
Ovvero delle Famiglie Nobili e titolate del Napolitano,
ascritte ai Sedili di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano,
appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano
dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che
abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia.
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Famiglia
Marocco |
Pagina
realizzata da Tommaso Tartaglione
discendente da parte materna della Famiglia Marocco
"Per
rinvenir l'origine di qualche nobil famiglia non sempre ci
bisogna ricorrere à Paesi Stranieri, ò a Regioni
Oltremontane, poiché da ogni picciola Villa può risorgere
una nobil progenie..."
- Carlo
Marocco (1678 † 1724) - |
Arma(1):
d'azzurro antico, alla torre (o rocca) al
naturale poggiante su un mare ondoso azzurro.
Famiglia nobile di Caiazzo (CE) |

© Stemma Famiglia Marocco |
Tra i
manoscritti di Carlo Marocco, depositati nella Biblioteca
dell’Associazione Storica del Medio Volturno di Piedimonte, è
conservato un documento in cui è riportato che i Marocco erano
di origine visigota e che discendevano dal principe Valerio Marocuos. |
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E’ scritto
anche che essi erano venuti a Caiazzo (CE)
da una non ben identificata località di nome Gioia, in un epoca non
precisata. |
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Effettuare un riscontro certo sull’origine di una famiglia così
antica è cosa ardua, soprattutto se si dà credito all’ipotesi
che la fa risalire al V sec. d. C., è tuttavia certo che fu tra
le più illustri di Caiazzo. |

© Caiazzo (CE) - Il Seminario
Vescovile fondato nel 1564 |
Sebbene la genealogia si delinei dalla fine del Cinquecento, già
nella prima metà del secolo i Marocco erano presenti a Caiazzo e
già godevano di una elevata posizione nel contesto sociale
caiatino.
Il prestigio le veniva, innanzitutto, dalla
professione di notaio tramandata in famiglia, perché la prassi
riconosceva la nobiltà all’officium
notarile; nonché dai numerosi sacerdoti, molti dei quali assurti
agli alti gradi della gerarchia ecclesiastica della Diocesi di
Caiazzo.
A
vestire l'abito talare furono: Carlo (viv. nel 1602), canonico;
Francesco (1606 † 1631), vicario
generale; Scipione (viv. nel 1657), canonico; Fabio Stefano
Casimiro (1680 † ?), sacerdote; Paolo Emilio (1704 † 1774),
arcidiacono (laureato in diritto civile e
canonico, era stato primicerio del capitolo di Caserta, rientrato a Caiazzo nel 1739
ottenne il canonicato della penitenziera; Giulio Cesare
(1716 † 1776), parroco di Piana di Caiazzo (1740 - 1759) e poi
rettore del seminario; Nicola Antonio Benedetto (1717 † 1789),
primicerio. |
Carlo (1738 † ?), sacerdote;
Giulio Cesare
(1778 † 1831), canonico; Diodato (1793 † ), secondo primicerio del
capitolo di Caserta; Carlo (1806 † ?), canonico;
Diodato
(1809 † 1846), sacerdote; Giulio (1838 † 1919), sacerdote;
Bernardino Fulvio Antonio (1663 † 1718), sacerdote; Gerolamo
Domenico (1669 † ?), detto Minno, sacerdote, fratello del
precedente. |
Per le loro sepolture
i Marocco possedevano nella Cattedrale di Caiazzo una cappella
in
Jus Patronato
sotto il titolo di S. Leonardo nella cappella di S.
Maria, che passò in eredità ad un ramo di Piana di Caiazzo.
Nel 1708 erano “compadroni”
di questa cappella gli eredi di Onofrio e Salvatore Marocco,
nonché Faustina tutti del Casale di Piana.
Possedevano inoltre nella Chiesa della Madonna delle Grazie
un’altra sepoltura, che fu eretta in occasione della prematura
morte del sacerdote Francesco Marocco (1606 † 1631), elevato dal
vescovo Filippo de Sio alla carica di vicario generale della
Diocesi. |

© Cappella S. Maria di
Costantinopoli |
Questo il testo dell’epigrafe che ricopre la
tomba: |
HIC FRANCISCUS MARROCCUS V.I.D.
A MAG(NIF)ICO IULIO CAESARE MARROCCO
ET LUDOVICA MELCHIORI CONIUGIBUS NATUS
PRUDENTIAE VIRTUTE PRAECOGNITUS
E(PISCO)PI DE SIO GEN(ERA)LIS VICARIUS
IN HOC PARVO LAPIDE
AETATIS SUAE ANNO VIGESIMO QUARTO
FATO QUESCIT
ANNO MDCXXXI |
La traduzione è la seguente: "Qui Francesco Marocco V.I.D. ( dottore nell'uno e nell'altro diritto), nato dal
magnifico Giulio Cesare Marocco e da Ludovica Melchiori,
coniugi, conosciuto presto per le virtù della prudenza,
vicario generale del vescovo de Sio, in questa piccola
lapide, nel ventiquattresimo anno della sua età, per destino
riposa. Anno 1631" |

