
Ovvero delle Famiglie Nobili e titolate del Napolitano,
ascritte ai Sedili di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano,
appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano
dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che
abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia.
|
 |
Famiglia
Turnone |
A cura del Dr. Pierluca
Turnone |
Arma:
partito, nel 1° d’azzurro seminato di gigli d’oro; nel 2° di
rosso al leone d’oro[1].
Alias
dell’arme esposta a Palazzo Bo (innalzata dal Nobile
Francesco Turnone, Rettore dell’Università degli Artisti dello
Studio di Padova, Cavaliere e Artis Medicinae Doctor):
partito, nel 1° d’azzurro a sette gigli d’oro posti 2, 2, 2, 1;
nel 2° di rosso al leone d’oro sormontato da corona dello stesso[2].
Dimora:
Martina Franca, Monopoli, Napoli, Taranto. |

©
Stemma
del Nobile Cav. D. Francesco Turnone, Rettore
dell’Università degli Artisti dello Studio di Padova
(1603-1604).
Entro la targa è inciso: “FRANCISCO TORNONIO APULO / MARTINENSI
EQUIti IN PHILosophia ET / MEDicina LAUREATO RECTORI /
MAGNIFICENTISSIMO / UNIVERSITAS (…) MDCIV” (Palazzo del Bo,
Padova). |
La famiglia Turnone, Casata pugliese di antica distinzione, è di
probabili e assai verosimili origini francesi. Il cognome
infatti, anche nelle sue più antiche attestazioni (de
Tornona, de Turnona), pare riflettere il
toponimo transalpino Tournon (Turnone in latino,
Tornon in dialetto vivaro-alpino), forse di provenienza
romana e derivante dal nome Turnus[3]
; il Casato, peraltro, innalzò almeno dal XVI secolo un blasone
armeggiato di gigli d’oro in campo azzurro nel primo partito e
di un leone d’oro rampante in campo rosso nel secondo,
presentandosi quindi come una diramazione collaterale in
Terra d’Otranto
dell’antichissima e nobile Stirpe di Cavalieri de Tournon.
Quest’ultima, uno dei Casati più illustri di tutto il Regno
d’Oltralpe, derivava il proprio nome dal feudo di Tournon (dal
1989 Tournon-sur-Rhône), situato sulle sponde del Rodano, suo
possesso e roccaforte sin da tempo immemorabile; nei secoli ebbe
modo di fregiarsi dei titoli di Signore, Barone, Conte e
Marchese, non mancando di imparentarsi a più riprese con i Reali
di Francia (Capetingi e Carolingi, sin a ridosso dei Merovingi)
e i Conti di Savoia[4].
|
Comunque stiano le cose, è certo che la famiglia Turnone
fiorì tra il XV e il XVI sec. a Martina Franca[5]
(originariamente Franca Martina), borgo medievale
di fondazione angioina situato in Valle d’Itria, a metà
strada tra Taranto e Monopoli. Qui il Casato ebbe modo
di prosperare e in breve tempo accumulò tali ricchezze e
potere da essere annoverato tra i lignaggi più illustri
del circondario; i suoi vari membri presero parte alle
vicende politiche della città nel frattempo infeudata ai
Caracciolo[6] e
ricoprirono cariche di rilievo nella pubblica
amministrazione, distinguendosi nondimeno nelle lettere,
nelle scienze e nel servizio della Chiesa.
La famiglia godette di svariati trattamenti d’onore (Nobilis,
Magnificus, Messer, Signore,
Dominus[7]),
visse more nobilium e amministrò un cospicuo
patrimonio fondiario e immobiliare, compresa un’antica e
imponente casa a corte situata dentro Martina, eletta
quale sua dimora gentilizia e oggi parte del
Conservatorio di Santa Maria della Misericordia
(complesso ritenuto degno di interesse storico dall’Associazione
Dimore Storiche Italiane[8]).
