
Ovvero delle Famiglie
Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili
di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti
alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate
chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che
abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia.
|
Cronaca storico sociale e politica dei
titoli nobiliari.
A cura del Conte don Pietro Giovanni Suriano |
Analizzare con appropriata accuratezza l’origine dei
titoli di nobiltà, richiede una analisi storico politica
e sociologica invero non indifferente, esauribile
esclusivamente con una trattazione dettagliata e
corposa, che può essere composta solo attraverso una
stesura corposa degli avvenimenti storici, dei
cambiamenti sociali e delle opportune linee politiche
che si sono alternate nel divenire dei secoli. Tutto ciò
non è confacente ad alcuna pagina web, che richiede
molta sintesi e comprensione intuitiva dei fatti,
sollevando però interesse ed attenzione con una forte
componente di una curiosità legittima ed un desiderio di
approfondimento personale del lettore, più interessato e
che spero possa trovare soddisfacimento e completezza in
una successiva opera letteraria dedicata all’argomento. |

Santa Severina, uno dei
più bei borghi della Calabria, particolare drappella
araldica di rappresentanza del nobile
Carafa della Stadera infeudato dal Re d'Aragona,
seconda metà del XV secolo. Al centro, sull'elmo, la
corona di re
Ferrante I d'Aragona, avente come
cimiero un leone di rosso nascente con le ali di drago e
zampe d'aquila. |
I primi sviluppi di una oligarchia
aristocratica. |
Possiamo
senza alcun dubbio risalire alle origini della nostra
cultura classica per individuare come le caste
aristocratiche siano state sempre al centro della
conduzione delle città stato, le poleis greche e di
quella città stato che in breve tempo divenne essa
stessa a capo di un grande impero: Roma.
L’origine
dei “titoli” di nobiltà o meglio della casta
aristocratica (da
άριστος, àristos che signifia il migliore, l’eccellente
e κράτος,
cràtos,
potere ) può dunque essere
ricondotta ad una sociale necessità di riconoscere i
meriti e le gloriose gesta di una tipologia particolare
di uomini: guerrieri, che furono soprattutto i padri
fondatori della patria.
Gli “aristos”,
possedevano dunque, oltre alle fortune materiali,
soprattutto l’orgoglio di essere stati i conquistatori e
maggiori proprietari di vastissime terre che avrebbero
poi contribuito a formare le poleis, a loro medesimi si
doveva la reale costituzione della patria e della
conoscenza politica e filosofica, che avrebbe fondato le
basi per la nascita poi della cultura occidentale. Da
Tucidite ci pervengono le frasi di Pericle che ebbe a
dire che “nessuna imitazione di altre costituzioni di
stati fu perseguita per fondare il diritto politico
greco, bensì furono le altre nazioni ad imitare quella
costituzione greca”.
Tutta la
tradizione politica, sociale e religiosa greca passò nel
tempo all’impero romano. Roma raccolse con pienezza
quegli intenti, con maggiore apertura verso l’esterno,
così l’eredità del mondo Greco antico si riversò su Roma
che ne ampliò i significati e diffuse tale cultura in
tutto il mondo allora conosciuto.
In Roma la
casta dei padri fondatori: gli Optimates in latino (gli
eccellenti, coloro che stavano sopra tutti, gli
aristocratici), costituirono quell’oligarchia che
apparentemente, sotto il titolo eufemistico di
democrazia, attraverso la prima forma di parlamento di
una nazione, che fu il senato di Roma, governarono
quella città importante e successivamente l’impero
stesso. Mi permetto di ricordare che lo stesso
Imperatore di Roma, il primo vero imperatore:
Ottaviano Cesare Augusto, fu certamente proclamato
Imperor, Duce supremo degli eserciti (dunque un
titolo esclusivamente militare) dal Senato di Roma, ma
da questi fu anche proclamato Augusto e padre della
Repubblica, che era il bene più esclusivo posseduto
dall’oligarchia dominante degli Aristocratici.
A questi
poi si affiancarono quei popolani (populares) che
accrebbero la loro posizione sociale diventando ricchi,
rendendoli così accetti agli aristos, ossia agli
aristocratici o come era uso romano dire: gli optimates
(gli eccellenti). La nuova classe sociale emergente fu
accetta agli aristocratici, che li definirono nobilis.
Da quel momento il termine si sarebbe diffuso per
sottintendere la classe dirigente della più potente
città a capo di un immenso impero come fu Roma e dunque
avrebbe di poi condizionato ogni cultura e formazione
socio politica in occidente.