©
Palazzo
degli eredi di Diodato Marocco di via Laura de Simone, visto
da via Portanzia. |
Tra i
personaggi illustri va annoverato Carlo Marocco (1678 †
1724), la cui vita fu più caratterizzata dalle ricerche
storiche che dalla professione di notaio.
"Fu
in corrispondenza con gli uomini più dotti del suo tempo-
scrive il Faraone- e il suo nome è
ricordato con lode da scrittori esimi, tra cui basta citare
Matteo Egizio, Alessandro di Meo e Teodoro Mommsen".
Nella Biblioteca Nazionale di Napoli sono conservate 24
lettere che Carlo Marocco inviò a Matteo Egizio (1647 † 1745),
in cui sono riportati i numerosi quesiti che egli poneva
allo studioso napoletano per i suoi studi sulla storia di Caiazzo.
L’Egizio(2)
e G.B. Vico, che allora costituivano il meglio del mondo accademico
napoletano, furono da lui prescelto per la formazione
culturale dei suoi figli. |
Di
questi il sestogenito Giulio
Cesare (1716 † 1745) fu allievo prediletto del Vico, "figura
centrale del pensiero europeo nel XVII sec.", che
gli affidò il compito di postillare la seconda edizione
della sua monumentale opera la
Scienza Nuova.
Giulio Cesare, che aveva abbracciato la vita ecclesiastica
come altri due suoi fratelli, Paolo Emilio (1704 † 1774) e
Nicola (1717 † 1798), ebbe un ruolo di una certa rilevanza
nell’opera missionaria di S. Alfonso Maria
de’ Liguori,
allorquando questi fondò a Villa degli Schiavi (oggi
Liberi), nel 1774, la prima casa della Congregazione del
Santissimo Redentore.
Alfonso de’ Liguori fu anche ospite dei Marocco, evento
tramandato da una epigrafe posta sulla facciata del loro
palazzo, sito in via Carlo Marocco, meglio noto come lo
Scalandrone:
S. ALFONSO DE LIGUORI
OSPITE DEI SIGNORI MAROCCO
IN QUESTA RECONDITA STANZA
DA LUI
PREFERITA
STUDIAVA MEDITAVA PREGAVA |
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© Palazzo Marocco (degli eredi
Incoronato) in Caiazzo, via Carlo Marocco |
Suor ”Chiara” Marocco (1673 † 1750) fu Badessa del Monastero
della SS. Concezione (1736 † 1738). Essendo stretta congiunta
dei Foschi, in quanto sua madre Vittoria era una Foschi e
sua sorella maggiore Gerolama (1670 † 1719) aveva sposato
Giovanni Battista Foschi, quando morì fu registrata nel loro
Libro delle
Memorie: “ A 27 Luglio 1750 verso
l’ore tredici è passata da questa all’altre vita suor Chiara
Marocco nel seculo detta Teresa Marocco in questo Monistero
della SS.ma Concezione di Caiazza nostra Zia Materna, dopo
essere vissuta anni 76 ed in questa Città, e Monistero è
stata tenuta per Religiosa la più osservante, ritirata, ed
esemplare, avendo con molta prudenza esercitato la carica di
Vicaria Badessa, ed al presente di Discreta. Essendo da
tutte le Religiose stimata, ed amata come Madre; la sua
infermità è principiata da molti anni essendo gonfiata di
piedi, gambe, coscie, e buona parte della vita, tanto che da
sei ò sette anni ha sempre dormito seduta. E seduta ha
mandata l’Anima al Creatore; abbiamo Noi, e li nostri
posteri molta obbligazione di pregare Dio per lei,
imperciocchè oltre di averci teneramente amati allora quando
entrò in Monistero rinunciò in beneficio di nostra Casa
tutta la sua porzione la quale non era piccola, senza
riserbarsi neppure un quadratino per vitalizio”.
L’avvocato
Giovanni Battista
Marocco (1745 † 1808), sposò Elena Calpano, e si occupò come il nonno, però in forma
minore, di storia caiatina. Egli ereditò dal gesuita
Giovanni Mastroianni la Cappella di Santa Maria di
Costantinopoli, che alla sua morte destinò al settimogenito
figlio maschio Nicola (1778 † 1828).
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© Caiazzo - via Laura de Simone
- altra proprietà dei Marocco |
Ereditata successivamente da Margherita Marocco (1810 † ?),
sposata a Salvatore Fortebraccio, restò di proprietà di
questa famiglia fino alla sua estinzione (1888), per poi
rientrare nei beni dei Marocco, che la vendettero nel 1970.
Invece a dare notorietà ad un altro esponente dei Marocco,
il sac. Calo (1738 † ?), furono alcune circostanze politiche.
Questi, contravvenendo agli ordini ricevuti, ostacolava
insieme ad altri l' elezione di persone del suo stesso partito a
governanti di Caiazzo.
I documenti non attestano esplicitamente le
ragioni politiche che spinsero a tanto il Marocco, che
amministratore non era ma evidentemente manovrava
dall’esterno il gruppo dissidente.
Però ci fanno conoscere che queste persone
agirono rifiutandosi di presentare "
i
conti della loro Amministrazione",
mettendo in discussione la figura del Razionale nominato
revisore dei conti "dal
Partito prepotente",
perché ritenuto connivente.
Si doveva trattare di una lotta
tra correnti di una stessa schieramento, come diremmo oggi. |
Quello che viene definito
“Partito
Prepotente"
va molto verosimilmente individuato con
la corrente più forte.
Della vicenda fu informato il re
Ferdinando IV di
Borbone, che nominò
"Governatore Politico
della città di Capua", Cimino,
suo soprintendente affinché punisse gli artefici e mettesse
riparo i disordini che si verificavano da sei anni a Caiazzo.
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Il Cimino
ricevette l’incarico il 21 settembre 1773 dal ministro
Bernardo Tanucci.
Nel
Cinquecento, nel Seicento e per tutto il Settecento i
Marocco non occuparono, come avrebbe dovuto essere,
considerato il censo, la carica di “Eletti” nella gestione
dell’Università (l’attuale Comune) di Caiazzo. Questa
assenza trova forse la spiegazione nel fatto che essi
facevano “fuoco” altrove, Piana di Caiazzo per esempio, dove
si sono avuti alcuni riscontri della loro residenza. Una
conferma di quanto appena affermato è la totale assenza nel
Catasto Onciario di Caiazzo del 1741-42.
Alcune significative testimonianze attestano
il loro domicilio a Piana. Nell’atto di morte del notaio
Giulio Cesare Marocco del 1709 è riportato essere di Piana,
come di Piana era suo figlio Fabio allorquando nel 1662 sposò
Vittoria Foschi.
Dello stesso Casale dichiarava essere Giacomo Marocco, a
partire dal 1661 ogni qualvolta battezzava un figlio.
In più
Francesco Marocco
(1677 † 1732) nel 1710 risulta esser uno dei due “Eletti” "ad
bonum regimen et gubernatione Universitatis Casalis Planae
dictae Civitatis Caiatiae". |

