchesella.
Rinomate erano le “valcherie” (industrie cartiere)
possedute nel Comune di Cassino confinanti con i
possedimenti della Badia di Montecassino. Queste ultime
sono ben identificate in una planimetria dell'epoca
(7).
Esemplificativo della ricchezza della famiglia
l’acquisto di due mulini appartenenti all’Abbazia di
Montecassino. |
Nel 1806 i
Francesi
occuparono il Regno di Napoli, abolirono il feudalesimo,
soppressero gli ordini religiosi e ne confiscarono i
beni. Anche Montecassino venne coinvolta dal ciclone e i
suoi beni furono venduti all’asta dal governo, fra
questi anche i mulini che il monastero aveva in Cassino.
I due mulini che erano fittati a Luigi
Bologna
per 1.400 tomoli di grano – pari a 2.800 ducati –
vennero messi all’asta il 28 dicembre 1807; l’asta si
concluse con l’aggiudicazione a Carlo De Filippis per
70.000 ducati.
Il 12 febbraio 1808 il De Filippis, ancora prima di
perfezionare l’acquisto con il demanio, cedette i due
mulini a Palmerino Monaco di Pignataro Interamna
– allora chiamata Pignataro di San Germano – il quale
chiese ed ottenne dalla direzione del demanio che
venisse apprestata una planimetria dei mulini ed
accuratamente precisati tutti i diritti connessi:
descrizione degli stessi, corso del fiume, canali,
costruzioni, ecc.
Il primo mulino, chiamato della Porta degli Abruzzi, si
trovava nei pressi del convento di San Domenico (presso
l’attuale carcere giudiziario) ed era alimentato dalle
acque del fiume Majuri, che poi proseguendo per un
canale, arrivavano anche al secondo mulino.
Il canale giungeva al secondo mulino – il mulino di
Porta Napoli - che aveva ugualmente due coppie di
macine, con le stesse funzioni del primo.
Versata la prima rata il 14 marzo 1808, il giorno 27
dello stesso mese Palmerino Monaco venne immesso nel
possesso dei mulini dal ricevitore del demanio per il
distretto di Sora – di nome Manente – ma residente in
Arpino, il quale inviò al signor
Torre di
Cassino un bando, oggi diremmo manifesto, da affiggersi
in città, in modo che tutti, a cominciare
dall’affittuario dei mulini, venissero a conoscenza del
nuovo possessore.
Seguirono gli altri versamenti, fino al completo
pagamento del prezzo dei due opifici.
Saldati i pagamenti, il 2 febbraio 1809 si procedette
alla stipulazione dell’atto notarile in Napoli, nella
sede dell’intendenza di finanza, dinanzi al notaio
Emmanuele
Caputo,
dove il compratore Palmerino Monaco fu rappresentato dal
figlio Giuseppe Monaco, residente in Napoli e
qualificatosi dottore, che sottoscrisse l’atto in
rappresentanza del padre. Alla stipula presero parte
anche tre testimoni, i rappresentanti del governo ed un
giudice ai contratti.
Giuseppe Monaco era U.J.D. (Utroque jure doctor o
utriusque juris doctor) dottore in diritto civile e
canonico, quest’ultimo fino a tutto il 1700 molto
praticato.
I due mulini, con tutte le pertinenze costituite
soprattutto dai canali, vennero venduti liberi e franchi
da ogni peso, ipoteca, ecc., dove fra i primi vennero
esclusi espressamente i legati per messe, per altre
opere pie, ecc.
Palmerino Monaco, dopo il Congresso di Vienna e la fine
dell’era napoleonica, con il conseguente ritorno ai
monaci del loro patrimonio, entrò in rapporto di affari
con l’Abbazia. Ed alla Masseria Tartari, ricadente nel
territorio del castello di Piumarola, esiste ancora una
casa, salvatasi dall’ultima guerra, nel cui atrio del
secondo piano è murata una statua, che gli abitanti del
posto attribuiscono proprio a Palmerino Monaco, il quale
dovrebbe essere scomparso nel 1825, in quanto dall’anno
seguente il conto appare intestato ai suoi eredi
(8).
Nessuna notizia si ha di Giovanni Monaco (o de
Monaco), padre di Palmerino, tranne quella che egli
viene identificato in una antica pianta dell'epoca come
proprietario, nella seconda metà del 1700, di una
valcheria e di alcuni Molini confinanti con i
possedimenti dell'Abbazia di Montecassino.
Il palazzo de Monaco era a Cassino in via Rapido e
confinava con la Chiesa di San Rocco e la piazza
principe Amedeo. |
In una stanza del palazzo avito di Cassino, la cui
costruzione risaliva ai primi anni del 700 e dove forse
Palmerino e la sua numerosa prole erano vissuti, erano
custoditi antichi documenti di famiglia, incartamenti
andati distrutti durante la 2^ guerra mondiale quando il
palazzo è stato raso al suolo. |
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Da Palmerindo de Monaco e Natalia Anselmi nascono:
- Gennaro, Avvocato e pubblicista, Capo divisione
al Ministero di Grazia e Giustizia e Capo di Gabinetto
del Ministro, che morì scapolo a Napoli il 28 aprile
1924
(9).
