Ovvero delle Famiglie Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia. 

Cronaca storico sociale e politica dei titoli nobiliari.
A cura del Conte don Pietro Giovanni Suriano

Prefatio

Analizzare con appropriata accuratezza l’origine dei titoli di nobiltà, richiede una analisi storico politica e sociologica invero non indifferente, esauribile esclusivamente con una trattazione dettagliata e corposa, che può essere composta solo attraverso una stesura corposa degli avvenimenti storici, dei cambiamenti sociali e delle opportune linee politiche che si sono alternate nel divenire dei secoli. Tutto ciò non è confacente ad alcuna pagina web, che richiede molta sintesi e comprensione intuitiva dei fatti, sollevando però interesse ed attenzione con una forte componente di una curiosità legittima ed un desiderio di approfondimento personale del lettore, più interessato e che spero possa trovare soddisfacimento e completezza in una successiva opera letteraria dedicata all’argomento.

Santa Severina
Santa Severina, uno dei più bei borghi della Calabria, particolare drappella araldica di rappresentanza del nobile Carafa della Stadera infeudato dal Re d'Aragona, seconda metà del XV secolo. Al centro, sull'elmo, la corona di re Ferrante I d'Aragona, avente come
cimiero un leone di rosso nascente con le ali di drago e zampe d'aquila.

I primi sviluppi di una oligarchia aristocratica.