© Stemma Marocco su portale
ingresso dell'omonimo palazzo |
Invece nel 1732 il notaio
Diodato Marocco e Luca Marocco ricevettero dall’Università
del Casale di Piana l’incarico di
"deputati per la nuova numerazione(3) ".
Si deve supporre che i Marocco avessero in Piana anche
interessi di natura fondiaria, perché dal loro nome prese a
chiamarsi la località che ancora oggi è detta
"ncoppa‘e
Marrocche".
Nell’Ottocento, con l’abolizione della feudalità da parte di
Giuseppe Bonaparte
(L. n .103 del 2 agosto 1806),
la borghesia del Regno di Napoli trovò finalmente
l’occasione per partecipare direttamente e senza
condizionamenti alla gestione del potere politico locale.
I Marocco colsero questa
opportunità partecipando attivamente alla vita politica
locale attraverso vari esponenti. Tra questi il notaio Paolo
Emilio(4) (1777 † 1859),
marito di
Vincenza Cusano, che occupò la carica di Sindaco dal 1831
al 1837, e suo fratello, il giudice Nicola (1778 † 1828), che
fu Consigliere provinciale(5).
Il figlio di quest’ultimo, Pietro (1812 † 1885), fu prima
Consigliere provinciale(6),
poi Consigliere distrettuale(7)
e infine ancora Consigliere provinciale(8).
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© Nicola
Marocco (1843 † 1914), la moglie Emilia de Nisco e le figlie
Margherita ed Emilia |
Dall’
eversione della feudalità alla prima metà del Novecento vari
altri esponenti della famiglia ebbero una presenza quasi
costante nei Decurionati prima e nei Consigli comunali poi.
Invece Francesco Marocco (1882 † 1971) fu prima Commissario
prefettizio (dall’8 gennaio 1926 al 13 agosto 1926 ) e poi
Podestà (dal 14 agosto 1926 al 24 agosto 1927) di Alvignano.
I
Marocco hanno posseduto in Caiazzo quattro palazzi,
appartenuti ai tre rami in cui si divise la famiglia. Il più
antico(9) e al tempo stesso più interessante e prestigioso è
sicuramente il palazzo situato in cima allo
Scalandrone,
che costituisce con molta probabilità il principale edificio
di questa famiglia, prima che si dividesse in altri rami.
Nel 1718 i confini di questo
edificio erano "il
Venerabile monistero della SS. Concezione , la casa del Rev.
Don Aldo Mattei, via pubblica per due parti e via vicinale
ed altri confini";
ossia gli stessi di oggi, con
la differenza che è cambiata la proprietà di palazzo Aldi,
perché venduto dagli eredi di Matteo Aldi verso la fine
degli anni cinquanta. |

© Pianta di Caiazzo con la
dislocazione delle proprietà Marocco
|
Alla
morte di Maria Marocco (1904 † 1994), ultima discendente del
ramo primogenito, il palazzo è passato in eredità ai suoi
figli Anna Maria, Sergio e Paolo Incoronato, che con atto
del 17 ottobre 2001 l’hanno ceduto al Comune di Caiazzo.
In via Laura de Simone vi è un portale sormontato da
artistici stucchi tardo barocchi, con uno stemma che è lo
stesso di quello riportato in pietra sul portone del
predetto palazzo. Ciò presuppone che anche la proprietà di
questo palazzo, che fa angolo con via San Felice, doveva
essere dei Marocco. |

© Palazzo Marocco (degli eredi
Incoronato) in Caiazzo, via Carlo Marocco, particolare degli stucchi della scala. |
Un terzo palazzo è sito sempre in via Laura de Simone, con
il giardino prospiciente su via Portanzia, da cui si accede
al frantoio.
Un quarto palazzo(10)
è lo stesso che oggi è posseduto dagli
eredi Santoro in via Aulo Attilio Caiatino, della cui
antichità resta solo la facciata barocca e la volta
dell’androne, dove si riesce a leggere lo stemma dei
Marocco.
A proposito dello stemma di questa famiglia,
va detto che esso è uno stemma parlante perché rappresenta
il "mare" e "la rocca", da cui appunto Marocco. Nel 1711 il
frate Gennaro Antonio Ercolini da Napoli, minore
conventuale, dedicò a Carlo Marocco un sonetto allusivo al
suo stemma.
Lo stemma si presenta poi in due versioni: una, sicuramente
la più antica, con "mare" e "rocca"; l’altra, a queste
figure, aggiunse "il leone rampante" che tiene nella zampa
destra "un ramoscello d’ulivo".
E’ ipotizzabile che "il leone rampante" sia
lo stemma di un’altra famiglia estintasi nei Marocco e
pertanto incorporato nel loro.
La tradizione familiare –
poco attendibile - ritiene che quest’ultima versione dello
stemma sia stata ideata da Nicola Marocco (1834 † 1914),
allorquando aggiunse al proprio cognome quello dei Fortebraccio, famiglia estintasi nel 1888.
L’inattendibilità
di questa tesi viene comprovata dagli stemmi riportati sulla
lapide che ricopre la tomba di Nicola Marocco Fortebraccio,
che sono appunto lo stemma dei Marocco e quello dei
Fortebraccio. |
Lo stemma di quest’ultima famiglia, anch’esso
parlante, rappresenta “un braccio con una bandiera in
pugno”.
Tra il Cinquecento ed il Settecento i Marocco erano una
famiglia molto numerosa e ramificata, tanto da rendere
impossibile un collegamento fra tutti i rami. Famiglie
Marocco esistevano, oltre che in Caiazzo, in Piana di
Caiazzo e Campagnano (oggi Castel Campagnano). Nella seconda
metà dell’Ottocento, Giovanni Marocco (1851 † ?), primogenito
ed unico figlio maschio di G.B. Marocco (1810 † ?) e Angela
Musco, si trasferì a Caserta, dando luogo al ramo casertano
della sua famiglia. |