- Domenico, ingegnere, che lavorò molto in Italia
ed all’estero. Agli inizi del XX secolo era in America
Centrale ed in America Latina impegnato nella
progettazione e direzione di lavori; sposò Irene
Siraminò di Smirne. Elesse domicilio a Roma e rientrò a
Napoli nel 1927 dove morì il 13 gennaio 1929 senza
lasciare eredi;
- Maria Sofia (nata il 26 aprile 1870, morta il
30 gennaio 1945) che sposo' l’avvocato Luigi
Giannattasio (nato 5 ottobre 1862, morto 17 gennaio
1930).
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Dal matrimonio nacque il 17 dicembre
1913 la figlia Anna, che sposo' il 3 gennaio
1934 l’ingegnere Giuseppe Alberto Palmieri,
▪ da cui Raffaele; |
- Emilia, nata il 7/11/1874,
sposa il dott. Michele
Landolfi,
magistrato. Muore a Palermo il 12 maggio 1958. Dei
figli:
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- Teresa sposa Francesco De Blasi,
Funzionario del Banco di Sicilia, senza eredi;
- Maria, (nata nel 1901 e laureata in Lettere)
sposa Marco Modica, Professore universitario da
cui
▪ Ugo, sposato con Maria Letizia Epifanio
(dottoressa in Lettere)
- Filomena, rimarrà nubile.
- Livia sposa il dott. Francesco Coppola,
Dirigente del Banco di Sicilia da cui
▪ Rosalia sposata con il dottore Antonino
Martinez
▪ Emilia sposata con il dottore Domenico
Pasqualino di Marineo
▪ Gabriella sposata con il dottore Giovanni
Romano Gallegra,
▪ Antonio, sp. e poi div. da Dora di Quattro. |
- Angelina sposo' l’avvocato
Aurelio Jucci di Cassino. Mori' in Napoli il 22 novembre
1956 senza eredi;
- Natalia sposo' l’ingegnere Carlo Forte. Mori' a
Napoli il 30 dicembre 1962. Ebbe parecchi figli dei
quali solo cinque superarono la maggiore età. |
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-
Oreste morì scapolo;
- Nicola sposo' Maria Rosaria Stile. Figli:
▪ Carlo
▪ Bruno, arcivescovo di Chieti,
▪ Natalia, vedova da moltissimi anni,
▪ Mario politico Dc che è stato eurodeputato e
sindaco di Napoli,
▪ Franco, ingegnere,
▪ Ennio, docente universitario in materie
connesse alla circolazione viaria,
▪ Fabrizio, magistrato in pensione
▪ Ida deceduta da moltissimi anni.
- Anna ha sposato il dottore Giuseppe Santucci,
generale medico;
- Assunta ha sposato il dottor Francesco
Iervolino, dirigente del Credito Agrario del
Banco e
- Maria Antonietta ha sposato Giuseppe
Massarotti, Generale dell’Esercito. |
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______________
Note:
(1) -
Bonazzi F.,
“Elenco delle famiglie riconosciute nobili dalla Reale
Commissione dei titoli di Nobiltà nel Regno delle due
Sicilie ad occasione delle prove di ammissione nelle
Reali Guardie del Corpo”, Napoli, Tipografia l’Unione,
1886, pag. 62.
(2) -
La famiglia Cacchione e’ una famiglia di
grossi proprietari terrieri e di imprenditori. A don
Elia Cacchione, padre di don Pietro, fin dai primi
dell’800 appartiene un importante lanificio.
(3) -
Bianca che sposa Giuseppe Giglio e Maria
sposata Ragucci.
(4) - Nominato Alfiere l’11
luglio 1859 sarà fra i 17 Alfieri che seguiranno il Re a
Gaeta (cfr. pag. 15 del “Ruolo dei Generali ed
Uffizziali Attivi e Sedentari del Reale Esercito e
dell’Armata di mare di Sua Maestà il Re” – Napoli Reale
Tipografia Militare 1860). In questo volume i nomi degli
ufficiali che seguirono il Sovrano sono indicati in
verde.
(5) - L’incarico di
rappresentare la Repubblica cilena non era, certamente,
di poco conto; Palmerindo doveva essere in quegli anni
all’apice dell’attività professionale e dobbiamo
ritenere che intrattenesse anche rapporti di notevole
rilevanza con personaggi dei paesi dell’area
dell’America centromeridionale e non solo. A quei tempi
Napoli era, infatti, una delle città europee più attive
in campo culturale, commerciale e finanziario; il porto
movimentava un notevole flusso di uomini e merci verso
il nuovo mondo. La concessione formale dell’Exequatur da
parte del Sovrano è pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale
del Regno di Italia n. 283 del 4 dicembre 1877.
(6) - Palmerindo era figlio
di Gennaro e di Angelica Buccino Grimaldi.
Angelica era figlia di Pietro Antonio Buccino e di
Porzia Grimaldi.
Porzia Grimaldi era figlia del Marchese Francescantonio
Grimaldi di Seminara dei principi di Monaco.