Possiamo senza alcun dubbio risalire alle origini della nostra cultura classica per individuare come le caste aristocratiche siano state sempre al centro della conduzione delle città stato, le poleis greche e di quella città stato che in breve tempo divenne essa stessa a capo di un grande impero: Roma.
L’origine dei “titoli” di nobiltà o meglio della casta aristocratica (da
άριστος, àristos che signifia il migliore, l’eccellente e κράτος, cràtos, potere ) può dunque essere ricondotta ad una sociale necessità di riconoscere i meriti e le gloriose gesta di una tipologia particolare di uomini: guerrieri, che furono soprattutto i padri fondatori della patria.
Gli “aristos”, possedevano dunque, oltre alle fortune materiali, soprattutto l’orgoglio di essere stati i conquistatori e maggiori proprietari di vastissime terre che avrebbero poi contribuito a formare le poleis, a loro medesimi si doveva la reale costituzione  della patria e della conoscenza politica e filosofica, che avrebbe fondato le basi per la nascita poi della cultura occidentale. Da Tucidite ci pervengono le frasi di Pericle che ebbe a dire che “nessuna imitazione di altre costituzioni di stati fu perseguita per fondare il diritto politico greco, bensì furono le altre nazioni ad imitare quella costituzione greca”.
Tutta la tradizione politica, sociale e religiosa greca passò nel tempo all’impero romano. Roma raccolse con pienezza quegli intenti, con maggiore apertura verso l’esterno, così l’eredità del mondo Greco antico si riversò su Roma che ne ampliò i significati e diffuse tale cultura in tutto il mondo allora conosciuto.
In Roma la casta dei padri fondatori: gli Optimates in latino (gli eccellenti, coloro che stavano sopra tutti, gli aristocratici), costituirono quell’oligarchia che apparentemente, sotto il titolo eufemistico di democrazia,  attraverso la prima forma di parlamento di una nazione, che fu il senato di Roma, governarono quella città importante e successivamente l’impero stesso. Mi permetto di ricordare che lo stesso Imperatore di Roma, il primo vero imperatore: Ottaviano Cesare Augusto, fu certamente proclamato Imperor, Duce supremo degli eserciti (dunque un titolo esclusivamente militare) dal Senato di Roma, ma da questi fu anche proclamato Augusto e padre della Repubblica, che era il bene più esclusivo posseduto dall’oligarchia dominante degli Aristocratici.
A questi poi si affiancarono quei popolani (populares) che accrebbero la loro posizione sociale diventando ricchi, rendendoli così accetti agli aristos, ossia agli aristocratici o come era uso romano dire: gli optimates (gli eccellenti). La nuova classe sociale emergente fu accetta agli aristocratici, che li definirono nobilis. Da quel momento il termine si sarebbe diffuso per sottintendere la classe dirigente della più potente città a capo di un immenso impero come fu Roma e dunque avrebbe di poi condizionato ogni cultura e formazione socio politica  in occidente.
In realtà vere e proprie demarcazioni gerarchiche, tra i componenti dell’aristocrazia e dei nobili dell’antica Roma, non erano tanto marcate se non per un tipico orgoglio delle famiglie di origine antichissima risalenti ai padri guerrieri della patria e per i sentimenti più pratici dei nuovi ricchi, che avevano a suon di denaro ottenuto una posizione nobiliare di privilegio, dunque il confine fra questi era pressoché sfumato. Cicerone diveniva proprio da questa classe di arricchiti e nobilitato riuscì a far parte di diritto del senato e certamente la sua fortuna personale prosperò enormemente.
Tuttavia già si possono intravedere gli embrioni di quello che saranno poi le gerarchie nobiliari osservando quale fossero le cariche più importanti fra le classi dominanti dell’antica Roma. I Patres (patroni, etimo derivato da pater familias) ossia i patrizi e dunque tutti i più grandi aristocratici e senatori compresi i nuovi nobili), che costituiscono il nerbo portante della società aristocratica romana, da cui verranno scelti i tribuni, i consoli e poi gli imperatori (da imperator ossia potere supremo militare, considerare ciò è molto importante). Ancora occorre individuare nella politica militare dell’impero quelli che avrebbero determinato una reale scala gerarchica dell’alta aristocrazia: Il duce in primo luogo, dux nella lingua latina, inizialmente attribuito in modo onorifico, era una consueta acclamazione atta ad identificare un grande e valoroso generale al comando di armate importanti, costituite da molte legioni. Questi deteneva un potere politico e militare su vaste zone dell’impero, connotate da ampie regioni che avevano una affine tipologia di popolazione, esempio l’Aquitania, le cui popolazioni erano costituite da tribù appartenenti a ceppi simili.