© Maria Marocco (1904 † 1994),
la madre Caterina Ribotti (1870 † 1955), il padre
Giovanbattista Marocco
(1873 † 1959)
e Arturo Incoronato. |
Questo lavoro non ha la pretesa di aver completato, in
maniera esauriente, una ricerca su una delle più
rappresentative famiglie di Caiazzo. Molte fonti sono
purtroppo venute meno perché se ne potesse avere un quadro
completo.
La prima cosa di cui ci lamentiamo è l’inesistenza di un
archivio di famiglia, ivi compreso un
Libro
di Memorie dei Marocco. Libri esistenti in quasi
tutte le famiglia della borghesia locale, che li istituivano
nel momento in cui acquisivano una coscienza storica e
genealogica, parallelamente alla fase di crescita culturale
e di maggior sviluppo economico. Una memoria trasmessa di
padre in figlio, dove ogni notizia, lieta o triste, di ogni
singolo individuo veniva annotata con dovizia di
particolari.
Poi la loro assenza nel
Catasto Onciario di Caiazzo e l’inesistenza del Catasto Onciario
di piana di Caiazzo, dove –come
scritto- si hanno buone ragioni per ritenere che in quel
Casale domiciliassero, benché dimorassero in Caiazzo.
La dimostrazione che essi vivessero in Caiazzo è data dagli
atti di battesimi, matrimoni e morti riportati
prevalentemente dei registri della Parrocchia di S. Nicola
de’ Figulis, da cui abbiamo ricostruito la genealogia. |
C’è
poi la mancanza dei
Catasti Antichi
che, come è noto, vennero distrutti
nel 1943 insieme a molti altri importanti documenti
depositati nell’archivio di stato di Napoli. Infine, ma non
meno importante, il fondo notarile di Caiazzo esistente
nell’Archivio di stato di Caserta, che come è risaputo, ha
inizio solo nel 1653. Tuttavia, anche se per grandi linee,
si è riusciti a delineare, in un arco quasi di quattro
secoli, la storia dei Marocco, nonché accertare quale fosse
la loro ideologia per mantenere alto il potere e,
conseguentemente, il prestigio.
Ciò è
stato possibile grazie ad una accurata ricostruzione
genealogica dei Marocco, che seppur molto schematica per
l’elevato numero dei componenti le varie generazioni che si
sono susseguite nel corso dei secoli, non si è potuta
allargare per intero in questa ricerca. La genealogia ha
costituita il supporto essenziale sul quale abbiamo basato
le nostre valutazioni.
La genealogia ha
costituita il supporto essenziale sul quale abbiamo basato
le nostre valutazioni.
I Marocco, come tutta la borghesia caiatina, vivevano more
nobilium
nelle loro “case palazziate”, onorati dei
titoli di Magnifico
e di
Don. |

©
Pietro
Marocco (1874 † 1957) - vicequestore di
Forlì, comandò la Guardia del Corpo di Donna Rachele Guidi,
moglie di Benito Mussolini. |
Per mantenere questo status, ad una famiglia come i Marocco,
erano necessari alcuni essenziali requisiti: una proprietà
terriera, una dimora degna del nome e della possidenza,
un’attività professionale da tramandare di padre in figlio,
dei congiunti che occupassero di volta in volta dei posti
influenti nella Chiesa locale, le alleanze matrimoniali.
Della proprietà fondiaria, poiché essi – come abbiamo più
volte ricordato non figurano nel
Catasto Onciario, dobbiamo tralasciare di parlarne.
Di certo si conosce che il sac. Giulio Cesare Marocco
(1716 † 1776), in tenimento di Squille, possedeva cinquanta
moggi di terreno. Sarebbe stato interessante accertare,
all’atto della compilazione dell’inventario dei beni
immobili e mobili, la rendita censuaria e la consistenza
patrimoniale prima ancora che la famiglia si fosse divisa
negli altri due rami, e quali entrate, oltre a quelle
professionali e fondiarie, contribuirono alla loro crescita
economica. |

© Le figlie del dr. Diodato
Marocco, Rosina (1910 † 2000) e Teresa
(1912 † 1935) |
Resta da fare solo il punto sulla professione notarile,
sulla loro significativa presenza nella Chiesa locale e
sulle alleanze matrimoniali.
L’attività notarile praticata in famiglia l’abbiamo
accertata fin da Giulio Cesare (viv. tra il XVI e il XVII
sec.), ossia da colui che nella nostra ricostruzione
genealogica figura essere il capostipite e che nel 1572 già
esercitava ala professione.
Di un suo figlio del quale non abbiamo alcuna notizia,
poiché non è stato rinvenuto in nessun atto il nome, abbiamo
supposto si chiamasse Carlo, perché un fratello sacerdote di
Giulio Cesare si chiamava appunto Carlo e Carlo era il nome
più volte imposto ai figli di suo nipote Giulio Cesare
(1637 † 1709). Si deve ritenere che egli fosse notaio perché i
Marocco si distinsero proprio in questa professione, che si
tramandarono per quasi tre secoli. Per cui riesce difficile
pensare ad una possibile interruzione, soprattutto in un
epoca in cui la professione di notaio costituiva un
privilegio di casta al quale non si poteva
rinunciare, per non perdere un importante ruolo nel contesto
sociale locale.
L’incertezza è dovuta al fatto che gli atti notarili,
a noi pervenuti, iniziano solo dalla terza generazione dei
Marocco (1653). |
Perché – com’è risaputo- a causa della forte
opposizione del ceto nobiliare e benestante, nel Regno di
Napoli non si riuscì mai ad istituire -nonostante i
reiterati tentativi governativi- un archivio pubblico.
La nobiltà aveva tutti gli interessi per contrastare un tale
progetto, onde evitare ogni sorta di accertamento
patrimoniale. Per cui gli atti notarili si conservavano
trasferendoli di padre in figlio; qualora mancasse un erede
notaio si lasciavano ad un altro notaio. Cosa che abbiamo
potuto accertare con il notaio Pasquale Mirto (1730 † 1766), i
cui protocolli furono destinati da figlio Raffaele nel 1787
al notaio Fabio Marocco.
La perdita degli atti notarili del capostipite Giulio Cesare
Marocco e del figlio di questi, che abbiamo ipoteticamente
chiamato Carlo, va evidentemente ricercata nelle vicende
familiari dei Marocco. |
Giusto per completare questa nota, fu solo
con il Decennio francese che si riuscì ad istituire gli
Archivi Provinciali.
Il conseguimento del
dottorato in legge costituiva solo
il mezzo per la
elevazione sociale; “i
laureati
ex
privilegio, ossia senza aver acquisito alcuna
conoscenza giuridica, dovevano imparare per proprio conto i
fondamenti del diritto, per aggiungere la
dignitas della scienza a quella del privilegio”.
Nel caso dei Marocco non c’era niente di più opportuno di
uno studio notarile paterno per imparare la professione di
notaio che, oltre alla
dignitas, assicurava anche delle entrate cospicue.
Questa ragione confermerebbe che tra il capostipite Giulio
Cesare e suo nipote Giulio Cesare (1637 † 1709) non ci fu
soluzione di continuità professionale. |

