
Ovvero delle Famiglie
Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili
di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti
alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate
chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che
abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia.
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Famiglia Orimini |
a cura del Dr. Pierluca
Turnone |
Arma:
bandato di rosso e di argento con il
capo caricato da un lambello a cinque pendenti d’azzurro(1).
Dimora: Napoli, Brindisi, Lecce, Martina Franca. |

© Stemma della Famiglia Orimini |
La Famiglia Orimini o d’Orimini, olim Orimina, fu una nobile
Casata originaria di Napoli. Il fatto che fosse anticamente
appellata anche Arimini, Arimine, d’Arimine o da Rimini
suggerisce una probabile derivazione toponimica del cognome
dalla città di Rimini [in latino Ariminum
(2)];
in ogni caso, essa risulta presente da tempo immemore nella
capitale partenopea [pare almeno dal X sec.
(3)],
ove fu annoverata tra le antiche Famiglie feudatarie. Detentrice
di beni feudali sin dalla prima età angioina, delineò
progressivamente la propria posizione sociale fornendo svariati
funzionari all’amministrazione pubblica del Regno di Napoli,
prima a livello provinciale, poi negli uffici centrali della
capitale. Col tempo, molti membri del Casato arrivarono a godere
della familiaritas regia e della qualifica di consiliarius,
mentre la Famiglia nel suo insieme guadagnò il proprio rango tra
le nobilissime Casate del Regno, imparentandosi con molte di
esse.
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L’importanza e il prestigio della
Famiglia Orimini emergono con chiarezza dal fatto che
essa godette nobiltà nei più antichi Seggi di Napoli,
particolarmente in quelli poi accorpati al
Seggio di
Montagna e in quello di
Capuana; è cosa nota, peraltro,
che in epoca normanna il patronato sul monastero dei
Santi Marcellino e Pietro(4) appartenesse anche a questa
illustre Stirpe. |
Napoli - Complesso
Monumentale Chiesa dei SS. San Marcellino e Festo, già
dei Santi Marcellino e Pietro.
La Famiglia Orimini in epoca normanna faceva parte delle
Casate detenenti il patronato sull’omonimo complesso
convenutale. |
Tra gli anni Settanta e Ottanta del
Duecento Sergio Orimina fu doganiere a Napoli;
sarà poi magister salis in
Terra di Lavoro e Principato,
nonché secretus, magister portulanus e magister salis in
Terra di Lavoro e
Contado di Molise.
D. Pietro d'Arimini, vicario dell’Honor Montis S.
Angeli, fu creato Cavaliere nel 1289 dal Re Carlo II
d’Angiò(5); dallo stesso sovrano venne remunerato
per i suoi servigi militari suo fratello, D. Matteo
Orimini. Pietro e Matteo parteciparono all’assemblea
indetta nel 1298 dai Seggi di Capuana e Nido per
stabilire norme suntuarie alle quali gli afferenti ai
predetti Seggi avrebbero dovuto ottemperare; il secondo
ebbe poi il titolo di familiaris e, dopo aver acquistato
la gabella sulle saline di Salpi, Manfredonia e Canne
(1301), divenne Capitano del Ducato di Amalfi,
Castellammare, Sorrento, Lettere e Gragnano e di Vico
(1305-1309). Matteo ricoprì inoltre le cariche di
magister ostiarius e, con Pietro, di magister portulanus
(1309); nel 1326 fu infine magister passuum in Abruzzo(6). Tre anni prima aveva donato un terreno
di Marano alla cappella di San Matteo (da lui
precedentemente fatta costruire in Santa Patrizia) al
fine di celebrare un anniversario e delle messe di
suffragio. Sposato a Giovanna
Franco, fece testamento
nel 1328: con tale istrumento nominò erede universale
sua figlia D. Maria Orimina ed effettuò ulteriori
donazioni a Santa Patrizia
[tra esse riservò l’usufrutto di 40 once
alla nipote Vannella
Caracciolo
(7)].