In questo caso il duce poneva il suo comando sia militare che politico, in nome di Roma, su vastissimi territori dell’impero. Successivamente nel basso medio evo e particolarmente nel periodo carolingio, tali regioni furono chiamate ducee o ducati, originate appunto dal nome duce: Dux. Ne derivò  il titolo di Duca. Titolo importante e di grandissimo prestigio, che si pone immediatamente sotto al potere dell’Imperatore e ovviamente del senato dell’Impero.
Con l’avvento del Sacro Romano Impero di Carlo Magno il senato cessò la sua funzione di parvenza democratica per cedere il posto al potere autarchico dello stesso imperatore, che accentrava a se il potere supremo del comando militare (Imperator) e quello di reggere il governo del popolo e dello stato (Rex). Ovviamente attorno al 800 dopo Cristo il titolo ducale era di per se stesso un titolo di attribuzione imperiale, ancora non trasmissibile in linea dinastica, ma sicuramente sovrano nella regione dell’impero che era destinata a quel duce. Ebbe tale prestigio che molte nazioni future come quella russa, austriaca, polacca, inglese ecc. ne fecero un titolo superiore a quello di principe non di sangue reale.
In ogni caso contrariamente all’origine aristocratica delle famiglie romane, nell’era carolingia i titoli nobiliari non erano inizialmente trasmissibili ereditariamente. Sarà la convenzione adottata nella capitolare di Quietzy, proposta da Carlo il Calvo come testo normativo datato nel giugno del 877 nella città di Quierzy sur Oise, a gettare le basi perché i nobili cavalieri ed i vari titolati potessero trasmettere alla propria genia sia il titolo posseduto che i feudi investiti.
L’origine del titolo comitale, ossia quello di conte, trae origine sempre dall’etimo latino: comes, compagno (d’armi),  un fedele accolito del duce o dello stesso imperatore, che concedendo questo titolo avrebbe reso omaggio ad un suo fedele condottiero. Ovviamente se il titolo comitale fosse addivenuto per meriti  verso il medesimo imperatore, o meglio ancora uno dei più fedeli, questo veniva accompagnato dal titolo di palatino, ossia conte di palazzo, con mansioni di controllo esecutivo ordinario e straordinario dei decreti imperiali su tutto lo stato- impero. Altresì il conte se vassallo di un duca aveva mansioni di potere appunto sottomesso, vassallatico verso il suo sovrano - duca e sicuramente sub judice, verso l’imperatore. Tuttavia il conte poteva essere nominato direttamente dall’Imperatore con compiti politico militari su una contea che era generalmente una provincia dell’impero formata da una popolazione in genere omogenea e formata da un ceppo indigeno che presentava una affinità di tradizioni e costumi ed i cui confini di villaggi e territori coincidevano con quelli atavici di queste popolazioni. In Germania tali terre corrispondevano ai Land e  il termine di conte in terre alane, germane ecc, fu appunto di Langravio. Un esempio classico di Contea, ai tempi a cavallo tra l’alto medio evo ed il basso, fu quello della vastissima provincia della Savoia, posta a confine tra il territorio franco gallico e le popolazioni decisamente italiche, ma dai confini più ridotti rispetto alle ducee o ducati.
Diversa è l’origine delle marche che in quel tempo caratterizzavano lontane provincie poste ai confini dell’impero, un esempio erano le terre d’Austria e Ungheria, che dividevano decisamente le popolazioni cristiane da quelle musulmane, ambedue erano marche e venivano affidate ai più fidi conti dell’impero che presero quindi il nome di Conti delle marche del confine e poi definiti direttamente marchesi o mangravi, termine pare sia di origine germanica, affidatari di un potere decisamente straordinario rispetto ai titoli già descritti, perché necessitavano di un più rigido controllo e soprattutto di maggiori uomini in arme. Un famoso Mangravio (Marchese) d’Austria fu nel 1077 San Leopoldo III il Pio. Un altro esempio classico di marca era quello della Britannia delimitata dal confine con il Galles e la Scozia dal Vallo di Adriano, estremo lembo a nord dell’impero.
Mancano ancora diversi titoli per comprendere poi come si formò la gerarchia nobiliare successiva. Due in particolare presentano una analoga affinità e quasi identiche prerogative: principe e barone. Cosa assai importante è che la gerarchia nobiliare, invero assai sfumata, fosse comunque direttamente dipendente dalle leggi e dai decreti dell’Imperatore, cosa che invece sarà differente per il Barone del regno, godente di una grande autonomia legislativa e decisionale.