In realtà
vere e proprie demarcazioni gerarchiche, tra i
componenti dell’aristocrazia e dei nobili
dell’antica Roma, non erano tanto marcate se non per un
tipico orgoglio delle famiglie di origine antichissima
risalenti ai padri guerrieri della patria e per i
sentimenti più pratici dei nuovi ricchi, che avevano a
suon di denaro ottenuto una posizione nobiliare di
privilegio, dunque il confine fra questi era pressoché
sfumato. Cicerone diveniva proprio da questa classe di
arricchiti e nobilitato riuscì a far parte di diritto
del senato e certamente la sua fortuna personale
prosperò enormemente.
Tuttavia
già si possono intravedere gli embrioni di quello che
saranno poi le gerarchie nobiliari osservando quale
fossero le cariche più importanti fra le classi
dominanti dell’antica Roma. I Patres (patroni, etimo
derivato da pater familias) ossia i patrizi e
dunque tutti i più grandi aristocratici e senatori
compresi i nuovi nobili), che costituiscono il nerbo
portante della società aristocratica romana, da cui
verranno scelti i tribuni, i consoli e poi gli
imperatori (da imperator ossia potere supremo militare,
considerare ciò è molto importante). Ancora occorre
individuare nella politica militare dell’impero quelli
che avrebbero determinato una reale scala gerarchica
dell’alta aristocrazia: Il duce in primo luogo,
dux nella lingua latina, inizialmente attribuito in modo
onorifico, era una consueta acclamazione atta ad
identificare un grande e valoroso generale al comando di
armate importanti, costituite da molte legioni. Questi
deteneva un potere politico e militare su vaste zone
dell’impero, connotate da ampie regioni che avevano una
affine tipologia di popolazione, esempio l’Aquitania, le
cui popolazioni erano costituite da tribù appartenenti a
ceppi simili.
In questo caso il duce poneva il suo
comando sia militare che politico, in nome di Roma, su
vastissimi territori dell’impero. Successivamente nel
basso medio evo e particolarmente nel periodo
carolingio, tali regioni furono chiamate ducee o
ducati, originate appunto dal nome duce: Dux. Ne
derivò il titolo di Duca. Titolo importante e di
grandissimo prestigio, che si pone immediatamente sotto
al potere dell’Imperatore e ovviamente del senato
dell’Impero.
Con
l’avvento del Sacro Romano Impero di Carlo Magno il
senato cessò la sua funzione di parvenza democratica per
cedere il posto al potere autarchico dello stesso
imperatore, che accentrava a se il potere supremo del
comando militare (Imperator) e quello di reggere il
governo del popolo e dello stato (Rex). Ovviamente
attorno al 800 dopo Cristo il titolo ducale era di per
se stesso un titolo di attribuzione imperiale, ancora
non trasmissibile in linea dinastica, ma sicuramente
sovrano nella regione dell’impero che era destinata a
quel duce. Ebbe tale prestigio che molte nazioni future
come quella russa, austriaca, polacca, inglese ecc. ne
fecero un titolo superiore a quello di principe non di
sangue reale.
In ogni
caso contrariamente all’origine aristocratica delle
famiglie romane, nell’era carolingia i titoli nobiliari
non erano inizialmente trasmissibili ereditariamente.
Sarà la convenzione adottata nella capitolare di Quietzy,
proposta da Carlo il Calvo come testo normativo datato
nel giugno del 877 nella città di Quierzy sur Oise, a
gettare le basi perché i nobili cavalieri ed i vari
titolati potessero trasmettere alla propria genia sia il
titolo posseduto che i feudi investiti.