©
La
piccola Angela Emilia
Anna Amalia Pagliuca (1926) nonna di Tommaso
Tartaglione, tra le braccia di Tommaso Pagliuca (1896 † 1952),
Grande Invalido della Prima Guerra Mondiale, ferito sul
Carso quota 144 nel 1917. |
Una famiglia del ceto civile come i Marocco era interessata
acchè il notariato rimanesse un loro privilegio perché “Nella vita cittadina, onnipresenti erano i notai che
godevano di un prestigio superiore alle entrate ed
esercitavano sempre una notevole influenza. Spesso facevano
parte del parlamento dell’università, ecc. formavano -una
specie di intellighenzia- cittadina, rispettata ed onorata
anche se spesso di modesta levatura culturale”.
Nella successione professionale dei Marocco,
l’attività notarile non costituiva un diritto del
primogenito, come potremmo essere portati a credere; sembra
di capire, invece, che si prestasse molta attenzione a
quelle che erano le reali inclinazioni
e, molto probabilmente, si teneva conto anche
delle capacità intellettive dei figli (i primogeniti
venivano quasi sempre destinati al sacerdozio).
Questo comportamento l’abbiamo potuto accertare a partire
dai figli del notaio Carlo Marocco (1678 † 1724), lo
storico, perché la genealogia da questo personaggio comincia
ad essere più completa.
Lo scambio dei ruoli tra primogeniti e cadetti che abbiamo
riscontrato nei Marocco non costituiva l’eccezione bensì la
norma tra l’élite del Mezzogiorno. E’ stato osservato che “anche
nella grande nobiltà i comportamenti successori non si
uniformarono allo schema primogeniturale”. Delille nota
che questo comportamento ricorda “l’applicazione costante
del precetto biblico: ogni primogenito verrà dato al Signore.”
Nel caso dei figli di Carlo Marocco fu addirittura il
quartogenito, Diodato (1706 † 1164)(11) ,
che seguì le orme paterne. Dei figli di questi, il
secondogenito Giovanni Battista (1747 † 1808) scelse la
professione di avvocato, mentre il terzogenito
Fabio (1747 † 1843) successe al padre nello studio notarile.
|