Il titolo di principe deriva sempre dal latino princeps e sta ad indicare in generale il primo fra tutti, l’eletto, quello che è destinato al comando supremo, soggetto esclusivamente all’autorità dell’imperatore, ma a differenza del titolo ducale non possiede una prerogativa amministrativa e politica autonoma, è semplicemente un titolo d’onore inizialmente destinato ai figli dell’imperatore, re dei popoli, dunque alla stirpe reale, sottolineo all’attenzione dei molti la parola: inizialmente, ciò sta a significare che tra i principi di sangue reale o imperiale  v’era quello destinato al potere supremo imperiale, de deriva che il titolo di principe di sangue era l’unico a trasmissione ereditaria, non potevano fregiarsi altri se non di sangue reale.  Il principe (reale) diveniva dunque il prescelto alla successione sovrana, per divina volontà, in questo i testi antichi si rifanno all’unzione del giovane Davide, avvenuta per scelta divina, come principe degli Israeliti. Naturalmente molti influssi delle tradizioni locali, dei costumi e della cultura, fecero sì che specie in Germania, ma anche in Russia si iniziasse a nominare i vari potenti baroni di vastissimi territori, come principi. Questo ci permette di comprendere meglio il significato intrinseco del “titolo” di Barone.
In parte ammantato di fascino e mistero quello baronale più che un titolo nobiliare, corrisponde ad un mandato, originariamente voluto dalle tribù, dai clan, che il barone governava.  Infatti studi credibili danno come versione più attendibile la tradizione delle tribù germaniche ed il loro alto senso della disciplina e della natura guerriera delle loro numerose e bellicose tribù, che avevano come capo supremo un Barho, ossia un Duce che normalmente, ed in tempo pacifico, amministrava le funzioni politico sociali delle grandi tribù dei vari ceppi germanici, ascoltando quanto emergeva dal consiglio degli anziani ed esprimendo poi un giudizio risolutivo. Invece in periodo di guerra avocava a se ogni potere decisionale. Parrebbe che solo alla fine dell’aureo periodo dell’Impero romano, la voce di origine germanica di Barho sia stata poi declinata in latino come Baro, baronis ecc. che sta ad intendere un signore potentissimo. In realtà risulta assai credibile che lo stesso Carlo Magno abbia voluto introdurre questo titolo, per la rispettosa ammirazione verso quei popoli barbari germanici e che lo abbia esteso con una caratteristica particolare: il termine di Barho sta ad intendere un uomo libero dai vincoli delle regole e dei costumi, egli stesso fonte di giustizia.
Dunque la nomina dei primi baroni era estesa a tutti i Conti, Duchi e Marchesi dell’impero che all’avviso dell’imperatore fossero degni di essere affrancati dalle sue leggi e pur restando fedeli all’imperatore sotto vincolo del giuramento, potessero essergli vicari in ogni modo, supplendo ove necessario loro stessi con autorità imperiale alle necessità della regione da questi governata. Nacque così il titolo di barone del regno o dell’impero come qualifica di potere quasi assoluto, libero di amministrare le leggi mediante il mero e misto impero decretato dallo stesso imperatore, per rendere autonome quelle provincie o regioni dell’impero, piuttosto difficili da governare secondo le regole Franche e che occorreva fossero governate  secondo le convenienze che venivano dettate proprio dal barone, il quale poteva essere un duca, un conte un marchese. Per molto tempo, fino alla fine del basso medio evo, il titolo più prestigioso era appunto costituito dall’essere ad un tempo cavalieri titolati e baroni del regno. Molti famosi Duchi amarono infatti essere appellati con la qualifica di barone piuttosto che con il titolo nobiliare posseduto, un classico esempio fu il duca d’Aquitania o di Bordeaux. Ed appunto di qualifica amministrativa e politica si trattava. In effetti barone, come titolo nobiliare posto ad intendere una investitura feudale su un territorio, nascerà molto più tardi nell’alto medio evo. In buona sostanza essere barone del regno rappresentava un mandato imperiale che contraddistingueva una distinzione superiore, che affiancata al titolo nobiliare, ne sottolineava il potere e la potenza presso l’impero ed il suo sovrano.
Non a caso nella storia si parla spesso di guerra dei baroni per indicare le maggiori rivolte dei nobili contro le varie corone regnanti, condotte da duchi o conti che agognavano ad una maggiore sovranità, esempio ne sono le guerre dei baroni inglesi contro Giovanni senza Terra per ottenere la magna carta, o quelle dei baroni in Trinacria contro la corona d’Aragona. Nel potente regno d’Aragona ancora entro il XIV secolo si parla di Barones, come i componenti della maggiore nobiltà ossia i Fueros (Ricos Hombres) della più antica aristocrazia e pari del re, addirittura la corona dei Fueros assimilabile a quella dei duchi, ma  era conformata da punte simili a chiodi alternate con le lance uncinate e su tutte le punte era simbolicamente posta una perla d’oro.