L’origine
del titolo comitale, ossia quello di conte, trae
origine sempre dall’etimo latino: comes, compagno
(d’armi), un fedele accolito del duce o dello stesso
imperatore, che concedendo questo titolo avrebbe reso
omaggio ad un suo fedele condottiero. Ovviamente se il
titolo comitale fosse addivenuto per meriti verso il
medesimo imperatore, o meglio ancora uno dei più fedeli,
questo veniva accompagnato dal titolo di palatino,
ossia conte di palazzo, con mansioni di controllo
esecutivo ordinario e straordinario dei decreti
imperiali su tutto lo stato- impero. Altresì il conte se
vassallo di un duca aveva mansioni di potere appunto
sottomesso, vassallatico verso il suo sovrano - duca e
sicuramente sub judice, verso l’imperatore. Tuttavia il
conte poteva essere nominato direttamente
dall’Imperatore con compiti politico militari su una
contea che era generalmente una provincia dell’impero
formata da una popolazione in genere omogenea e formata
da un ceppo indigeno che presentava una affinità di
tradizioni e costumi ed i cui confini di villaggi e
territori coincidevano con quelli atavici di queste
popolazioni. In Germania tali terre corrispondevano ai
Land e il termine di conte in terre alane, germane ecc,
fu appunto di Langravio. Un esempio classico di
Contea, ai tempi a cavallo tra l’alto medio evo ed
il basso, fu quello della vastissima provincia della
Savoia, posta a confine tra il territorio franco gallico
e le popolazioni decisamente italiche, ma dai confini
più ridotti rispetto alle ducee o ducati.
Diversa è
l’origine delle marche che in quel tempo
caratterizzavano lontane provincie poste ai confini
dell’impero, un esempio erano le terre d’Austria e
Ungheria, che dividevano decisamente le popolazioni
cristiane da quelle musulmane, ambedue erano marche e
venivano affidate ai più fidi conti dell’impero che
presero quindi il nome di Conti delle marche del confine
e poi definiti direttamente marchesi o mangravi,
termine pare sia di origine germanica, affidatari di un
potere decisamente straordinario rispetto ai titoli già
descritti, perché necessitavano di un più rigido
controllo e soprattutto di maggiori uomini in arme. Un
famoso Mangravio (Marchese) d’Austria fu nel 1077 San
Leopoldo III il Pio. Un altro esempio classico di marca
era quello della Britannia delimitata dal confine con il
Galles e la Scozia dal Vallo di Adriano, estremo lembo a
nord dell’impero.
Mancano
ancora diversi titoli per comprendere poi come si formò
la gerarchia nobiliare successiva. Due in particolare
presentano una analoga affinità e quasi identiche
prerogative: principe e barone. Cosa assai
importante è che la gerarchia nobiliare, invero assai
sfumata, fosse comunque direttamente dipendente dalle
leggi e dai decreti dell’Imperatore, cosa che invece
sarà differente per il Barone del regno, godente
di una grande autonomia legislativa e decisionale.
Il titolo
di principe deriva sempre dal latino princeps e
sta ad indicare in generale il primo fra tutti,
l’eletto, quello che è destinato al comando supremo,
soggetto esclusivamente all’autorità dell’imperatore, ma
a differenza del titolo ducale non possiede una
prerogativa amministrativa e politica autonoma, è
semplicemente un titolo d’onore inizialmente destinato
ai figli dell’imperatore, re dei popoli, dunque alla
stirpe reale, sottolineo all’attenzione dei molti la
parola: inizialmente, ciò sta a significare che tra i
principi di sangue reale o imperiale v’era quello
destinato al potere supremo imperiale, de deriva che il
titolo di principe di sangue era l’unico a
trasmissione ereditaria, non potevano fregiarsi altri se
non di sangue reale. Il principe (reale) diveniva
dunque il prescelto alla successione sovrana, per divina
volontà, in questo i testi antichi si rifanno
all’unzione del giovane Davide, avvenuta per scelta
divina, come principe degli Israeliti. Naturalmente
molti influssi delle tradizioni locali, dei costumi e
della cultura, fecero sì che specie in Germania, ma
anche in Russia si iniziasse a nominare i vari potenti
baroni di vastissimi territori, come principi. Questo ci
permette di comprendere meglio il significato intrinseco
del “titolo” di Barone.
In parte
ammantato di fascino e mistero quello baronale più che
un titolo nobiliare, corrisponde ad un mandato,
originariamente voluto dalle tribù, dai clan, che il
barone governava. Infatti studi credibili danno come
versione più attendibile la tradizione delle tribù
germaniche ed il loro alto senso della disciplina e
della natura guerriera delle loro numerose e bellicose
tribù, che avevano come capo supremo un Barho, ossia un
Duce che normalmente, ed in tempo pacifico, amministrava
le funzioni politico sociali delle grandi tribù dei vari
ceppi germanici, ascoltando quanto emergeva dal
consiglio degli anziani ed esprimendo poi un giudizio
risolutivo. Invece in periodo di guerra avocava a se
ogni potere decisionale. Parrebbe che solo alla fine
dell’aureo periodo dell’Impero romano, la voce di
origine germanica di Barho sia stata poi declinata in
latino come Baro, baronis ecc. che sta ad intendere un
signore potentissimo. In realtà risulta assai credibile
che lo stesso Carlo Magno abbia voluto introdurre questo
titolo, per la rispettosa ammirazione verso quei popoli
barbari germanici e che lo abbia esteso con una
caratteristica particolare: il termine di Barho sta ad
intendere un uomo libero dai vincoli delle regole e dei
costumi, egli stesso fonte di giustizia.