© L'insegna della città di Caiazzo
(CE) |
I figli di Fabio,
Giuseppe
Federico (1801 † 1876) e
Gustavo (1805 † ?),
seguirono tutt’altre strade. Il primo non dovette
intraprendere gli studi superiori se l’abbiamo trovato
impiegato come guardaboschi del Comune di Caiazzo; il
secondo, invece, scelse di fare il farmacista, una
professione del tutto nuova in famiglia.
L’attività notarile passò così di mano al secondogenito
dell’avv. Giovanni Battista,
Paolo
Emilio (1777 † 1859). Suo figlio
Giovanni Battista
(1811 † 1878), che pure lui non era il primogenito benché
portasse il nome del nonno, fu l’ultimo esponente dei
Marocco ad essere notaio, perché suo figlio Alfonso (1843 † 1915) conseguì la laurea in legge.
Non ci sono motivazioni ufficiali
sulla
fine
di questa antica tradizione di famiglia, le possiamo solo
immaginare, come non è noto se Alfonso avesse mai
esercitato la professione di avvocato. Venute meno le
possibilità di accedere al notariato, la laurea in legge gli
consentì di certo di acquisire una cultura giuridica per una
più edotta amministrazione dei suoi beni.
L’Unità d’Italia non fu solo un risultato politico-militare
da raggiungere, ma anche e soprattutto una rivoluzione nella
struttura e nell’amministrazione dello Stato. |
Per un ricco
possidente era quanto mai opportuno avare delle cognizioni
giuridiche, perché non restasse fuori dalle innovazioni che
lo Stato liberale apportava nella società italiana.
Con la fine del regime borbonico i notai non costituirono
più “una casta chiusa- ed è forse questa la spiegazione-
cui era, praticamente, impossibile essere ammessi in quanto,
trasmesso normalmente di padre in figlio, il notariato non
usciva dall’ambito di poche famiglie…”.
Dal riformismo dello Stato unitario i Marocco, come tutte le
famiglie del loro rango, subirono evidentemente questa
penalizzazione, che formalmente e solo momentaneamente non
riconobbe più questo privilegio.
In più si deve credere che Alfonso perdette questa
opportunità perché nato nel 1843, con l’entrata in vigore
delle nuove leggi dello Stato liberale si trovava forse
nella condizione di studente universitario, mentre la
“piazza” di Caiazzo, nel 1861 era già occupata dai notai
Paolo Aldi (1825 † 1904) e Giovanni Paterni (1815 † 1874). Nel
frattempo era stata soppressa la “piazza” di SS. Giovanni e
Paolo, dopo che essa era stata occupata dal notaio Giuseppe Aldi.
Il figlio di Alfonso, Giovanni Battista (1873 † 1959), meglio
conosciuto come “Don Titta”, ultimo discendente maschio del
ramo primogenito, non conseguì alcun titolo accademico, ma
operò presso il
Credito Popolare Meridionale e visse di rendita come
tanti altri “signorotti” del suo tempo. Nel 1903 aveva
sposato a Roma Caterina Ribotti (1870 † 955), nativa di Forlì
ma di origine piemontese, che occupò a Caiazzo la carica di
direttrice della
Scuola Complementare Pareggiata del Pio Istituto.
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Dal loro
matrimonio nacque una sola figlia, Maria (1904 † 1994),
sposata al magistrato Biagio Incoronato, divenuto poi
presidente di sezione della Corte di Cassazione.
Un
fratello minore del notaio
Paolo
Emilio, Nicola (1778 † 1828, fu invece giudice regio, dei
circondari di S. Maria (Capua Vetere) prima, di Arce poi e
infine di Monteleone (attuale Vibo Valentia), dove morì. Tra
i suoi figli e discendenti nessuno seguì questa nuova
professione inaugurata in famiglia. Il nipote Nicola
(1843 † 1914) intraprese la carriera nella pubblica sicurezza
divenendo commissario.
Il figlio di questi, Pietro (1874 †1 957), segui le orme
paterne, divenendo vice questore di Forlì. Durante il
fascismo comandò la Guardia del Corpo di Donna Rachele
Guidi, moglie di Benito Mussolini.
Il 27 settembre 1935 fu insignito dalla Repubblica di S.
Marino del titolo di commendatore dell’Ordine Equestre di
Sant’Agata; alcuni mesi
dopo, il 3 febbraio 1936, ricevette l’onorificenza di
cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro.
Collocato a riposo, rientrò a
Caiazzo dove ricoprì la carica di presidente delle Opere Pie
Riunite.
Ritornando al farmacista Gustavo Marocco, la
sua professione la seguirono i figli Angelo (1838 † ?) e
Fabio
(1850 † 1912).
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© Caiazzo (CE) - Palazzo Marocco -
veduta interna |
Il figlio di quest’ultimo, Diodato (1883 † 1976),
elevò la tradizione al rango di medico, conseguendo la
laurea in medicina e chirurgia e la specializzazione in
ginecologia(12).
Ortensio Severino, nella
raccolta di liriche dal titolo
Ritornare(13),
gli dedicò la poesia
"Il
medico condotto".
L’immatura morte del primogenito Gustavo (1909
†
1934),
promettente studente in medicina, segnò la fine di questa
nuova tradizione professionale. La presenza dei Marocco
nella Chiesa è un altro importante capitolo della storia di
questa famiglia.
Dalla fine del Cinquecento al 1919, ossia nello spazio di
tempo che va dal can. Carlo al sac. Giulio, i Marocco, per
più di tre secoli, hanno avuto una presenza costante,
attraverso vari esponenti, nella Chiesa caiatina. Non c’è
stata generazione in questo lungo arco di tempo che non
avesse avuto il suo sacerdote. Anzi in una occasione gli
uomini di chiesa furono addirittura tre: è il caso dei figli
dello storico Carlo Marocco. Per non parlare delle tre
suore, delle quali una fu badessa del convento della SS.
Concezione.
Fu vera fede quella dei sacerdoti Marocco o di quanti altri
che come loro si orientarono in quell’epoca verso il
ministero sacerdotale? Nelle intenzioni forse si, nei fatti
non lo sappiamo perché non abbiamo documenti per
verificarlo.
Autorevoli studi sul comportamento della “borghesia rurale”
del Mezzogiorno hanno evidenziato che essa, nel Settecento,
per “non dividere e disperdere il patrimonio”, la cui
natura giuridica non era feudale e per questo “più
difficile imporre la primogenitura”, indirizzava “i
cadetti verso la carriera ecclesiastica”.
Nei secoli in cui i Marocco espressero tanti
sacerdoti la devozione verso il mistero della fede era
largamente diffuso. Tanto che il miracolismo era un fenomeno
in cui generazioni di uomini e donne credevano, ritenendo “che
un soccorso divino venisse a risolvere i problemi di una
vita quotidiana segnata da sofferenze fisiche e insicurezze
di ogni genere”.
Ma che la Chiesa fosse vista
dall’élite come un mezzo per accrescere la sua influenza è
un aspetto inconfutabile. |