Famiglia Suriano
Corona dei Fueros d’Aragona (simile a quella dei grandi di Spagna  - all’antica-) chiusa da tocco rosso. Nella specifica l’arma dei
Suriano di Sicilia nel titolo di Sant’Andrea e Sant’Elia, Serenissimi Baroni del regno d’Aragona.

Come spero si possa evincere da quanto detto, appare subito evidente che l’origine dei titoli nobiliari affonda le sue radici soprattutto sul comune fattore d’essere ad un tempo formidabili guerrieri ed abili condottieri, dotati anche di capacità organizzative politiche. Infatti questo era un presupposto importantissimo per riuscire ad essere notati dal duce o dall’imperatore, fra quella classe di guerrieri che potevano permettersi poi di possedere un cavallo con tutto quanto questo comportasse: costosi finimenti, scudieri e servi per accudire ciò che fosse necessario per il cavaliere ed il cavallo. Direi proprio che il primo embrione comune del potere nobiliare, come titolo di distinzione, si possa riferire sia nelle ere antiche che nel medio evo proprio a quello di “cavaliere”. In realtà non era così semplice e facile poter possedere un cavallo nei tempi antichi. La cavalleria fu determinante per tanti secoli nella risoluzione delle battaglie ed il fascino di appartenere a questa categoria di privilegiati spinse molti giovani, provenienti da ricche famiglie, ad avventurarsi per divenire “cavalieri”. Nel corso del tempo l’essere cavaliere divenne un grande privilegio nonché la condizione essenziale per essere parte della aristocrazia guerriera, ciò nobilitava il cavaliere e lo rendeva  importante agli occhi dell’imperatore. Essere cavaliere apriva certamente la strada alla gerarchia nobiliare e prima o poi un cavaliere sarebbe entrato fra i “comites” compagni d’armi dello stesso sovrano dunque meritevoli d’una corona puntuta.
Prima di continuare nella trattazione sui titoli di nobiltà, credo sia importante un breve cenno sul significato della corona di nobiltà. Il serto di mirto e alloro che incoronava i Cesari, stava ad indicare una posizione di gloria e di supremazia. Tale originale corona cedette il posto, successivamente nell’era cristiana, a quella contornata di spine, ad immagine ed imitazione di quella ben più grave che circondò il capo di nostro Signore Gesù Cristo. Ed infatti nell’immaginario collettivo, ancor oggi nel XXI secolo, le corone che i bimbi disegnano ingenuamente, sono sempre con il bordo superiore contornato da orlo puntuto. Ciò indica chiaramente che l’originale significato della corona era quello di reggere il peso dell’enorme responsabilità del governo del popolo, sotto l’unzione del vicario di Cristo in terra ossia il Pontefice. Originariamente le corone avevano la semplice caratteristica di avere il bordo superiore contornato da punte ad imitazione delle spine, con cui fu confezionata la corona di rovi posta sul capo di Gesù, e lance ad imitazione della lancia ben più famosa che fu penetrata nel costato di Nostro Signore. Una corona simile è quella adottata dai fueros d’Aragona (corona all’antica), ove chiaramente si possono immaginare sia le punte ad imitazione delle spine che quelle a imitazione della lancia. Non tardò molto che fiorirono sulle corone ornamenti e fronzoli vari che nulla avevano a che vedere con l’impegno di un principe cristiano. In qualche caso come nella corona reale inglese viene mantenuta questa originalità delle lance (anche se spesse volte si è portati a credere che si tratti di sinterizzazioni dei gigli) e delle croci alternate, in tangibile segno di volontà divina della reale dinastia. Naturalmente anche le gemme che ornano la corona hanno un significato assai importante: le perle sono segno della purezza dello spirito e della trasmissione della fede, lo smeraldo è simbolo stesso della Fede ed il rubino è sicuramente indicativo del prezioso sangue di Cristo, mentre  il diamante rappresenta la luce della resurrezione e dello Spirito Santo. Naturalmente anche per questo argomento non basterebbe un trattato per meglio dirimere i vari dubbi sulla originalità delle corone, ne sono tangibile esempio quella del triregno del Pontefice, quella degli ‘Zar (da Caesar), quella dello stesso imperatore Carlo Magno, hanno simbolici significati assai spesso collegati con il fatto di essere principi unti (dalla chiesa) in difesa della Fede Cristiana.