Dunque la
nomina dei primi baroni era estesa a tutti i Conti,
Duchi e Marchesi dell’impero che all’avviso
dell’imperatore fossero degni di essere affrancati dalle
sue leggi e pur restando fedeli all’imperatore sotto
vincolo del giuramento, potessero essergli vicari in
ogni modo, supplendo ove necessario loro stessi con
autorità imperiale alle necessità della regione da
questi governata. Nacque così il titolo di barone del
regno o dell’impero come qualifica di potere quasi
assoluto, libero di amministrare le leggi mediante il
mero e misto impero decretato dallo stesso
imperatore, per rendere autonome quelle provincie o
regioni dell’impero, piuttosto difficili da governare
secondo le regole Franche e che occorreva fossero
governate secondo le convenienze che venivano dettate
proprio dal barone, il quale poteva essere un duca, un
conte un marchese. Per molto tempo, fino alla fine del
basso medio evo, il titolo più prestigioso era appunto
costituito dall’essere ad un tempo cavalieri titolati e
baroni del regno. Molti famosi Duchi amarono infatti
essere appellati con la qualifica di barone piuttosto
che con il titolo nobiliare posseduto, un classico
esempio fu il duca d’Aquitania o di Bordeaux. Ed appunto
di qualifica amministrativa e politica si trattava. In
effetti barone, come titolo nobiliare posto ad intendere
una investitura feudale su un territorio, nascerà molto
più tardi nell’alto medio evo. In buona sostanza essere
barone del regno rappresentava un mandato imperiale che
contraddistingueva una distinzione superiore, che
affiancata al titolo nobiliare, ne sottolineava il
potere e la potenza presso l’impero ed il suo sovrano.
Non a caso
nella storia si parla spesso di guerra dei baroni per
indicare le maggiori rivolte dei nobili contro le varie
corone regnanti, condotte da duchi o conti che
agognavano ad una maggiore sovranità, esempio ne sono le
guerre dei baroni inglesi contro Giovanni senza Terra
per ottenere la magna carta, o quelle dei baroni in
Trinacria contro la corona d’Aragona. Nel potente regno
d’Aragona ancora entro il XIV secolo si parla di Barones,
come i componenti della maggiore nobiltà ossia i
Fueros (Ricos Hombres) della più antica aristocrazia
e pari del re, addirittura la corona dei Fueros
assimilabile a quella dei duchi, ma era conformata da
punte simili a chiodi alternate con le lance uncinate e
su tutte le punte era simbolicamente posta una perla
d’oro. |

Corona dei Fueros d’Aragona (simile a quella dei grandi
di Spagna - all’antica-) chiusa da tocco rosso. Nella
specifica l’arma dei
Suriano di Sicilia nel titolo di Sant’Andrea e
Sant’Elia, Serenissimi Baroni del regno d’Aragona. |
Come spero
si possa evincere da quanto detto, appare subito
evidente che l’origine dei titoli nobiliari affonda le
sue radici soprattutto sul comune fattore d’essere ad un
tempo formidabili guerrieri ed abili condottieri, dotati
anche di capacità organizzative politiche. Infatti
questo era un presupposto importantissimo per riuscire
ad essere notati dal duce o dall’imperatore, fra quella
classe di guerrieri che potevano permettersi poi di
possedere un cavallo con tutto quanto questo
comportasse: costosi finimenti, scudieri e servi per
accudire ciò che fosse necessario per il cavaliere ed il
cavallo. Direi proprio che il primo embrione comune del
potere nobiliare, come titolo di distinzione, si possa
riferire sia nelle ere antiche che nel medio evo proprio
a quello di “cavaliere”. In realtà non era così
semplice e facile poter possedere un cavallo nei tempi
antichi. La cavalleria fu determinante per tanti secoli
nella risoluzione delle battaglie ed il fascino di
appartenere a questa categoria di privilegiati spinse
molti giovani, provenienti da ricche famiglie, ad
avventurarsi per divenire “cavalieri”. Nel corso del
tempo l’essere cavaliere divenne un grande privilegio
nonché la condizione essenziale per essere parte della
aristocrazia guerriera, ciò nobilitava il cavaliere e lo
rendeva importante agli occhi dell’imperatore. Essere
cavaliere apriva certamente la strada alla gerarchia
nobiliare e prima o poi un cavaliere sarebbe entrato fra
i “comites” compagni d’armi dello stesso sovrano dunque
meritevoli d’una corona puntuta.
