«Illustrissimo Signor Mio Patrone Osservandissimo,
Ha Vostra Signoria Illustrissima la bontà di comandarmi, che le
trasmetta una Relatione, o vogliam dire una mappa de’ Dominij
posseduti dalla Famiglia Cattanea della Volta. Io ben veggo,
drizzarsi tutto il Suo comandamento al disegno di mettere co’
tratti maestri della Sua penna in nuova prospettiva le memorie
della nostra Famiglia, e ne le rendo somme gratie. Ma non è però
che io non debba dirle Magnum iubes renovare dolorem.
Poiché quantunque le grandi rovine spesso si vagheggino con
diletto, e sappia che i Signori Oltramontani con sensibilissimo
piacere si portano a riguardare costì in Roma le Piramidi
cadute, i Teatri disfatti, e gli Archi o mezzo sepolti, o in
gran parte logorati da denti del Tempo, come dal ferro della
Barbarie; tuttavia se i Pronipoti delli Scipioni, e de Titi, e
de’ Severi fossero in piedi, o si riconoscessero per tali, non
gli saprebbero risguardare con occhi asciutti. Poiché le
grandezze antiche quando massimamente sono d’eccedente misura, o
scherniscono, o ci rimproverano la presente fortuna.
Ora io lasciando da parte ciò che tal uno ha detto dell’estruttione
di questa Famiglia facendola derivare da Ingo, pio, e celebre Re
de’ Venedi nella Francia, di cui per più secoli ella ritenne il
nome ne suoi Posteri, e perciò dandole un gran Regno per culla:
io nondimeno non ho fatto mai l’amore con sì belle caligini. A
questa Famiglia come modestissima, è sempre bastato non esserci
memoria nella Repubblica più antica di lei, onde con ragione si
è contentata di esser vecchia quanto sua madre. Non ha perciò
mai affettato origini né reali, né straniere. Et io non posso
non ridermi d’una vanità ch’è stata in tutti i tempi. Perché sì
come anticamente non vi era Famiglia nobile, la quale non
volesse derivare, o da Giove, o da Ercole, o da Pane, perché
ammettendosi allora gli Dei per Padri d’Huomini presumevano
tutti schiatte divine; la dove ora che la Religione ha spenta la
superstitione vogliono tutti descender da’ Re. Quindi è che i
Carli Magni, e gli Ottoni, che sono appunto i Giovi, e gli
Ercoli degli ultimi secoli, si ritrovano spesso a far la Ceppaia
di molti piccioli Alberi. Venendo dunque a cose manifeste, e non
dubitabili, trovo che sin de novecento della nostra Redentione
la Famiglia della Volta era Signora di Varagine, di Mazzone, di
Tagiolo, di Lerma, e di tutto quel tratto di Paese, che dal Mare
della Liguria si stende verso Terra, e pizzica oggi gli Stati
della Repubblica, di Milano, e di Monferrato. Federico de’
Federici attesta di haver presso di se le carte de’ giuramenti
di fedeltà fatti da quei Popoli a Signori della Casa della
Volta, e sono queste oggi negli Archivij della Republica.
L’Autor della Cronica Sacra di Corsica riferisce l’istesso, et
io posso attestare a Vostra Signoria Illustrissima d’haver
veduti, oltre i sopradetti Scrittori, gl’instromenti originali,
e di vendita fatta di Mazone da Carlo et Ingo
Cattanei della Volta a Raffaello Spinola; e di donatione fatta
di Tagiolo alla Republica da Filippo della Volta che ne
era Signore. Quest’è quel grand’Huomo, il quale, come narra il
vostro Giustiniano, liberò i due Capitani Oberti,
Doria, e
Spinola, già in atto d’esser trucidati da Guelfi, i capi de
quali havrebbe mandati a ferro, et a fuoco, se ricoveratisi
questi nel Tempio maggiore di S. Lorenzo, a’ prieghi
degl’Ecclesiastici, non permetteva, che nel suo animo il
rispetto della pietà prevalesse allo sdegno, et a fini delle
fattioni Politiche. Né potevano senza questo Stato sì vicino, e
sì pieno di vassallaggio sostenere que’ della Volta le guerre,
più tosto, che le discordie, le quali per due interi secoli
hebbero con la Famiglia Venta, e co’ quei di Corte, rimasti in
più battaglie seguite, tanto in Città, come in campo aperto
perditrici.
L’altro Dominio, che trovo posseduto dalla Famiglia della Volta,
fu lo Stato di Flix, o Flessia in Catalogna, il quale oltre a
Balaguer conteneva un gran tratto di paese detto Terra Ancararia.