Vediamo di analizzare ora i significati di altre distinzioni nobiliari:
Patrizio: Figlio di padre (nobile) Patricius, atavicamente questo titolo derivante da patres o patrono, messo a capo di una certa genealogia di uomini di importanza, era indicativo dei nobilissimi appartenenti al senato della città. Ovviamente tutti gli optimates erano patrizi, e soprattutto erano patrizi di Roma, ciò stava ad individuare il massimo della aristocrazia dell’impero. In realtà, come il titolo di Barone del regno, quello di patrizio non poteva essere collocato in una generale gerarchia nobiliare, perché essenzialmente al di sopra della medesima. Così i patrizi dell’antica Roma erano per antonomasia gli aristos, ossia gli aristocratici, gli eccellenti i prescelti. Con il passare dei secoli gli eccellenti delle varie città venivano ad essere classificati e riconosciuti come patrizi, soprattutto se discendenti da generazioni di antica aristocrazia. Oggi, l'unico Patriziato esistente in Italia con funzione è quello della Deputazione della Cappella del tesoro di San Gennaro. Leggermente differente era il titolo di nobile, che molto spesso era legato a sottolineare un appartenente ad una nobile famiglia titolata, ma come cadetto della medesima, per cui si riconosceva la sua nobiltà come appartenente a quella dei tal conti, o dei tal baroni ecc. ecc., altre volte il titolo di nobile veniva conferito per particolari meriti verso la corona o verso l’impero o il regno. Ciò non implicava una sostanziale differenza se non nel fatto medesimo che generalmente i patrizi erano chiamati a rappresentare i pubblici uffici e soprattutto a tenere alte cariche accademiche ecc. Nobile era condizione necessaria per accedere di diritto alla cerchia dell’aristocrazia. A pari merito di questi possiamo senz’altro accennare ad un altro titolo di nobiltà, posto indicativamente nella parte più bassa della gerarchia nobiliare, ma sicuramente specie dopo la capitolare di Quierzy, in quella fascia importante di concessione ereditaria del titolo alle proprie genie ed indispensabile per chi intraprendeva la carriera militare, affinché potesse agognare poi a titoli ben più prestigiosi. In realtà tutti i nobili usavano in buona maniera esser “cavalieri  fra loro”. Difatti era uso dire che non si parlava fra nobili di alto lignaggio, ma che si parlava fra onorati cavalieri.
Per ultimo, ma non certo per importanza, vorrei citare su alcuni titoli nobiliari, che spesso sono motivo di incertezza e di perplessità per la loro naturale posizione gerarchica (in apparenza), molto volte contraria alla loro importanza.
Mi riferisco i titoli di visconte, barone e signore.  Abbiamo già detto l’importanza che negli albori del medio evo rivestì il titolo di barone del regno, titolo che successivamente (attorno al 1430-50) scomparve quasi del tutto, ebbene le sue connotazioni socio politiche però perdurarono, infatti il sinonimo di barone era quello del signore potente, posto al comando di ogni cosa su cui egli avesse mandato e soprattutto con il potere molto ambito del mero e misto impero. Nulla si poteva fare nel feudo che non fosse ordinato dal barone, questo accadeva anche in età rinascimentale ed in alcuni stati anche fino alla fine del periodo feudale. Alcuni autori fecero distinzione tra titolo di barone maggiore e quello di barone minore, ma questa