Prima di
continuare nella trattazione sui titoli di nobiltà,
credo sia importante un breve cenno sul significato
della corona di nobiltà. Il serto di mirto e
alloro che incoronava i Cesari, stava ad indicare una
posizione di gloria e di supremazia. Tale originale
corona cedette il posto, successivamente nell’era
cristiana, a quella contornata di spine, ad immagine ed
imitazione di quella ben più grave che circondò il capo
di nostro Signore Gesù Cristo. Ed infatti
nell’immaginario collettivo, ancor oggi nel XXI secolo,
le corone che i bimbi disegnano ingenuamente, sono
sempre con il bordo superiore contornato da orlo
puntuto. Ciò indica chiaramente che l’originale
significato della corona era quello di reggere il peso
dell’enorme responsabilità del governo del popolo, sotto
l’unzione del vicario di Cristo in terra ossia il
Pontefice. Originariamente le corone avevano la semplice
caratteristica di avere il bordo superiore contornato da
punte ad imitazione delle spine, con cui fu confezionata
la corona di rovi posta sul capo di Gesù, e lance ad
imitazione della lancia ben più famosa che fu penetrata
nel costato di Nostro Signore. Una corona simile è
quella adottata dai fueros d’Aragona (corona
all’antica), ove chiaramente si possono immaginare sia
le punte ad imitazione delle spine che quelle a
imitazione della lancia. Non tardò molto che fiorirono
sulle corone ornamenti e fronzoli vari che nulla avevano
a che vedere con l’impegno di un principe cristiano. In
qualche caso come nella corona reale inglese viene
mantenuta questa originalità delle lance (anche se
spesse volte si è portati a credere che si tratti di
sinterizzazioni dei gigli) e delle croci alternate, in
tangibile segno di volontà divina della reale dinastia.
Naturalmente anche le gemme che ornano la corona hanno
un significato assai importante: le perle sono
segno della purezza dello spirito e della trasmissione
della fede, lo smeraldo è simbolo stesso della
Fede ed il rubino è sicuramente indicativo del
prezioso sangue di Cristo, mentre il diamante
rappresenta la luce della resurrezione e dello Spirito
Santo. Naturalmente anche per questo argomento non
basterebbe un trattato per meglio dirimere i vari dubbi
sulla originalità delle corone, ne sono tangibile
esempio quella del triregno del Pontefice, quella degli
‘Zar (da Caesar), quella dello stesso imperatore Carlo
Magno, hanno simbolici significati assai spesso
collegati con il fatto di essere principi unti (dalla
chiesa) in difesa della Fede Cristiana.
Vediamo di
analizzare ora i significati di altre distinzioni
nobiliari:
Patrizio: Figlio di padre (nobile) Patricius,
atavicamente questo titolo derivante da patres o
patrono, messo a capo di una certa genealogia di uomini
di importanza, era indicativo dei nobilissimi
appartenenti al senato della città. Ovviamente tutti gli optimates erano patrizi, e soprattutto erano patrizi di
Roma, ciò stava ad individuare il massimo della
aristocrazia dell’impero. In realtà, come il titolo di
Barone del regno, quello di patrizio non poteva essere
collocato in una generale gerarchia nobiliare, perché
essenzialmente al di sopra della medesima. Così i
patrizi dell’antica Roma erano per antonomasia gli aristos, ossia gli aristocratici, gli eccellenti i
prescelti. Con il passare dei secoli gli eccellenti
delle varie città venivano ad essere classificati e
riconosciuti come patrizi, soprattutto se discendenti da
generazioni di antica aristocrazia. Oggi, l'unico
Patriziato esistente in Italia con funzione è quello
della
Deputazione della Cappella del tesoro di San Gennaro. Leggermente
differente era il titolo di nobile, che molto
spesso era legato a sottolineare un appartenente ad una
nobile famiglia titolata, ma come cadetto della
medesima, per cui si riconosceva la sua nobiltà come
appartenente a quella dei tal conti, o dei tal baroni
ecc. ecc., altre volte il titolo di nobile veniva
conferito per particolari meriti verso la corona o verso
l’impero o il regno. Ciò non implicava una sostanziale
differenza se non nel fatto medesimo che generalmente i
patrizi erano chiamati a rappresentare i pubblici uffici
e soprattutto a tenere alte cariche accademiche ecc.