Anche Petracca Orimina, figlio di Matteo, fu
milite e familiaris della Famiglia Reale (a partire dal
1343 è attestato come facente parte della guardia
personale della Regina
Giovanna I d’Angiò). All’alba del XIV secolo Giovanni Orimina fu eletto nel
Seggio dei Cimbri, mentre
Romagnolo de Orimina risulta tra gli ostiari
della corte della Duchessa di Calabria, moglie di Carlo
d’Angiò. Nel 1332 Sergio Orimina fu magister salis
per l’Abruzzo e ivi responsabile del dazio su ferro,
acciaio e pece; pare poi che si recò in Sicilia sotto le
bandiere di Roberto I d’Angiò.
La Famiglia ebbe la propria dimora
gentilizia nel cosiddetto “Vico degli Orimini” (un tempo
sotto il Campanile della Chiesa di
San Giorgio Maggiore), oggi sparito; secondo
alcune fonti, inoltre, la Casata possedette anche il
Palazzo dell’“Imperatore di
Costantinopoli” (oggi Palazzo Filippo d’Angiò).
Gli Orimini edificarono anche la cappella di Santa Maria
Porta Coeli (anticamente detta di San Pietro), luogo
considerato mistico in seguito al miracoloso
rinvenimento di un’immagine della Madonna.
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Chiesa di San Giorgio Maggiore (Napoli). Nei pressi di
questo edificio si trovava anticamente “Vico degli
Orimini”, conducente
al Palazzo gentilizio della Casata. |

Napoli - Uno degli ingressi del Palazzo
Filippo d’Angiò, già Palazzo dell’“Imperatore di
Costantinopoli” (Sec. XVIII). Secondo alcune
fonti, fece parte dei possedimenti della Famiglia
Orimini. |
Nel 1334 è attestato a
Napoli il “Domino” Bartholomaeo Orimina, mentre
Tommaso Orimina ricoprì la carica di gabelliere
del sale in Terra di Lavoro e Principato. Nel 1350 il
Nobile Roberto di Orimini o da Rimini,
eletto al Seggio di Montagna, fu uno dei Deputati
[«coloro,
che hauean cura del governo di Napoli(8)»]
comparsi di fronte a
Luigi I il Grande Re d’Ungheria
affinché «facessero taglia nella Città, e la liberassero
dal sacco, che i Soldati Ungheri douean fare(9)».
D. Cizola Orimina, monaca, ottenne (21 settembre
1366) da Tuccillo Orimina, Patrizio Napoletano
del Seggio di Montagna e cugino germano dell’eletto
Roberto, una rendita vitalizia di 2 once su un terreno
sito nei pressi di Napoli (nel cosiddetto Dullolo);
precedentemente, la donna riceveva la stessa rendita su
una casa appartenuta a Bartolomeo Orimina (figura
forse coincidente con il succitato “Domino” Bartholomaeo
)(10).
Nello stesso periodo risulta attestata in zona anche una
Margherita Orimina. Nel 1382 due Orimini
sono enumerati tra i convenutali di San Domenico
appartenenti al Seggio di Capuana, mentre l’anno
successivo il “Domino” Agnello (Anello)
de Orimina è indicato tra i testimoni di un atto
notarile.
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Un altro Roberto d'Orimini,
giovane Nobile del Seggio della Montagna, fu creato
Cavaliere da Luigi II d’Angiò al tramonto del XIV
secolo. Altri membri del Casato furono D. Marcuccio
(nipote di D. Pietro e D. Matteo), Riccardo (Rizzardo),
Gorello, Loisio, Enrico, Gerardo,
Pietro (il quale eseguì alcune pitture nella
cappella del giardino di Castelnuovo prima del 1328) e
soprattutto Cristoforo Orimina,
probabilmente il più famoso miniatore napoletano del
Trecento, dallo stile asciutto ed energico di
ispirazione giottesca. Attivo sin dal 1335, dopo aver
esordito con la miniatura di alcuni fogli dell’Histoire
ancienne jusq’à César decorò la magniloquente Bibbia
angioina di Lovanio (anni Quaranta del Trecento),
continuando la sua attività anche durante il regno di
Giovanna I di Napoli e Luigi di Taranto: a lui fu
affidato il compito di illustrare la Bibbia di Berlino.