classificazione non fu molto apprezzata. Il titolo di barone rispetto agli altri era quello che più veniva ripetuto nelle discussioni dei popolani, si parlava in genere di baroni per indicare proprio le classi più agiate dei nobili. Attorno al 1600 questa concezione comune contribuì a far si che quelle classi di mercanti arricchiti, ed in genere dei nuovi ricchi, agognassero almeno a possedere il titolo baronale. Ciò generalmente poteva avvenire  per la dichiarata ignominia di qualche nobile cui veniva confiscato il feudo o per l’assenza di alcun erede nella trasmissione legittima del feudo, per cui questo veniva concesso ad un notabile, nobile generalmente, che aveva acquisito il diritto di poter riscattare il feudo in questione e la sua titolarità baronale, sicché iniziò proprio con questi titoli di nobiltà una sorta di mercimonio, tra i nuovi ricchi e le varie autorità del regno e o dell’impero per aver riconosciuto un titolo, che potesse poi loro far ottenere un importante riconoscimento nobiliare, come quello di barone. Così barone nacque realmente come titolo feudale e non più come incarico regale di enorme importanza e capace di Fons Honorum e di diritti sovrani. Naturalmente l’importanza di questo titolo fu difforme: nei paesi di origine germanica, già nel rinascimento era più un titolo nobiliare onorifico, seppur importante, che non un vero e proprio segno di potere feudale, ciò costituisce proprio un paradosso, difatti l’origine di barone del regno è proprio tipica di quelle terre. Invece in Inghilterra tale titolo da diritto ad entrare a far parte della camera dei Lords (Signori) ancor oggi e corrisponde generalmente ad una ampia concessione di terre, un tempo feudali.
Il titolo baronale fu più diffuso nei paesi governati dalle dinastie spagnole, nel sud Italia è infatti più diffuso che altrove.
Il titolo di Signore, ormai quasi del tutto scomparso in molte gerarchie nobiliari, era invece sovrapponibile a quello di barone e ne seguì pure la stessa sorte evolutiva, possiamo forse dire che il titolo nobiliare di signore corrispondesse con una titolarità feudale in genere più piccola di quella baronale, ma così non è nella realtà. Occorre dire che il titolo di Signore Serenissimo (Serenissimus Dominus, come si evince nei documenti di investitura) era quello con cui ci si rivolgeva nell’alto medio evo al Barone del regno o ad un duca, corrisponde a quello di altezza serenissima. Ossia era un diritto ed un privilegio riservato appunto: ai Baroni del Regno, agli Arcivescovi ed ai Duchi, tale ossequio poteva essere anche rivolto con il distinguo di Vostra Grazia o Vostra Signoria Eccellentissima. Si comprende come queste varie etimologie dei titoli, nel corso dei secoli abbiano poi mutato le loro caratteristiche per accondiscendere ai cangiati usi. Non più nobiltà di origine prettamente guerriera, ma nobiltà assai spesso legata alla ricchezza mercantile. La medesima sorte ebbe il titolo di Visconte, che nella etimologia Franca stava ad indicare un vassallo di un gran conte che avesse con la titolarità comitale, condiviso e governato per sua delega una parte di un vasto contado, che possedesse diversi castelli di difesa, a capo di qualcuno di questi era generalmente uso affidarne il governo ad un vice conte, appunto visconte. Un esempio classico mi sovviene proprio dalla storia della nostra famiglia, del ramo di Sicilia, fummo parenti ed insieme nemici acerrimi del visconte di Bas e di Cabrera, giusto don Bernart Cabrera, che era diretto vassallo del Conte di Barcellona e duca di Luna Martino di Montblanc (il vecchio) e governava due vasti feudi con annessi castelli, ciò avveniva prima di divenire il nuovo conte di Modica e Ragusa e tiranno in Sicilia e dopo aver fatto assassinare il mio avo Duca e gran Priore di S. Andrea e S. Elia Don Giovanni Suriano.