Nobile era condizione necessaria per accedere di diritto
alla cerchia dell’aristocrazia. A pari merito di questi
possiamo senz’altro accennare ad un altro titolo di
nobiltà, posto indicativamente nella parte più bassa
della gerarchia nobiliare, ma sicuramente specie dopo la
capitolare di Quierzy, in quella fascia importante di
concessione ereditaria del titolo alle proprie genie ed
indispensabile per chi intraprendeva la carriera
militare, affinché potesse agognare poi a titoli ben più
prestigiosi. In realtà tutti i nobili usavano in buona
maniera esser “cavalieri fra loro”. Difatti era uso
dire che non si parlava fra nobili di alto lignaggio, ma
che si parlava fra onorati cavalieri.
Per ultimo,
ma non certo per importanza, vorrei citare su alcuni
titoli nobiliari, che spesso sono motivo di incertezza e
di perplessità per la loro naturale posizione gerarchica
(in apparenza), molto volte contraria alla loro
importanza.
Mi
riferisco i titoli di visconte, barone e
signore. Abbiamo già detto l’importanza che
negli albori del medio evo rivestì il titolo di barone
del regno, titolo che successivamente (attorno al
1430-50) scomparve quasi del tutto, ebbene le sue
connotazioni socio politiche però perdurarono, infatti
il sinonimo di barone era quello del signore potente,
posto al comando di ogni cosa su cui egli avesse mandato
e soprattutto con il potere molto ambito del mero e
misto impero. Nulla si poteva fare nel feudo che non
fosse ordinato dal barone, questo accadeva anche in età
rinascimentale ed in alcuni stati anche fino alla fine
del periodo feudale. Alcuni autori fecero distinzione
tra titolo di barone maggiore e quello di barone minore,
ma questa classificazione non fu molto apprezzata. Il
titolo di barone rispetto agli altri era quello che più
veniva ripetuto nelle discussioni dei popolani, si
parlava in genere di baroni per indicare proprio le
classi più agiate dei nobili. Attorno al 1600 questa
concezione comune contribuì a far si che quelle classi
di mercanti arricchiti, ed in genere dei nuovi ricchi,
agognassero almeno a possedere il titolo baronale. Ciò
generalmente poteva avvenire per la dichiarata
ignominia di qualche nobile cui veniva confiscato il
feudo o per l’assenza di alcun erede nella trasmissione
legittima del feudo, per cui questo veniva concesso ad
un notabile, nobile generalmente, che aveva acquisito il diritto di poter
riscattare il feudo in questione e la sua titolarità
baronale, sicché iniziò proprio con questi titoli di
nobiltà una sorta di mercimonio, tra i nuovi ricchi e le
varie autorità del regno e o dell’impero per aver
riconosciuto un titolo, che potesse poi loro far
ottenere un importante riconoscimento nobiliare, come
quello di barone. Così barone nacque realmente come
titolo feudale e non più come incarico regale di enorme
importanza e capace di Fons Honorum e di diritti
sovrani. Naturalmente l’importanza di questo titolo fu
difforme: nei paesi di origine germanica, già nel
rinascimento era più un titolo nobiliare onorifico,
seppur importante, che non un vero e proprio segno di
potere feudale, ciò costituisce proprio un paradosso,
difatti l’origine di barone del regno è proprio tipica
di quelle terre. Invece in Inghilterra tale titolo da
diritto ad entrare a far parte della camera dei Lords
(Signori) ancor oggi e corrisponde generalmente ad una
ampia concessione di terre, un tempo feudali.
Il titolo
baronale fu più diffuso nei paesi governati dalle
dinastie spagnole, nel sud Italia è infatti più diffuso
che altrove.
Il titolo
di Signore, ormai quasi del tutto scomparso in molte
gerarchie nobiliari, era invece sovrapponibile a quello
di barone e ne seguì pure la stessa sorte evolutiva,
possiamo forse dire che il titolo nobiliare di signore
corrispondesse con una titolarità feudale in genere più
piccola di quella baronale, ma così non è nella realtà.