Tra il 1354 e il 1355 eseguì il frontespizio degli Statuts de l’Ordre du Saint-Esprit (unico esemplare
miniato degli statuti di un Ordine cavalleresco di cui
si abbia conoscenza), riccamente ornato da tinte azzurre
e dorate. Gli storici dell’arte attribuiscono inoltre a
Cristoforo e alla sua bottega un Breviario (attualmente
al Monastero dell’Escorial), una Bibbia realizzata per
il Vescovo Giovan Gaetano
Orsini, un’altra Bibbia
appartenuta a Roberto di Taranto, i Libri sententiarum
di Pietro Lombardo, il De Vita Caesarum di Svetonio e un
Salterio; l’opera più tarda a lui riferita (per quanto
gli studiosi siano ancora discordi circa l’esatta
datazione) è la Bibbia della Biblioteca Vaticana,
composta di tre volumi. |

Una pagina miniata della Bibbia latina
(1362), attribuibile
a Cristoforo Orimina e ai suoi collaboratori (Biblioteca
Apostolica Vaticana, Città del Vaticano). |

Santa Brigida, Rivelazioni (manoscritto
in pergamena del XIV sec.). L’opera è attribuibile alla
bottega di Cristoforo Orimina (Biblioteca centrale della
Regione Siciliana). |
Non bisogna infine dimenticare
l’Illustre Signor Giulio d'Arimini (che combatté
valorosamente a Napoli e in Terra di Lavoro contro
Monsignor Lottrecco), Agnesella Orimini
[gentildonna del Seggio della Montagna
maritata a Paride
Sanfelice, morto nel 1406
(11)] e il “Domino” Annecchino Orimina
(attestato nel 1408).
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IL TRASFERIMENTO IN TERRA DI PUGLIA |
Nel corso del XV secolo, gli Orimini si trasferirono a
Brindisi (come fecero anche i Caracciolo, i Ricci, i
Seripando e altre Famiglie aristocratiche), ove
mantennero il titolo di Patrizi in considerazione della
nobiltà goduta al Seggio di Montagna (ancor oggi nella
città pugliese è presente un “Vico d’Orimini”).
Parimenti, anche a Lecce la Famiglia fu annoverata tra
le Casate più nobili, ricche e prestigiose della città:
furono Sindaci del capoluogo salentino Roberto de
Orimina (1474), Francesco de Orimina (1479) e
Luigi de Orimina (1529); importante fu anche
Giacomo de Orimina. Un ramo del Casato è attestato
almeno dalla metà del XVI sec. pure a Martina Franca (in Terra
d’Otranto), ove si illustrò e contrasse parentela con le
più eminenti Famiglie della nobiltà cittadina (Turnone,
Desiati,
Piccoli, Blasi). |
Ottavio di Scipione Orimini o d'Arimini,
nato a Martina, fu avviato agli studi nel seminario di
Taranto e successivamente inviato prima presso le
Università di Padova e Bologna (ove studiò filosofia) e
poi presso quella di Napoli (stavolta per acculturarsi
in diritto). Chierico, filosofo e teologo, dopo aver
soggiornato a Ginevra e avere perciò subito un processo
inquisitoriale a Roma, fu
imprigionato a Napoli per reati comuni (1591). Accusato
di eresia da un cappellano del carcere nel quale era
rinchiuso, fu condannato a morte dal Tribunale diocesano
della capitale partenopea e poi inviato a Roma(12),
ove fu torturato e costretto alla pubblica abiura
(avvenuta il 18 maggio 1597); condannato anche dalla
Congregazione del Sant’Uffizio, in quanto “del tutto
miscredente dela fede christiana” e credente in “un solo
Iddio in cielo a costume di hebrei”, fu decapitato la
mattina del 29 maggio 1597 in Tor di Nona e poi arso sul
rogo in Campo dei Fiori.