Nel XVI sec., inoltre, il Casato esercitava il
giuspatronato sull’altare di Santa Maria della Croce
(oggi non più esistente) dell’antica chiesa di San
Martino, di fronte al quale possedeva un proprio
sepolcro[9];
nel 1671, d’altro canto, è documentato il possesso
dell’altare e della cappella di Sant’Antonio Abate da
parte della “familia Clerici Donati Antonij
Turnona”[10].
|
I primi membri della Casata di cui si abbia memoria
vissero tra il XV e l’alba del XVI sec.; i loro nomi,
relativi a personaggi certo già abbienti e ben inseriti
nel contesto sociale di Martina, sono custoditi nei
Libri dei conti e nella Platea capitolare dell’Insigne
Basilica di San Martino. Tra le carte d’archivio emerge
dal buio di tempi tanto remoti il nome del Magister
Pietro Angelo de Tornona, qualificato “aromatario”[11]
e vissuto presumibilmente al tramonto del Quattrocento;
da documenti affini si apprende che Carmosina
Tornona, figlia del Magister Antonio
(forse un fratello di Pietro Angelo), assegnò alla
chiesa un legato di un censo annuale di un tarì sul suo
palazzo dotale sito dentro Martina “in vicinio Sancti
Petri de Graecis”[12];
la donna fece testamento col notaio Vito Scatigna il 14
agosto 1502. Nel 1505 un “dominus Philippus
de Turnona de
Martina”
è invece annoverato tra gli studenti della prestigiosa
Universitas Artistarum patavina[13].
|

Targa in memoria di Filippo
d'Angiò, principe di Taranto, che
diede vita al Casale di Martina Franca
|

Martina Franca - La Collegiata di San Martino
riedificata nel 1747
su preesistente chiesa le cui vicende risalgono al XIV
secolo. Già prima del 1557 l’altare di Santa Maria della
Croce, oggi non più esistente, era sotto il
giuspatronato della famiglia Turnone. |
Un primo filo genealogico comincia dunque a delinearsi
con Pietro Angelo, forse nipote dell’omonimo
speziale. Vissuto nella prima metà del Cinquecento,
dovette appartenere a famiglia già annoverata tra le
primissime Casate della città: egli infatti, appellato
Nobile e Magnifico, fu Consigliere della
Comunità della Franca Martina nel 1530 e in tale veste
si recò a Buccino con il Sindaco Antonio Vacca per
rendere omaggio al Duca Petracone IV Caracciolo in
occasione della nascita del figlio ed erede di questi,
Ferdinando Giambattista[14].
Pietro Angelo ebbe come figlio Gilberto
(appellato Nobile, Magnifico e Messer):
insieme fondarono prima del 1557 il giuspatronato
sull’altare di Santa Maria della Croce nell’antica
chiesa di San Martino, assegnando per dote un legato di
un censo annuale di 2 ducati e 4 carlini su
un’abitazione con forno posta dentro Martina, nelle
vicinanze della Porta di Santa Maria. La Platea
capitolare fa riferimento a tre ebdomade
effettuate da Pietro Angelo, dalla moglie Maria Scialpi
e da Gilberto per un totale di 156 messe annuali
(successivamente ridotte) da celebrare per le loro anime
sull’altare e nella cappella di proprietà del Casato[15].
Donato Antonio (Nobile, Magnifico),
galantuomo vissuto intorno alla metà del XVI
sec., era con ogni probabilità un altro figlio di Pietro
Angelo[16];
dal suo matrimonio con l’honesta Laura Blasi,
appartenente a una delle Casate più cospicue di Martina,
nacquero Giovanni Giacomo (futuro marito di
Aurelia
Orimini),
Donna Livia e la Magnifica
Vittoria Turnone. |
Nel 1540 il Magnifico Filippo Turnone,
Utriusque Iuris Doctor
[17]
e Avvocato, fu nominato membro della Commissione
istituita dai Consiglieri della Comunità della Franca
Martina per contestare alla Corte ducale l’illegittimità
procedurale e l’incompatibilità giurisdizionale delle
azioni del Governatore Dottor Camillo Dante di Palo, che
in seguito a un caso d’omicidio ad opera di ignoti si
era arrogato il diritto di procedere penalmente contro i
Consiglieri e il Sindaco appellandosi alla normativa
della pubblica amministrazione
[18];
qualche decennio dopo si incontrano il Magnifico
Giovanni Battista Turnone (Magnifico,
Messer), Artis Medicinae Doctor[19]
e ricco possidente, e suo fratello, il Nobile Giovanni
Cataldo Turnone.