Da Pietro Antonio Buccino e da Porzia Grimaldi nacquero
14 figli molti dei quali morirono in tenera età.
Dei figli maschi solo il primogenito Giuseppe Maria (n.
1794) ebbe figli. Delle femmine, Maria Luisa sposò in
prime nozze Domenico
Capecelatro
dei Duchi di Morcone ed in seconde nozze il Marchese
Achille
Paternò,
Aurora sposò Nicola Bevere, Angelica sposò il nobile
Gennaro de Monaco e Carolina, già vedova di Luigi
Pinto, sposò il Marchese degli Uberti.
(7) - Non è superfluo
ricordare che fino agli anni ‘80 del XX secolo, Anna
Giannattasio de Monaco, sua diretta discendente, tra i
beni a lei pervenuti, ed oggi, purtroppo andati perduti,
possedeva anche un mulino alimentato dalle acque del Rio
Pioppeto, fiume che segna il confine tra i Comuni di
Cassino e di Pignataro Interamna. Ancora negli anni ’60,
i vecchi del luogo indicavano ampie distese di
territorio che fino ai primi anni del XX secolo erano
appartenute alla famiglia de Monaco. Una antica
planimetria, in possesso di Francesco Palmieri
identifica esattamente le “valcherie” dei de Monaco.
(8) -
Non è stata una novità l’apprendere dal
Serra che alla Masseria Tartari, ricadente nel
territorio del castello di Piumarola, l’attuale Villa
Santa Lucia, esiste ancora oggi una casa, salvatasi
dalla distruzione dell’ultima guerra, nel cui atrio del
secondo piano è murata la predetta statua che gli
abitanti del posto attribuiscono proprio a Palmerino
Monaco. I possedimenti di Palmerino confinavano,
infatti, con quelli amministrati dall’Abbazia e si
estendevano su un territorio che spaziava dal fiume Liri
al Gari verso Sant’Angelo in Theodice; da Villa Santa
Lucia alla frazione del Pisciariello.
(9) -
Gennaro fu anche un letterato insigne,
Autore di varie opere letterarie, facente parte del
Circolo culturale di Matilde Serao.
"Le pagine del mistero", "La rondine",
"Un ateo ed un mistico: studi critici di letteratura
straniera",
"Saggi politici di Pietro Chimienti",
"Canzoni del seicento", "Ad aquas salvias", "Pennellate
vetuste",
sono alcune delle sue opere. Egli collaboro' anche al
"Il Fortunio",
nato nell’agosto del 1888, un settimanale letterario
molto
letto nella società dei dotti. Teatro,
letteratura, cronache teatrali ed eventi mondani erano i
suoi argomenti preferiti.
Vi collaboravano giornalisti e letterati
della stampa napoletana come Saverio Procida, Federigo
Casa, Luigi Conforti junior, Michele Ricciardi, Carlo
Parlagreco, Andrea Torre, Vincenzo Pennetti, Arturo
Colautti, quest’ultimo direttore del
"Corriere di Napoli"
dopo che Scarfoglio e la Serao diedero
vita a
"Il Mattino"
nel 1892.
Vi scrivevano anche Ferdinando Russo,
Vittorio Pica, Salvatore Di Giacomo, Pasquale De Luca,
Federigo Verdinois e il narratore calabrese Nicola
Misasi, pochissimo apprezzato da Di Giacomo ma molto
funzionale all’aumento di vendite del giornale. In
questo settimanale si ospitavano anche anticipazioni di
romanzi o racconti di De Amicis, Rovetta, Fogazzaro,
D’Annunzio, La Marchesa Colombi, Enrico Annibale Butti.
Indubbiamente era il settimanale che meglio interpretava
l’evoluzione di Napoli, attraversata nel suo ventre da
infernali miserie, ma dotata anche di luoghi di alta
cultura o di raffinata mondanità. Il Circolo Filologico,
il Conservatorio di S. Pietro a Maiella, il Casino
dell’Unione, il San Carlo e gli altri teatri cittadini
come Fiorentini, Sannazaro, Politeama, Bellini,
costituivano i centri di un’indiscussa vitalità sociale,
economica e culturale, che coinvolgevano la nobiltà
illuminata, la borghesia opulenta, imprenditoriale, la
politica e le professioni, i giovani intellettuali e il
mondo accademico. Sul
"Fortunio"
il teatro e la mondanità – Napoli in
quegli anni è colma di salotti attivi nell’arco
dell’intera settimana – sono gli argomenti preferiti
anche perché Scalinger, il direttore proprietario della
testata, è un conoscitore attento della vita teatrale
napoletana. Proprio sul
“Fortunio”,
il 18 agosto 1889 appare un articolo che racconta di una
serata musicale in casa dell'avvocato Giuseppe De
Monaco (zio di Gennaro) per l'onomastico della
sorella Filomena. Gennaro fu anche autore di
libretti musicali. Si ricordano i versi da lui scritti
su musica di Enrico de Leva depositato nel 1907
"Sotto le sue finestre....serenatella",
mentre su musica di Riccardo Albarella, depositato nel
1886,
"Storia d'amore: ballata per canto in
chiave di sol con accompagnamento piano-forte". |
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