Più o meno nello stesso periodo vissero a Martina
l’ecclesiastico Metello Orimino, Abate della
Collegiata di San Martino
intorno al 1580, Messer Oratio Arimine e Messer
Giulio Orimino; molto noto fu anche il Magnifico U.I.D.(13)
Donato Antonio d'Orimini. |

Atto di battesimo (1577) in cui compare
Messer Oratio “Arimine” (Archivio della Basilica di San
Martino, Martina Franca).
Il nome di suo figlio è purtroppo illeggibile a causa
della consunzione del supporto. |
Aurelia de Orimino è attestata al tramonto del
XVI secolo come moglie di Giovanni Giacomo
Turnone,
figlio del Magnifico Nobile Donato Antonio e di Laura
Blasi (tra i loro figli, importante fu il Signor Dottore
Francesco Turnone, Sindaco di Martina tra il 1632 e il
1633); qualche anno più tardi, si incontrano Adelia
d'Orimini (moglie di Marco Aurelio Desiati) e
Donata Antonia d'Orimini (maritata a Giovanni
Leonardo Barnaba). Il Magnifico Scipione fu
Sindaco di Martina Franca
dal 1° settembre 1646 al 31 agosto 1647 (sotto il suo
sindacato avvennero i tumulti cittadini scoppiati in
seguito alle vicissitudini della rivolta di
Masaniello), mentre un
altro Scipione, chierico e figlio di Giovanni
Battista(14),
sposò qualche anno prima Diana de Angelis (nata dal
Dottor Giovanni Antonio e da Antonia Semeraro).
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Martina Franca -
Collegiata di San Martino
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Atto notarile (11-04-1633), rogato a
Martina Franca dal Notaio Donato Antonio Caramia, in cui
compaiono i nomi di Scipio “de Orimini”, di sua moglie
Diana de Angelis e dei genitori di lei (il quondam
Dottor Giovanni Antonio e Antonia Semeraro). |
Tra la seconda metà del Seicento e il
primo Settecento risultano attestati in città il
Chierico Francesco Orimini, poi sacerdote della
Collegiata di San Martino; il Magnifico Bartolomeo
Orimini, Dottore in Legge e Governatore della
Confraternita dell’Immacolata
dei Nobili in Martina Franca; l’ecclesiastico Stefano
Maria Orimini, Padre certosino e confratello di
quest’ultima; il Chierico Giovanni Antonio Orimini;
l’Illustrissimo Rev. D. Scipione Antonio Orimini,
Dottore, Abate e Canonico della
Collegiata di San Martino, figlio del Magnifico
Giovanni Antonio e di Penelope Piccoli; il Signor
Lorenzo Orimini, fratello del precedente; e
l’Illustrissima Donna Anna Antonia Orimini,
sorella di Scipione Antonio e Lorenzo, appellata
“Magnifica” e moglie del Tenente Vito Antonio Blasi. Nel
1726, Anna Antonia divenne
Baronessa di Luogosano dopo aver comprato detto
feudo per 26454 ducati dagli eredi di Diomede
Carafa
d’Aragona e da Nicola,
Principe di Gesualdo e Marchese
di Santo Stefano; già nel 1729, comunque, la nobildonna
lo vendette per 60000 ducati a Francesco Pedicini,
Patrizio di Benevento. Nel 1730 Anna Antonia acquistò il
feudo di Statte dal
Marchese Francesco
Marulli, cedendolo sul finire dello stesso
anno a suo figlio Francesco Blasi
[il quale divenne in tal maniera Barone
di Statte
(15)]. Ultimo personaggio di spicco del
Casato a Martina Franca fu il Magnifico Antonio
Orimini, il quale verso il 1730 commissionò una
statua in pietra policroma di San Francesco di Paola
nella omonima Chiesa convenutale. |