Questo Dominio fu acquistato da Ingone della Volta
nell’anno 1147, con occasione molto gloriosa. Poiché essendo
egli uno de’ Consoli della Repubblica, et uno anche degli
Almiranti di quella poderosissima Armata, di cui fu detto, che
dopo quella di Augusto non ne fu veduta una maggiore ne’ nostri
Mari, con la quale espugnò prima Almeria, e poi Tortosa,
potentissime Regie de’ Mori; l’Ammiraglio Ingone in premio del
suo valore, ne riportò quello Stato con altri beni posti ne’
Territorij di Tortosa, e di Lerida. La linea poi di questo o per
ostentare il titolo d’una Signoria sì notabile, o per
distinguersi, come sempre accade in Famiglie numerose,
dagl’altri rami, si cominciarono a chiamare di Flessia. Onde
alcuni moderni l’han reputata, ma falsamente, una famiglia
nobilissima si, ma distinta. Gli convincono però i notabili
Testementi d’Ingone della Volta figliuolo del sopradetto,
che fu sette volte Console, et Ammiraglio contra i Pisani, e
Capitano Generale vittorioso contro i
Malespini,
il quale si chiama in essi, INGO DE VOLTA DOMINUS FLEXIAE.
Raimondo suo figliuolo, pur Console, et Ammiraglio in Terra
Santa, dove ottenne gran Privilegij per la Republica. Oberto
figliuolo di Raimondo Console, uno degli Otto Nobili, et
Ambasciadore all’Imperatore, al re d’Aragona, et a tutti i
Prencipi d’Italia, et amendue sempre si nominano DE VOLTA
DOMINUS FLEXIAE. Come poi questo Stato uscisse dalla famiglia, o
se più tosto la Famiglia passata in Ispagna mutasse quivi
cognome, com’è consueto in quella Natione, a me non è noto.
Posso ben non senza grande fondamento persuadermi, che
Raimondo figliuolo di Bonifacio della Volta Signore
di Flessia, perché anche in Genova i figliuoli, e posteri di
questi si dissero per lungo tempo di Bonifacio, propagò in
Ispagna la Famiglia de’
Bonifacij.
Fu Raimondo di Bonifacio il primo Almirante de Castiglia, e
perché forse nacque in Ispagna, ma di Stirpe Genovese, gli
Scrittori sono discordi, altri facendolo naturale del paese,
altri forestiere, et a mio credere tutti affermano parte del
vero. Certa cosa è, che i Castigliani tardi appararono le Arti
marinaresche, e se anche più tardi si valsero per Almiranti
degli Zaccaria, e de Boccanegri Genovesi, forza è, che molto
più, quando non havevano ancora assaggiata l’amarezza del mare
ricorressero alla peritia di uno di essi. E perché Ferdinando il
Santo fu da Raimondo con sommo valore servito nella gran Città
di Siviglia, riconobbe la virtù di in tant’huomo , col dono
delle Terre di Viglioueta, e di Capriata.
La terza serie di Dominij, che possedé la Famiglia della Volta,
fu nell’Isola di Sicilia. Io non ho havuto sorte di vedere
l’Archivio di Palermo, ma chi ha più tosto scorse, che estratte
le notitie di esso, mi ha riferito, ritrovarsi quivi un gran
fascio d’infeudationi di Stati fatti da re Svevi a Cavalieri
della Famiglia della Volta. Né può altrimenti esser ciò
accaduto. Peroché Ingo della Volta Console, quando in Pavia
fermò la pace con Federico Barbarossa, et ottenne per sé la
dignità di Cattaneo, e per la Republica la libera Signoria di
Siracusa, con patto, che i Genovesi fossero seco in lega per la
conquista della Sicilia; gli Huomini della Casa della Volta
seguirono ardentemente in quella impresa gli stendardi della
Casa di Svevia. Ond’è, che estinta questa Casa in Manfredi, et
occupata la Sicilia da Pietro d’Aragona, quando n’era in attual
possesso Federico pur di Aragona erede per la Costanza figliuola
del sudetto Manfredi, udendo, che i Genovesi si accostavano a
Prencipi d’Angiò, spedì un Ambasciadore a Genova, il quale
riferisce il Zirita, che l’ha involato di peso da un’Istoria
manuscritta, di que tempi, dice, che dovevano ricordarsi del lor
amore alla Casa di Svevia, e de’ grandi beneficij ricevuti
all’incontro da que’ Re, et in particolare nomina los Dorias,
los de Negro, los Fliscos, los Espinolas, y los de Volta muy
Nobles. Per quel piccolo Ecco però, che l’Archivio di Napoli
fa a quel di Palermo, ritrovo che que’ della Volta già
cominciati a nominarsi Cattanei, quando si accostarono a Carlo
II Re di Napoli, e perciò privati de’ loro beni da Re Aragonesi,
Virgilio fatto Maestro Rationale del Regno, hebbe in dono la
terra di Biccari oggi Contea, e primo titolo della Casa del
Bosco de’ Prencipi della Cattolica, col Castello parimenti di
Ciminna oggi Principato nella Valle di Mazzarra. Il medesimo
Napolione poi per Giacoma di Montalbano sua Moglia, possedé
quivi la Terra di Tannera, e quella della Sambuca oggi
Marchesato della Famiglia Bardi. Donò poi l’istesso Re a
Napoleone Cattaneo eletto perpetuo Stratico di Salerno, le Terre
di Abula, di Mammolina, e di Buscemi in Val di Noto. Et
essendosi renduto ribelle degli Angioini Enrico Rosso gran
Barone Messinese, diede il re Carlo in dono alla fedeltà del
sopradetto Virgilio tutti i Feudi, e i beni confiscati a Enrico.