© Caiazzo (CE) - il chiostro |
Si può dire
che essa sia stata determinante nella crescita politica,
culturale ed economica delle famiglie che aspiravano ad
avere un ruolo preminente nella società in cui vivevano.
Non sono mancati casi
in cui proprio l’esponente sacerdote creò le condizioni per
la promozione sociale della famiglia, anche quando essa era
di umili origini.
In
più di tre secoli i Marocco hanno dato alla Chiesa locale un
notevole contributo di donne e uomini votati al sacerdozio.
Il dato ovviamente eccede per difetto, poiché la ricerca
genealogica non sempre ci ha gratificati.
Tra
tutti questi sacerdoti e suore molti assursero agli alti
gradi della gerarchia ecclesiastica locale, divenendo vicari
generali, arcidiaconi, canonici, primiceri, badesse. Ciò che
invece non è avvenuto nei Marocco, e non si può pensare che
essi non vi aspirassero, è la promozione di un loro
esponente al grado di vescovo.
Evidentemente mancarono ad essi quelle
opportunità, ovverosia quelle conoscenze che invece altre
famiglie ricercarono e seppero cogliere.
(In
famiglia però si racconta che nell’Ottocento un esponente
della famiglia Marocco, primicerio della diocesi di Caserta,
fu nominato vescovo della città di Cosenza, ma rifiutò
tale carica per poter rimanere vicino ai nipoti -
"Nota di Tommaso Tarataglione"-). |
Basti pensare che due famiglie imparentate con loro, i
Foschi e i Giannelli, ebbero ognuna il suo esponente
vescovo. I primi con Giuseppe Maria Foschi (1711 † 1776), che
resse la diocesi di Lucera dal 1756 all’anno della sua
morte; gli altri con Donato Antonio Giannelli (1720 † 1783),
che fu vescovo di Risceglie dal 1762 all’anno della sua
morte. Questi due personaggi coronarono il loro sogno perché
andarono via da Caiazzo, in quanto chiamati a ricoprire le
cariche di vicari generali di altre e più importanti
diocesi. Una opportunità che consentì loro di potersi far
meglio conoscere e, nel contempo, legarsi a potenti
esponenti della Chiesa che ne determinarono la promozione
alle alte dignità ecclesiastiche.
Ora non resta che parlare delle alleanza matrimoniali. In
proposito Gérard Delille scrive che le genealogie
costituiscono “una solida base per un primo approccio
allo studio delle alleanze matrimoniali”. Ed è quello
che ci proponevamo di fare per comprendere il comportamento
del ceto civile caiatino in questo meccanismo, ivi compresi
i Marocco. Ovverosia se la borghesia locale imitasse anche
in questo la nobiltà del Regno con la regola “della
reciprocità”, che
sottintendeva “l’insieme degli scambi matrimoniali”
compresi i beni.
Questo capitolo avrebbe potuto essere il più interessante
tra quelli finora trattati. Trovandoci però di fronte ad una
genealogia, quella dei Marocco, per certi aspetti incerta e
incompleta, soprattutto per il periodo che intercorre tra la
seconda metà del Cinquecento e il Seicento, dobbiamo
astenerci dall’analisi che ci eravamo proposti.
Questa limitazione è dovuta alla più volte lamentata
inesistenza delle principali fonti archivistiche e alla
lacunosità di quelle esistenti. A questo bisogna aggiungere
che qualche famiglia imparentata con i Marocco si è estinta
in epoca remota; di altre, pur essendo caiatine, abbiamo
dedotto che fossero di ceto elevato grazie al legame
coniugale contratto proprio con i Marocco; altre ancora,
essendo forestiere, non ci hanno consentito di conoscere
l’importanza, l’antichità del casato e quindi la loro
storia.
Anche se le fonti sono abbastanza lacunose, resta fermo un
principio, cioè che il matrimonio era un puro contratto
economico redatto da un notaio con i cosiddetti
Capitoli Matrimoniali. Per cui i sentimenti e
l’attrazione fisica erano degli “accessori” estranei
“ai principi etico-religiosi dell’unione coniugale”.
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La donna chiesta in sposa o la
donna che venisse proposta in sposa doveva avere una dote
proporzionata “alla classe
socio-economica del marito”. La regola di questo
meccanismo era l’omogamia, ossia il matrimonio doveva avvenire “nell’ambito
del proprio gruppo socio-economico”.
Nella
storia delle alleanze matrimoniali dei Marocco abbiamo
riscontrato che essi prevalentemente si imparentarono con
famiglie forestiere. Solo nella prima fase della loro
storia, che va dalla fine del Cinquecento al 1662, i Marocco
effettuarono le loro scelte tra le famiglie caiatine (endogamia),
ad eccezione dei Poccella, la cui provenienza non ci è nota.
I Melchiori, i Crescarella, i de Francesco,
i Lamperio, i Cicino, i Foschi, gli Alberti, gli Aversano, i
Matarazzo, e i de Felice costituivano i casati più illustri
dell’epoca, con i quali i Marocco potettero stabilire le
loro alleanze matrimoniali.
Mentre degli Aversano e dei de Felice si conosce poco o
niente, i Melchiori sono passati alla storia per aver preso
parte alla prima Crociata e per aver espresso uomini di
grande valore militare.
Anche
gli Alberti sono passati alla storia per aver preso parte
alla prima Crociata. I Cicino, invece, sono noti per aver
annoverato un pittore, Francesco, attivo nella seconda metà
del Quattrocento, proveniente dalla scuola di Antoniazzo
Romano. |

© Palazzo di Nicola Marocco (ora
eredi Santoro) in via Aulo Attilio Caiatino |
Forse questa famiglia annoverò un altro pittore,
Giovanni Antonio, meno noto di Francesco, probabilmente suo
diretto discendente, attivo nella prima metà del
Cinquecento.
I Foschi, arrivati a Caiazzo nel 1594, occuparono subito una
posizione preminente nella società locale, ma erano ancora
lontani i tempi perché si potesse parlare di essi come una
famiglia storica caiatina.
Con
i Foschi –caso unico- si ebbero ben quattro alleanze
matrimoniali, tra il 1653 e il 1732, e in particolare Fabio
e Giulio Cesare Marocco (1637ca-1709), rispettivamente zio e
nipote, sposarono le sorelle Vittoria e Diana Foschi. Tra
questi matrimoni era inevitabile che si incorresse in
qualche
caso di
consanguineità. |

© A destra, il dott. Diodato
Marocco (1883 † 1976) con la moglie Emilia Panella (col capo
coperto). |
Giovanni
Battista Foschi (1659 † 1720) e Gerolama
Marocco (1670 † 1719), sposatisi nel 1695, erano
imparentati “per
mezzo di 3° grado da una parte e 3/4. da un’altra”.
Il Foschi per ottenere la dispensa pagò 63 ducati.
A partite poi da Carlo (1676 † 1724) fino a
Paolo
Emilio (1777 † 1859), per quattro generazioni
accertiamo che i Marocco si imparentarono con famiglie non caiatine, quali furono i Picone di Grasso, i Calpano e i
Cusano. Con i Picone i matrimoni furono due, il secondo dei
quali fu consanguineo, tanto che “vi
volle una buona summa per la dispensa”. Un altro
matrimonio che riguardò un ramo collaterale fu contratto con
una Calò, della quale non abbiamo ricavato l’origine.
L’unica donna di questa linea che troviamo maritata nel
Settecento, Emilia Rosa (†1781), figlia di Diodato
(1706 † 1764), sposò un caiatino, Cesare Mazziotti.
Questo comportamento ha, forse, una spiegazione: nessuna
famiglia caiatina, evidentemente, era considerata dai
Marocco alla loro stregua.
Se poi con gli Aldi, i Paterni, i
Giorgio, i Mirto, gli Sparano, che pure facevano parte del
ceto notarile, non abbiamo riscontrato alleanze
matrimoniali, è da ritenere che semmai ci fosse stato
pregiudizio esso va ricercato nella rivalità professionale.
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Nell’Ottocento con gli Aldi, gli Spoleti, i Fortebraccio,
gli Sgueglia, i Mastrianni, i Civitella, i Bolognese, gli
Iovinella, gli Insero, i Musco e i Cammarota riprendono,
solo parzialmente, le alleanze matrimoniali con famiglie
caiatine. Fatta eccezione degli Aldi, dei Bolognese e dei
Fortebraccio, le altre famiglie appartenevano tutte a ad una
borghesia minore, segno evidente di una condizione
socio-economica quella dei Marocco non più pretenziosa. |