Documento conservato presso l’Archivio
della Basilica di San Martino (Martina Franca) in cui
compaiono i nomi dell’Illustrissima
D. Baronessa Anna Orimini e dell’Illustrissimo D.
Canonico Scipione Orimini suo fratello. |
IL RITORNO A NAPOLI E L’ESTINZIONE DELLA CASATA |
Dopo aver prosperato in Terra di Puglia,
la Famiglia si estinse a Lecce nel Cinquecento e a
Martina Franca prima degli inizi dell’Ottocento. Nel
1734 era nel frattempo tornato nella città dei propri
avi D. Lorenzo d'Orimini, brindisino; particolarmente
degno di nota fu suo figlio Antonio d'Orimini,
anch’egli nato a Brindisi. Nobile napoletano,
Patrizio
brindisino, Giureconsulto e poeta, dopo la laurea in
Legge esercitò l’avvocatura nella capitale partenopea;
nominato Consultore, pubblicò a Napoli nel 1747
l’importante Delle Arti e Scienze tutte dividate nella
Giurisprudenza, dedicato
all’Accademia di Parigi. Le poesie di Antonio
sono presenti nella Colonia Aletina (cui era ascritto
sotto il nome di Orminio) e nella sua opera Raccolta
fatta in morte del Caporuota Antonio Magiocco (Napoli,
1749). Anche suo figlio Pietro d'Orimini “degli
antichi signori del Gaudo(16)” fu Giureconsulto e poeta: tra le sue
Poesie (edite a Napoli nel 1771) ricordiamo Nella
eruttazione della Montagna di Somma del 1767(17). Tuttavia, anche in questo caso non si
avranno più notizie circa una Famiglia di tal nome già a
partire dal secolo successivo, quando in molte opere
bibliografiche se ne parlerà come di una Casata estinta
nel Seggio dei Cimbri. |
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In quasi otto secoli di storia, la
Famiglia Orimini si è distinta nelle armi, nelle
scienze, nelle dignità della Chiesa, nelle illustri
parentele contratte con le più nobili Famiglie del
Regno: tracce della sua memoria si ritrovano ancor oggi
a Napoli, ma anche in Terra di Puglia, ove esistono
ancora una Masseria Orimini
(costruzione fortificata con lunghe garitte di forma
circolare e comprendente molti trulli) nei pressi di
Crispiano e il cosiddetto Bosco
Orimini, suggestiva distesa boschiva di leccio
d’alto fusto facente parte del patrimonio naturalistico
della Valle d’Itria e costituente l’antica strada che
congiungeva Martina Franca a Taranto: area protetta nota
anche per via di misteriosi fenomeni paranormali intorno
ai quali si è più volte soffermato l’immaginario
collettivo della popolazione della zona. |

Masseria Orimini (Crispiano).
http://www.perieghesis.it/Atlante%20masserie/photos/Orimini.html
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Scorcio di Bosco Orimini (Martina
Franca).
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FONTI BIBLIOGRAFICHE
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Stelleopardis, Afragola feudale: per una storia degli
insediamenti rurali del napoletano, Istituto di Studi
Atellani, 2004;
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Sicilie dall’origine e fondazione della monarchia fino a
tutto il Regno dell’Augusto Sovrano Carlo III. Borbone,
volume 2, Fibreno, 1860;
- Federigo Furchheim, a cura di,
Bibliografia del Vesuvio: compilata e corredata di note
critiche estratte dai più autorevoli scrittori
vesuviani, Cambridge University Press, 2011;
- Piero Marinò, Nicola Marturano,
Civiltà del Barocco a Martina Franca, Schena Editore,
1996;
- Anonimo, Collezione di tutti i poemi
in lingua Napoletana, Edizione 17, G. M. Porcelli, 1787;
- D. Antonio d’Orimini, Delle arti e
scienze tutte divisate nella giurisprudenza, Per S.