Quest’ultimo ebbe sicuramente come figli Pompeo e
Messer Ambrogio Turnone. |
Nel 1584 Messer Filippo Turnone (Magnifico, Messer,
Dominus), figlio del dottor fisico
Giovanni Battista,
Utriusque Iuris Doctor
e Giureconsulto, ricoprì la carica di Procuratore
dell’Università della Franca Martina[20],
mentre nel 1594 intervenne nel corso della santa
visita che Monsignor Lelio
Brancaccio, Arcivescovo di Taranto, fece alla
chiesa di San Martino (1-10 novembre). Suo fratello, il
Reverendo D. Girolamo Turnone,
fu suddiacono[21],
diacono[22]
e infine presbitero[23]
della chiesa maggiore martinese, nonché Artis
Medicinae Doctor. Nel 1585 fu nominato dal
Magnifico Angelo de Angelini primo cappellano
dell’altare della Santissima Trinità, carica che ancora
conservava nel 1594. |
Il Magnifico Dottor Filippo ebbe due eredi: il
primo fu il Cavaliere Francesco Turnone (Nobile
[24],
Magnifico, Dominus
[25];
1577 – 1656), uno dei più distinti personaggi che abbia
illustrato il Casato
(vedi
atto di battesimo);
il secondo il Magnifico Giovanni Battista Turnone
(Nobile, Magnifico, Signore,
Dominus). |
Francesco fu battezzato il 27 settembre 1577 (padrino
del neonato fu il Signor Angelo de Angelini,
allora Arciprete di Martina) e presto inviato dalla
famiglia a studiare presso l’Università degli Artisti
dello Studio di Padova (natio romana). In breve
tempo fu eletto Magnifico Rettore della stessa: si
rammenta che per tale carica “si avea
in mira di scegliere soggetti cospicui per nobiltà,
scienza e fortune tali e da esigere riverenza, e da
poter, senza scapito, magnificamente trattarsi come
conveniva alla dignità dell’ufficio”[26].
Nel corso del proprio mandato, durato dal 1603 al 1604
[27],
Francesco fu innalzato alla dignità equestre. Si
addottorò quindi in Filosofia e Medicina l’11 settembre
1604 (“doctissime in utraque facultate”); a
insignirlo del titolo fu l’illustre filosofo e
scienziato Cesare Cremonini, esponente di spicco
dell’aristotelismo padovano nonché docente ordinario di
primo luogo di filosofia naturale[28].
A tal proposito, giova ricordare che nel XVI e nel XVII
sec. l’Università degli Studi di Padova costituì uno dei
principali centri scientifici dell’Europa moderna,
all’interno di una vivacissima atmosfera intellettuale e
culturale. Molte nobili famiglie del continente
iscrissero i propri rampolli al celebre ateneo, allora
attraversato da quei fermenti e da quelle istanze che
sarebbero state le più precipue caratteristiche del
fenomeno, plurale e complesso, noto come Rivoluzione
scientifica. Personalità del calibro di Galileo
Galilei, Girolamo Fabrici d’Acquapendente (suo allievo,
tra gli altri, fu William Harvey) e dello stesso
Cremonini insegnarono in loco proprio negli anni del
rettorato di Francesco Turnone, il cui stemma
gentilizio, scolpito in pietra, decora ancora oggi il
passaggio dal cortile antico al cortile nuovo di Palazzo
Bo (storica sede dell’Università). Entro una targa,
separata dallo Stemma, è inciso: “FRANCISCO TORNONIO
APULO / MARTINENSI EQUIti IN PHILosophia ET / MEDicina
LAUREATO RECTORI / MAGNIFICENTISSIMO / UNIVERSITAS (…)
MDCIV”.