Ma intorno a questi tempi l’Aquila Cattanea alzò un volo come
più lontano, così più alto, e si portò alla sovranità de’
Principati, e delle Corone e dall’Imperadore Michele Paleologo
Andrea e Giacomo Cattaneo Signori di Galee proprie ottennero il
Dominio della Vecchia Focea, e de monti circonvicini, ne’ quali
havevano essi scoperto il tesoro dell’Alume, all’ora ignoto
all’Europa. Il Duca Nipote nella sua Istoria ultimamente
stampata spiega distintamente i fini, ch’hebbero et i Cattanei
in prendere, e l’Imperatore in dare loro l’Investitura. Aggiunge
appresso, come i due fratelli per difender i lavori molto
importanti dell’Alume, stabilirono di fabricare una gran
fortezza, la quale gli assicurasse dalle scorrerie de’ Turchi,
che cominciavano a farsi sentire nell’Asia minore. Or
concorrendo et i Genovesi lavoranti, e i Popoli convicini a
ricovrarsi sotto l’ombra di quel gran Forte, venne a formarsi
una grandissima Città, che ebbe nome Focea, o Foia nuova, onde
in tempo poi di Andrea secondo Cattaneo, Figliuolo del primo,
crebbe a tal segno, che fu uno delli Emporii più celebri di
tutta l’Asia, e come accenna il Duca Nipote, che vi nacque, e v’hebbe
casa, chiudeva in sé più di 50 mila Abitatori, et altresì nella
sola fortezza, secondo che narra il Catacuzeno, vi dimoravano di
presidio più di mille Soldati Latini. Quindi gli fu facile lo
stendere i confini del Principato, e prendere una gran
prepotenza sopra i Principi Turchi confinanti, a quali in
diversi rincontri presi prigioni i loro Figliuoli, gli serbò a
nome di ostaggi, ma in realtà per tenere a freno l’infedele
insolenza de’ Padri. Morto Andrea (in Focea, come dimostra la
memoria ch’è di lui nella prima Cappella de Cattanei in San
Domenico di Genova, ove si vede ch’ebbe moglie dell’Imperial
Casa de Paleologi) il Principe Domenico suo figliuolo,
credendosi (tutto ciò racconta distesamente il Catacuzeno)
valido per ricchezze e per forze lasciategli dal Padre, volle
stendere il dominio, e gettò tutto il suo amore sopra la
grand’Isola di Mettelino, che in prospettiva di Focea gli stava
continuamente sù gli occhi, e portatosi a Genova messa quivi
all’ordine un’armata di dodici Galee a sue spese, e venute a suo
soldo le cinque de’ Cavalieri di Rodi, si gettò come un gran
Falcone sopra la preda desiderata, et in pochi giorni si fece
assoluto patrone dell’Isola. Come poi gli venisse contro con
tutte le forse dell’Impero, l’Imperadore Andronico giuniore, e
tutti i Principi Turchi vi concorsero, portando e soldati, e
viveri, come egli andò in contro per combattere in mare l’Imperadore,
e ne fu impedito da Rodij, che sul principio della zuffa
negarono di voler servirlo contra la Persona di Cesare, come
sostenesse animosamente per nove mesi gli assedij posti, et a
Metellino, et a Focea, e finalmente con quali patti, e con quali
stratagemme si composero le differenze dal Catacuzeno, ch’era
nell’Impresa presso Andronico col posto di Magno Domestico, ne
fa lungo racconto l’istesso Catacuzeno, il Gregora, il Laonico,
e tutti gli Scrittori Greci di quel secolo. Il figliuolo poi di
Domenico, Figliuolo però secondo genito sopranominato
Gattilusio, havendo riposto nel trono di Costantinopoli con
sue Galee, ma più col suo stratagemma, l’Imperadore
Calogiovanni, il fece con libera Investitura Signore di
Mettelino, con darli parimente per moglie la sua sorella, da
quali nacque poi Elena Imperatrice di Trabisonda. Di tutto ciò
parlano tutti gli Scrittori di que’ tempi, ma più distintamente
di tutti il Duca nipote. Il secondo Domenico figliuolo di
Francesco, e marito di Maria Giustiniana Figliuola di Paris de
Signori di Scio, amendue esempi di amor coniugale s’impadronì
dell’Isola di Stalimene, e la diede a Nicolò suo Fratello. Si
stesero in oltre all’acquisto di Tarso, d’Imbro, e di
Samotracia, e di altre isole minori. E passando all’altra parte
di Terra ferma s’impadronirono della Terra importante di Sesto,
della quale se ne intitolava Signore Andrea, il quale, come
riferisce il Bosio nelle Storie di Malta, riscattò il
Conte di Nivers, e gli altri Principi d’Occidente fatti prigionieri dal
Turco in Ungheria, e poi della gran Città d’Eno, e del Suo ampio
Stato con titolo di Despota. Ma con quali arti si portarono a
quest’ultimo de’ Dominij, diffusamente vien narrato dal Laonico.