Porsile regio stampatore, 1747;
- Francesco de Pietri, Dell’historia
napoletana, Nella Stampa di G. D. Montanaro, 1634;
- Camillo Tutini, Dell’origine, e
fundation de seggi di Napoli, del tempo in che furono
instituiti, e della separation dé nobili dal popolo, … ;
Del supplemento al Terminio, oue si aggiungono alcune
famiglie tralasciate da esso alla sua apologia, & Della
varieta della fortuna confermata con la caduta di molte
famiglie del regno, Appresso il Beltrano, 1644;
- Carlo de Lellis, Domenico Conforto,
Discorsi postumi del Signor Lellis di alcune poche
Nobili Famiglie: con l’annotattioni in esse, e
supplemento di altri discorsi genealogici di Famiglie
Nobili della Città, e Regno di Napoli, del Dottor Signor
Domenico Conforto, Gramignani, 1701;
- Francesco Casotti, Sigismondo
Castromediano, Luigi De Simone,Luigi Maggiulli,
Dizionario Biografico degli Uomini Illustri di Terra
d’Otranto (a cura di Gianni Donno, Alessandra Antonucci,
Loredana Pellè, introduzioni di Gianni Donno, Donato
Valli, Ennio Bonea, Alessandro Laporta), Piero Lacaita
Editore, 1999;
- Carlo de Lellis, Famiglie nobili del
regno di Napoli, volume 1, Forni, 1654;
- Angelo Di Costanzo, Istoria del Regno
di Napoli, volume 2, Fontana, 1832;
- Giovanni Liuzzi, La Confraternita
dell’Immacolata dei Nobili in Martina Franca, Schena
Editore, 2000;
- Pierroberto Scaramella, Le lettere
della Congregazione del Sant’Ufficio ai tribunali di
fede di Napoli 1563-1625, Università di Trieste, 2002;
- Giovanna Petti Balbi, Giovanni Vitolo
(a cura di), Linguaggi e pratiche del potere: Genova e
il Regno di Napoli tra Medioevo ed età moderna, Laveglia,
2007;
- Annamaria Facchiano, Monasteri
femminili e nobiltà a Napoli tra Medioevo ed Età
moderna: il necrologio di S. Patrizia (secc. XII-XVI),
Ed. Studi Storici Meridionali, 1992;
- Rosalba Di Meglio, Ordini mendicanti,
monarchia e dinamiche politico-sociali nella Napoli dei
secoli XIII-XV, Aonia Edizioni, 2013;
- Francesco Capecelatro, Origine della
Città, e delle Famiglie Nobili di Napoli: 2,2, Gravier,
1769;
- Alessandra Perriccioli Saggese, voce
Orimina, Cristoforo, in Dizionario biografico degli
italiani, volume 79, Istituto dell’Enciclopedia
italiana, 2013;
- A. Cofano, Storia antifeudale della
Franca Martina, Schena Editore, 1977;
- Bruno Pellegrino, Maria Marcella
Rizzo, Benedetto Vetere, Storia di Lecce: dai Bizantini
agli Aragonesi, Laterza, 1993;
- M. Pizzigallo, Uomini e vicende di
Martina, Schena Editore, 1986. |
____________________
Note:
1) - L’emblema è rappresentato in
uno stemmario del XVII secolo comprendente gli Stemmi di buona
parte della Famiglie Nobili del Regno partenopeo, conservato
presso la Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele II” di Napoli
(sezione Manoscritti e Rari, coll. X.A.42, f. 22 verso).
Anche Francesco de Pietri, nella sua opera Dell’historia
napoletana (Nella Stampa di G. D. Montanaro, 1634, p. 107),
conferma il fatto che gli Orimini innalzassero uno Stemma
presentante bande «vermiglie […] e argentee».
12)
- Si ricorda che solo a Napoli il famigerato Tribunale
dell'Inquisizione non mise piede e il Tribunale
diocesano non aveva il potere di sottoporre a tortura
gli inquisiti.
|
Continua nel sesto
volume in preparazione di "LA STORIA DIETRO
GLI SCUDI"
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