Tornato nella città natia, il novello dottor fisico
impalmò la Magnifica Isabella Leone (Magnifica,
Donna), esponente di una delle famiglie più
rappresentative del ceto egemone martinese, avendo poi
modo di distinguersi anche nell’amministrazione comunale
oligarchica e al servizio del Duca. Nel 1626 Francesco
aveva infatti il compito di consegnare svariate somme di
denaro dell’Università di Martina al partitario Ludovico
Pisacano in Lecce, e in quell’anno, al fine di
recuperare tutte le polizze di ricevute, si recò
personalmente nel capoluogo salentino. Nel 1627 fu
nominato Procuratore dell’Università, mentre il 25
luglio 1631 figura tra gli eletti della stessa, in
sostituzione dell’Utriusque Iuris Doctor Giovanni
Battista Fullone (dichiarato assente). Nel 1637 è
Luogotenente della Ducal Curia della Terra di Martina;
nel 1640 è attestato come Priore ed Economo della
Venerabile Confraternita del Santissimo Sacramento; nel
1642, infine, è nuovamente Luogotenente ducale. Morì, a
79 anni d’età
[29],
il 31 ottobre 1656 e fu seppellito nel Convento dei
Reverendi Padri Domenicani in San Domenico.
Il secondo erede di Messer Filippo, il Nobile
Giovanni Battista, è attestato a Padova tra il 1603
e il 1604[30].
Nel 1627 è nominato Procuratore del Venerabile Convento
di Santa Maria del Monte Carmelo, a Martina; nel 1634,
invece, pare si trovasse nella capitale del Regno. In un
atto rogato dal notaio Donato Antonio Caramia, Giovanni
Battista è definito consanguineo della gentildonna
Vittoria Turnone. |

©
Stemma del Nobile Cav. D. Francesco Turnone, in
discreto stato di conservazione (Palazzo del Bo,
Padova). |
Altri esponenti del Casato nella Martina dei primi del
Seicento furono il Magnifico[31] Giovanni Turnone
di Messer Ambrogio (vedi
atto notarile),
Artis Medicinae Doctor e notabile Professore di
latino e greco[32],
il Magnifico Donato Antonio (Magnifico,
Messer) e Orazio Turnone: questi ultimi
furono entrambi figli di Giovanni Giacomo e quindi
pronipoti di Pietro Angelo.
Particolarmente celebre, ad ogni modo, è rimasta la
figura del Dottor Francesco Turnone
(Magnifico, Signore
[33],
Don
[34]),
anch’egli figlio di Giovanni Giacomo. Laureato in
utroque iure e prestigioso Avvocato, fu nominato
Procuratore dell’Università della Franca Martina nel
1626; nel 1628 fu invece Luogotenente di quella Terra
per conto del Duca. Eletto più volte tra i membri del
parlamento locale, nel 1631 venne inviato per conto
della Comunità a Valenzano, al fine di trattare con il
Barone Francesco Jurietti (creditore del’Università) la
liberazione di alcune giumente appartenenti al fratello
Orazio Turnone. Occupò la carica di Sindaco della
città dal 1° settembre 1632 al 31 agosto 1633 e poi
nuovamente dal 1° settembre 1638 al 31 agosto 1639. Nel
1634 fu Priore della Venerabile Confraternita e della
Cappella del Santissimo Rosario; nel 1635 risulta invece
attestato come Deputato ed Economo del Venerabile
Convento di San Francesco di Monache (all’epoca in
costruzione)[35].
Personaggio di spicco della vita politica e sociale
martinese e titolare di un consistente patrimonio
fondiario e immobiliare, il Dottor Francesco era però
odiatissimo dal popolo (che lo soprannominava
Franceschiello) in quanto partigiano del Duca
Francesco I Caracciolo
[36].