Occorre dire che il titolo di Signore Serenissimo
(Serenissimus Dominus, come si evince nei documenti di
investitura) era quello con cui ci si rivolgeva
nell’alto medio evo al Barone del regno o ad un duca,
corrisponde a quello di altezza serenissima. Ossia era
un diritto ed un privilegio riservato appunto: ai Baroni
del Regno, agli Arcivescovi ed ai Duchi, tale ossequio
poteva essere anche rivolto con il distinguo di Vostra
Grazia o Vostra Signoria Eccellentissima. Si comprende
come queste varie etimologie dei titoli, nel corso dei
secoli abbiano poi mutato le loro caratteristiche per
accondiscendere ai cangiati usi. Non più nobiltà di
origine prettamente guerriera, ma nobiltà assai spesso
legata alla ricchezza mercantile. La medesima sorte ebbe
il titolo di Visconte, che nella etimologia Franca stava
ad indicare un vassallo di un gran conte che avesse con
la titolarità comitale, condiviso e governato per sua
delega una parte di un vasto contado, che possedesse
diversi castelli di difesa, a capo di qualcuno di questi
era generalmente uso affidarne il governo ad un vice
conte, appunto visconte. Un esempio classico mi sovviene
proprio dalla storia della nostra famiglia, del ramo di
Sicilia, fummo parenti ed insieme nemici acerrimi del
visconte di Bas e di Cabrera, giusto don Bernart
Cabrera, che era diretto vassallo del Conte di
Barcellona e duca di Luna Martino di Montblanc (il
vecchio) e governava due vasti feudi con annessi
castelli, ciò avveniva prima di divenire il nuovo conte
di Modica e Ragusa e tiranno in Sicilia e dopo aver
fatto assassinare il mio avo Duca e gran Priore di S.
Andrea e S. Elia Don Giovanni
Suriano. |
Cronaca dei Titoli nobiliari successiva al medio evo. |
Da quanto
suddetto spero si possa avere già un’idea della
corrispondenza tra i titoli nobiliari e le loro varie
mansioni all’interno dell’apparato dello stato di
appartenenza, fosse regno o impero.
Naturalmente con le ere, cambiò pure la geopolitica dei
vari stati sovrani e soprattutto cambiarono i costumi e
le tradizioni. I titoli di nobiltà cominciarono a non
corrispondere più con quelli classici dell’alto
medioevo. Anche qui mi sovviene un esempio classico: il
gran Conte Ruggero giunse in Sicilia per liberarla dal
giogo musulmano, riuscendoci egli assunse la corona di
conte di Sicilia, ma in breve tempo a ragione delle
caratteristiche continentali, quale crogiolo di
molteplici culture, che possedeva quella Terra,
indispensabile ponte di comunicazione tra oriente ed
occidente, la contea di Sicilia divenne regno sotto
Federico II di Svevia
e I di Sicilia, mentre la Calabria strettamente legata
alle sorti del regno di Sicilia divenne ducato, così
come la Puglia. |

©
Napoli - statua di Federico II di Svevia |
Già in quel periodo
si evidenzia come i titoli di nobiltà non corrispondano
più a quelli antecedenti del periodo carolingio.
Tuttavia ancora si può ragionevolmente considerare come
legittima o comunque ancora vicina alle classificazioni
dell’alto medio evo la corrispondenza dei titoli
nobiliari.
Attorno alla seconda metà del 500 iniziarono a
proliferare invece le vendite dei titoli nobiliari,
corrispondentemente all’emergere delle grosse imprese
mercantili, dovute soprattutto all’impressionante
aumento degli scambi commerciali ed all’ingresso in
Europa di enormi quantità d’oro e d’argento proveniente
dal nuovo mondo. Si ebbe un esponenziale aumento di
nuovi ricchi, che molto spesso non solo competevano per
ricchezza con i vecchi aristocratici, ma li superavano
smisuratamente in ricchezza e potere. Gli arricchiti
divennero così molto numerosi in Europa. In breve con la
potenza del denaro si riuscì a soffocare l’orgoglio
dell’antica aristocrazia, molti mercanti divennero duchi
e principi in breve tempo, favoriti dalle enormi fortune
in oro sonante, che avevano accumulato e con cui
potevano assoldare interi eserciti, da competere
addirittura con gli imperatori. Ma gli stessi sovrani
trovarono facile profitto nel concedere onorificenze e
titoli poggiati solo sul cognome o ridimensionando in
scale infinitesimali i territori da governare, creando
nuovi e più piccoli ducati, marche e contee, ma
addirittura si coniò il titolo di principe non di
sangue, perché fossero credibili pure gli introiti
che da questa vendita ne derivavano alle casse dei vari
regni, per avere una vaga idea del fiume di denaro che i
sovrani potevano incassare da un titolo nobiliare
importante come quello ducale. Forse la sola
Inghilterra fu scevra, in parte, da questo mercimonio.