Come poi si perdessero tante sovranità, le quali per numero di
Vassallaggio, per opulenza di Rendite, e per importanza di forze
uguagliavano un gran Regno, in modo che a Cattanei nulla mancò
di Regio, salvo che il Titolo, o per dir meglio ne pur questo
loro mancò, mentre quel di Despota tanto suonava nell’Imperio
Orientale, quanto quello di Re; ne riferiscono le dolenti
tragedie i sopracitati Scrittori. Focea però come fu la prima a
conquistarsi, fu l’ultima a perdersi, et a conto fatto si
conservò per lo spatio di trecento anni in casa Cattanea, molto
più che si conservò l’Imperio di Constantinopoli nella Casa de’
Paleologi.
Dopo lo spettacolo di sì grandi rovine, riesce doloroso il
volger l’occhio a piccioli acquisti di dipendenti dominij. Per
porgere nondimeno a Vostra Signoria Illustrissima piena contezza
di tutto, nel regno di Napoli, oltre alla terra di S. Martino,
ora Principato de’ Signori Gennari, ch’ebbe Guglielmo
Consigliere, e Ciamberlano del Re Roberto, e quella di Poggio
della Valle comperata da Raimondo gran Siniscalco del Regno
sotto la Reina Giovanna prima, e di Renda da Gualtiero Reggente
della Vicaria sotto Giovanna seconda; negli ultimi tempi, vi fu
lo Stato di Capistrano, ch’è ora Principato de’ Serenissimi
Medici, quello di Avella Principato anche de Signori Doria,
Summonte e’l Palazzo feudo ricco passato per eredità da
Antoniotto Cattaneo a Signori de Marini Marchesi di Genzano.
Al presente però la Fortuna della Casa è ridotta nel Regno di
Napoli a’ soli Dominij del Principato di S. Nicandro, del
Marchesato di Montescaglioso, ch’io posseggo, della Signoria di
Bellante, antico Marchesato de’ Signori Acquaviva, della
Baronia
di Casalnuovo; e nel Monferrato al Marchesato di Belforte et
alla Contea di Malle. Tenue appoggio, ma però tale, che se i
nostri Posteri sapranno accrescerlo, potrà loro valere di scala
per riportarsi a qualche grado delle antiche Grandezze. Et a
Vostra Signoria Illustrissima bacio affettuosamente le mani.
Montescaglioso 10 di Gennaro 1667.
La quale prego ad avvertire ch’io non ho qui numerato lo Stato
di Focecchio, occupato, come narra l’Ammirato, per breve tempo a
Fiorentini, da quegli della Casa della Volta, perché non sapendo
con certezza, che fossero Genovesi, benché gli possa credere
tali, e per le Fattioni della Patria esuli nella Toscana; non ho
giudicato confondere le materie dubbie con le manifeste. In
oltre non ho fatto memoria degli Stati posseduti dalla Famiglia
della Volta in Francia, molti de’ quali sono oggi uniti nella
Casa del Duca di Vantadur, il cui Primogenito appunto s’intitola
il Conte della Volta. Poiché quantunque si possa far congettura,
che Ruffino della Volta Ammiraglio di Filippo Augusto
nell’impresa di Tolamaida, il qual dopo quell’acquisto con tre
sue navi proprie il condusse in Occidente, fermasse in quel
Regno la casa, e dasse nome alla Terra della Volta posta su’l
Rodano, tuttavia io non vendo in questo luogo, né probabilità,
né verisimiglianze, ma indubitabili evidenze. Di più nulla io ho
accennato de’ Dominij de’ Cattanei Malloni di Genova, nulla de’
Cattanei di Sarzana feudatarij antichissimi in Lunigiana, nulla
de’ Cattanei di Mantova, di Milano, e di Piacenza, e di tanti
altri sparsi per la Lombardia, perché non ho pruove manifeste,
che appartengano alla Casa della Volta, che è stata lo scopo
unico e del suo comandamento e della mia ubbidienza».
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