Nel luglio del 1647, in seguito alle propaggini in Terra
d’Otranto della rivolta di Masaniello,
a Martina scoppiò un tumulto popolare, animato da Mastro
Vito Antonio Montanaro detto Capodiferro (un noto fabbro
ferraio). Franceschiello fu trovato nascosto nel
Convento dei Domenicani, forse qui rifugiatosi dopo
essere fuggito dal proprio palazzo: la folla inferocita
lo defenestrò, lo finì a colpi di mazza e, dopo averne
trascinato il corpo per le vie della città, lo abbandonò
nei pressi del Convento dei Cappuccini, ove nottetempo i
religiosi lo seppellirono cristianamente. L’accaduto
costituisce un episodio rilevante in molte opere di
storia locale, e dovette suscitare una certa sensazione
all’epoca, in considerazione della celebrità del
personaggio in ambito cittadino.
Il Dottor Francesco sposò intorno agli anni Venti del
XVII sec. Donna Antonia Semeraro, dalla quale
ebbe molti figli: si distinsero nella Martina del
secondo Seicento Maddalena (Donna,
Signora), abbiente gentildonna andata in sposa al
Dottore di legge Tommaso Magli (Signore),
nominato prima Procuratore dell’Illustrissimo D. Innico
Caracciolo (14 marzo 1664) e poi amministratore in suo
nome del feudo di Sant’Angelo in Terra d’Otranto (5
aprile 1664)[37];
il Reverendo D. Giovanni, chierico, poi
suddiacono e diacono, quindi presbitero, Abate[38]
e infine Canonico della chiesa di San Martino, il quale
ricoprì più volte la carica di Procuratore ed Economo
del Reverendo Capitolo e del Clero della Collegiata (1°
settembre 1669 – 31 agosto 1670; 1° settembre 1675 – 31
agosto 1676; 1° settembre 1690 – 31 agosto 1691) e che
al tramonto della vita concesse in affitto alla Duchessa
Aurelia
Imperiali
la propria abitazione privata, col fine di accogliere e
riscattare povere fanciulle orfane (in seguito provvide
a donarla, permettendo l’istituzione del Conservatorio
di Santa Maria della Misericordia ancora oggi esistente[39]);
il Reverendo D. Giovanni Giacomo, sacerdote della
Collegiata di San Martino negli stessi anni del fratello
omonimo; e infine Maria, poi divenuta Suor
Angela Maria, ultima figlia di Franceschiello
e Donna Antonia.
Secondo l’insigne studioso Giuseppe Grassi, nella
Martina della seconda metà del XVII sec. sarebbe vissuto
anche l’Abate Dottor Franco Turnone,
insigne ecclesiastico della chiesa di San Martino
nominato dalla Repubblica di Venezia Cavaliere di San
Marco[40]. |

Palazzo dell'Università, luogo e
simbolo del potere civico di Martina Franca per diversi
secoli. Nel 1734 venne eretta la torre civica. |
Nel Settecento l’antica potenza della famiglia in città
sembra ormai del tutto oscurata, essendo il Casato
entrato in una fase di decadenza già nel secondo
Seicento (per ragioni ancora da chiarire). Alcuni rami
si estinsero e solo pochi tornarono successivamente a
distinguersi: tra questi sono da citare il ramo
monopolitano-napoletano e quello degli attuali
rappresentanti della famiglia.