C’è da dire che naturalmente con la ricchezza ed il
benessere aumentò pure la popolazione, così se prima
l’intero territorio della Gallia poteva contare poche
migliaia di abitanti, nei secoli che stiamo
considerando, già l’intera popolazione del territorio
Franco di una volta era sovrapponibile a quella della
sola Parigi o di Aquisgrana, ecc., ciò legittimava la
necessità di creare nuovi titoli e nuovi confini feudali
per dar credito ad essi.
Un conte
palatino dell’imperatore Carlo Magno certamente deteneva
un prestigio superiore ad un qualsiasi duca dell’età
rinascimentale, non per questo le gerarchie nobiliari
trovarono la necessità di incrementare il numero dei
titoli nobiliari, affinché potessero riflettere il reale
potere espresso dalla loro funzione. Nell’era
relativamente recente, intendo a partire dal XVIII
secolo, molti furono i cambiamenti epocali, che
determinarono una totale rivoluzione dei costumi e delle
conseguenti necessità sociopolitiche, questo accresceva
il potere dei mercanti e fra questi quelli che a ragione
delle loro enormi fortune avevano ottenuto pure la
condizione di nobiltà.
Per molto
tempo fino agli albori del secolo scorso, il concetto di
nobiltà restava ancora strettamente legato agli orgogli
aristocratici, questo avveniva perché si potessero
evidenziare le differenze sostanziali da chi provenisse
per nobiltà da antichissime famiglie, legate alla
storia, per aver esse stesse fatto la storia ed essere
entrate nella leggenda o da chi invece provenisse da una
nuova nobiltà costruita sul potere economico. Altro non
era rimasto all’antica nobiltà, per soddisfare il
proprio orgoglio di nascita. Era uso infatti soprattutto
nelle case di origine spagnola di evidenziare sempre il
primo titolo nobiliare che si fosse posseduto, specie se
questo era collegabile ad ataviche investiture. Così in
un esempio esauriente si scriverà di seguito un elenco
di titoli a partire da quelli più atavici, badando bene
che l’aggettivo si leghi al titolo più importante: Conte
e Barone serenissimo di Chiuhela e … Duca di
Sant’….Marchese nel nome e di…. e così via. E’ evidente
che i titoli di Duca e di Marchese siano gerarchicamente
più alti di quello di Conte, mentre alla surroga
imperiale di Barone del Regno, ogni titolo veniva messo
in secondo ordine, secondo la logica della descrizione
dei titoli a partire dalla loro voluta dimostrazione di
atavica nobiltà, il titolo di Conte sottolinea, nel
contesto della frase di presentazione, l’antichissima
aristocrazia, se precede in tal guisa i titoli di Duca e
di Marchese, a sua volta il titolo di Barone
serenissimo sottolinea il potere anch’esso antichissimo
di mero e misto impero posseduto da quel nobile. Ciò era
modo elegante e sottile per rimarcare la propria
illustre ed aristocratica progenie.
In ultimo
vorrei solo accennare ad alcuni dei numerosi doveri cui
doveva attendere un nobile in generale ed un barone in
particolare per onorare il proprio mandato. Sicuramente
la fedeltà al proprio sovrano, poi la colletta da oblare
all’erario sui proventi del feudo, tra i quali era
compresa la fornitura di uomini d’arme e o cavalieri
armati di punto e quanto abbisognasse loro per le
campagne di guerra, nel caso fossero sopraggiunte;
ancora occorreva che il giuramento di fedeltà e
l’investitura feudale avvenissero ad ogni cambio
generazionale. Ma questo è ancora un altro vastissimo
argomento su cui occorrerebbe più di una trattazione.
|

Spada alla spagnola a
lama a doppio taglio. |
“Non c’è Barone senza Terra ne Re
senza Regno”
Don Pietro Giovanni Suriano |
Copyright © www.nobili-napoletani.it
-
All rights reserved
|
|