Cronaca dei Titoli nobiliari successiva al medio evo.

Da quanto suddetto spero si possa avere già un’idea della corrispondenza tra i titoli nobiliari e le loro varie mansioni all’interno dell’apparato dello stato di appartenenza, fosse regno o impero.
Naturalmente con le ere, cambiò pure la geopolitica dei vari stati sovrani e soprattutto cambiarono i costumi e le tradizioni. I titoli di nobiltà cominciarono a non corrispondere più con quelli classici dell’alto medioevo. Anche qui mi sovviene un esempio classico: il gran Conte Ruggero giunse in Sicilia per liberarla dal giogo musulmano, riuscendoci egli assunse la corona di conte di Sicilia, ma in breve tempo a ragione delle caratteristiche continentali, quale crogiolo di molteplici culture, che possedeva quella Terra, indispensabile ponte di comunicazione tra oriente ed occidente, la contea di Sicilia divenne regno sotto Federico II di Svevia e I di Sicilia, mentre la Calabria strettamente legata alle sorti del regno di Sicilia divenne ducato, così come la Puglia.

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Napoli - statua di Federico II di Svevia

Già in quel periodo si evidenzia come i titoli di nobiltà non corrispondano più a quelli antecedenti del periodo carolingio. Tuttavia ancora si può ragionevolmente considerare come legittima o comunque ancora vicina alle classificazioni dell’alto medio evo la corrispondenza dei titoli nobiliari.
Attorno alla seconda metà del 500 iniziarono a proliferare invece le vendite dei titoli nobiliari, corrispondentemente all’emergere delle grosse imprese mercantili, dovute soprattutto all’impressionante aumento degli scambi commerciali ed all’ingresso in Europa di enormi quantità d’oro e d’argento proveniente dal nuovo mondo. Si ebbe un esponenziale aumento di nuovi ricchi, che molto spesso non solo competevano per ricchezza con i vecchi aristocratici, ma li superavano smisuratamente in ricchezza e potere. Gli arricchiti divennero così molto numerosi in Europa. In breve con la potenza del denaro si riuscì a soffocare l’orgoglio dell’antica aristocrazia, molti mercanti divennero duchi e principi in breve tempo, favoriti dalle enormi fortune in oro sonante, che avevano accumulato e con cui potevano assoldare interi eserciti, da competere addirittura con gli imperatori. Ma gli stessi sovrani trovarono facile profitto nel concedere onorificenze e titoli poggiati solo sul cognome o ridimensionando in scale infinitesimali i territori da governare, creando nuovi e più piccoli ducati, marche e contee, ma addirittura si coniò il titolo di principe non di sangue, perché fossero credibili pure gli introiti che da questa vendita ne derivavano alle casse dei vari regni, per avere una vaga idea del fiume di denaro che i sovrani potevano incassare da un titolo nobiliare importante come quello ducale. Forse la sola Inghilterra fu scevra, in parte, da questo mercimonio. C’è da dire che naturalmente con la ricchezza ed il benessere aumentò pure la popolazione, così se prima l’intero territorio della Gallia poteva contare poche migliaia di abitanti, nei secoli che stiamo considerando, già l’intera popolazione del territorio Franco di una volta era sovrapponibile a quella della sola Parigi o di Aquisgrana, ecc., ciò legittimava la necessità di creare nuovi titoli e nuovi confini feudali per dar credito ad essi.
Un conte palatino dell’imperatore Carlo Magno certamente deteneva un prestigio superiore ad un qualsiasi duca dell’età rinascimentale, non per questo le gerarchie nobiliari trovarono la necessità di incrementare il numero dei titoli nobiliari, affinché potessero riflettere il reale potere espresso dalla loro funzione. Nell’era relativamente recente, intendo a partire dal XVIII secolo, molti furono i cambiamenti epocali, che determinarono una totale rivoluzione dei costumi e delle conseguenti necessità sociopolitiche, questo accresceva il potere dei mercanti e fra questi quelli che a ragione delle loro enormi fortune avevano ottenuto pure la condizione di nobiltà.
Per molto tempo fino agli albori del secolo scorso, il concetto di nobiltà restava ancora strettamente legato agli orgogli aristocratici, questo avveniva perché si potessero evidenziare le differenze sostanziali da chi provenisse per nobiltà da antichissime famiglie, legate alla storia, per aver esse stesse fatto la storia ed essere entrate nella leggenda o da chi invece provenisse da una nuova nobiltà costruita sul potere economico. Altro non era rimasto all’antica nobiltà, per soddisfare il proprio orgoglio di nascita. Era uso infatti soprattutto nelle case di origine spagnola di evidenziare sempre il primo titolo nobiliare che si fosse posseduto, specie se questo era collegabile ad ataviche investiture. Così in un esempio esauriente si scriverà di seguito un elenco di titoli a partire da quelli più atavici, badando bene che l’aggettivo si leghi al titolo più importante: Conte e Barone serenissimo di Chiuhela e … Duca di Sant’….Marchese nel nome e di…. e così via. E’ evidente che i titoli di Duca e di Marchese siano gerarchicamente più alti di quello di Conte, mentre alla surroga imperiale di Barone del Regno, ogni titolo veniva messo in secondo ordine, secondo la logica della descrizione dei titoli a partire dalla loro voluta dimostrazione di atavica nobiltà, il titolo di Conte sottolinea, nel contesto della frase di presentazione, l’antichissima aristocrazia, se precede in tal guisa i titoli di Duca e di  Marchese, a sua volta il titolo di Barone serenissimo sottolinea il potere anch’esso antichissimo di mero e misto impero posseduto da quel nobile. Ciò era modo elegante e sottile per rimarcare la propria illustre ed aristocratica progenie.
In ultimo vorrei solo accennare ad alcuni dei numerosi doveri cui doveva attendere un nobile in generale ed un barone in particolare per onorare il proprio mandato. Sicuramente la fedeltà al proprio sovrano, poi la colletta da oblare all’erario sui proventi del feudo, tra i quali era compresa la fornitura di uomini d’arme e o cavalieri armati di punto e quanto abbisognasse loro per le campagne di guerra, nel caso fossero sopraggiunte; ancora occorreva che il giuramento di fedeltà e l’investitura feudale avvenissero ad ogni cambio generazionale. Ma questo è ancora un altro vastissimo argomento su cui occorrerebbe più di una trattazione.

Santa severina
Spada alla spagnola a lama a doppio taglio.

“Non c’è Barone senza Terra ne Re senza Regno”

Don Pietro Giovanni Suriano


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