© Caiazzo (CE) - il castello di Lucrezia
d'Alagno |
Contemporaneamente avvengono matrimoni con
famiglie forestiere, quali i Caputo di Formicola (due
sorelle Marocco con due fratelli Caputo), i d’Amico di
Frasso, i Tirozzi, i de Nisco, i Denza di Caserta, i
Martino, i Berlingione, i Lauro di Teano, i Brayda di
Napoli, i Catanzano di Formia, i Panella di Pizzo, gli
Iannella, i Pagliuca di Alvignano. In alcuni casi ritrattò
di matrimoni con modesti impiegati del telegrafo (i Panella)
o di “fattori” (i Berlingione) dei marchesi Corsi Salviati.
Si ha
così a partire dall’ottocento da parte dei Marocco
l’abbandono dello schema rigido dell’omogamia,
ossia della difesa della chiusa struttura di un
sistema di alleanze che li aveva interessati per secoli. |
Quali le ragioni che portarono ad avere un comportamento del
tutto nuovo nelle alleanze matrimoniali? Intanto, già a
fine Settecento, la famiglia si era divisa con Fabio
(1747 † 1843) i due rami, nel momento di massima ascesa
sociale. Una divisione genealogica che la dovette indebolire
sotto il profilo patrimoniale.
Tra i discendenti di Fabio ci fu solo suo figlio Diodato
(1809 † 1846) ad intraprendere la strada del sacerdozio. Il
celibato ecclesiastico restò solo nella tradizione del ramo
primogenito, subendo comunque una flessione in termini di
vocazione. Con l’emanazione del
Codice Napoleone negli stati della penisola,
Mezzogiorno compreso, venne abolito il
lignage e con esso i privilegi che godevano
i figli maschi nell’ancien
règime, le donne entrarono a pieno titolo e a parità
di diritti nelle successioni ereditarie. Caddero così le
differenze che dividevano i primogeniti dai cadetti e i
maschi dalle femmine.
Il ramo primogenito, una generazione dopo quella di Fabio,
diede luogo ad una nuova linea cadetta con Nicola
(1778 † 1828), che fu magistrato. La superficialità impedì che
il figlio Pietro (1812 † 1885), non prendesse coscienza del
ruolo che occupava il padre e la famiglia. Non conseguì
alcun titolo accademico, determinando la decadenza della sua
discendenza (suo nipote Francesco emigrò per alcuni anni in
Argentina), che riacquistò un certo prestigio sotto il
fascismo.
Consapevoli del rischio di essere stati imprecisi, ci
avviamo alla conclusione della nostra ricerca sui Marocco,
non prima, però, di aver fatto una precisazione.
In questa ricerca abbiamo trattato la storia dei Marocco
nella complessità delle sue ramificazioni e questo non deve
indurre a credere che tra loro ci sia stata una sorta di
interazione che contribuisse alla reciproca crescita. Le
ricerche che da anni conduciamo sui comportamenti dell’èlite
caiatina ci hanno dimostrato esattamente il contrario. |
Quando si parla di storia di una famiglia, ogni ramo va
indagato e studiato separatamente dagli altri, perché ognuno
di essi ha potuto avere una sua storia sociale, economica,
politica e culturale. Pensare che queste famiglie fossero
unite sotto questi aspetti è quanto mai errato. In termini
di parentela allargata si può parlare al massimo solo fino
alla prima generazione dopo quella che ha dato luogo ad un
nuovo ramo. Prendendo ad esempio i Marocco, possiamo
ritenere che essi si sentissero appartenenti alla stessa
famiglia fino ai figli di Giovanni Battista (1745 † 1808) e
Fabio (1747 † 1843), perché, come abbiamo visto, da quest’ultimo
il notariato passò di mano al nipote
Paolo
Emilio (1777 † 1859).
Una conferma di questo comportamento ci viene dalla storia
professionale degli Aldi, molto simile a quella dei Marocco,
e dai
Libri di Memorie dei Foschi e dei Paterni.
Queste
fonti dimostrano che le annotazioni riguardavano la linea
diretta delle famiglie che avevano istituito i
Libri.
Tralasciando i rami collaterali.
E’ emblematico il caso dei
Paterni che non fanno alcun cenno nel loro
Libro
alle circostanze
tragiche che causarono la morte del notaio Giovanni Paterni
avvenuta nel 1874. Più si allargava
la parentela più si allontanava il ricordo di appartenenza
alla stessa famiglia.
Ciò deriva dal fatto che la borghesia riuscì ad imitare
l’aristocrazia del regno di Napoli in tutto tranne che nella
possibilità di esprimersi con “una precisa strategia di
lignaggio”. |

© Caiazzo - Scala prospettante
sul cortile di palazzo Marocco |
In ogni caso l’élite caiatina, ivi compresi i Marocco, per
conservare alto il potere e il prestigio, ha saputo –in ogni
epoca- cercare alleanze anche al di fuori del proprio gruppo
familiare.
I
MAROCCO : UNA FAMIGLIA DEL
CETO
CIVILE CAIATINO
di Nicola Santacroce
Archivio Storico del Caiatino 2001/2003 vol. III
Si ringrazia l'Associazione Storica del Caiatino per aver
consentito la pubblicazione del saggio con relative foto. |
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