Nel Settecento una ramificazione della Casata risulta
infatti attestata anche a Monopoli, avendo il martinese Filippo
Antonio Maria
Turnone trasferito la propria residenza nella città
adriatica forse intorno alla metà del secolo. Nello
stesso periodo fu attivo in loco il Padre Domenico Turnone,
Professore di Eloquenza nel seminario di Venafro e
membro dell'Accademia dei Venturieri[41]
(associazione di letterati, filosofi e uomini di
cultura, sia laici che ecclesiastici, sorta nel 1765
sotto la protezione della Vergine Addolorata). |

Ode composta da Padre Domenico Turnone in onore
di Mario Petraroli, apparsa nell’opera Poesie di
Mario Petraroli nell’Accademia dé Venturieri
della Città di Monopoli il difensore (Napoli 1766) |
Agli inizi del XIX sec. tale ramo del Casato risulta poi
trapiantato a Napoli, nelle persone di Don Giovan-Battista
Turnone (ecclesiastico) e delle gentildonne Aurelia e Francesca Turnone
sue sorelle; il 6 aprile 1809 Donna Teresa
Turnone (Signora, Donna), figlia del
Signor Carlo,
sposò Don Giuseppe Fanelli (Signor, Don),
dal quale ebbe cinque figli.
Questo ramo della famiglia, discendente in linea diretta
dal seicentesco Rettore patavino ed estinto prima della
metà dell'Ottocento, ebbe dimora al n°51 dell'antica
Salita dei Sette Dolori, nel quartiere partenopeo di
Montecalvario.
Gli attuali rappresentanti del Casato, residenti a
Taranto, discendono invece da Orlando Martino
Turnone (1911 – 1992), benestante signore martinese
della prima metà del Novecento. Figlio di Domenico e di
Rosalia
Cito,
fu Sottufficiale del Regio esercito nella Seconda Guerra
Mondiale; nel 1961 si trasferì con la famiglia
nell’antica città della Magna Grecia, ove attualmente
risiedono per l’appunto i suoi discendenti. Questo ramo
del Casato trae origine dall’unione del Nobile Donato
Antonio
Turnone e dell’honesta Laura Blasi, membri
dell'aristocrazia martinese del XVI sec. |
Palazzo Turnone
(oggi Conservatorio di Santa Maria della Misericordia)
fu edificato, con ogni probabilità, intorno alla fine
del XV o nel XVI sec. Del tutto privo di guglie,
doccioni e altre decorazioni tipiche del Barocco (che
invasero successivamente i palazzi storici di Martina al
massimo del loro splendore), mantenne anche in seguito
alla ristrutturazione avvenuta nel Settecento il proprio
stile caratteristico, ben esemplificato dalle pietre del
portale d’ingresso (rievocanti il quattrocentesco
Palazzo Strozzi di Firenze). Si trattava in effetti di
un’ampia casa a corte con una bilanciata gestione degli
spazi, adatta ad ospitare una famiglia del ceto egemone.
Se al pian terreno, in prossimità della corte, erano con
tutta probabilità ubicati un giardino con pozzo e
piazzolina, stalle, depositi alimentari e camere per la
servitù, al primo piano (cui si accedeva tramite scale
dalle balaustre elegantemente rifinite e decorate,
ancora oggi esistenti) erano situate le gallerie, le
camere di rappresentanza e gli appartamenti della
famiglia padronale. Il fatto che il successivo complesso
monastico sia sorto dall’aggregazione di tali strutture
e di altri edifici privati spiega perché esso
costituisca un unicum da un punto di vista
architettonico: non vi è infatti, come di norma, un
chiostro centrale; vi è piuttosto un vasto androne
d’accesso, delimitato dal portale d’ingresso in bugnato
in stile tardo-rinascimentale, entrambe tracce
dell’antico carattere gentilizio della struttura. Al di
sopra del portale è possibile ancora oggi riconoscere
l’antico manufatto stemmato rappresentante il blasone
della Casata, purtroppo in cattivo stato di
conservazione al di là dell’elmo e delle piume del
cimiero. Affianco al portale in bugnato, sulla destra, è
situato l’ingresso della cappella del complesso
monastico, dedicata alla Madonna della Misericordia. |
 |
 |
©
Palazzo Turnone, oggi Conservatorio di Santa Maria della
Misericordia, con particolare del manufatto stemmato, purtroppo
in degradato
stato di conservazione (vico Monacelle, Martina Franca). |
Palazzo Turnone costituì con ogni probabilità una delle
prime residenze signorili di Martina Franca. È tra i
pochi edifici ad essere sopravvissuto alla completa
ristrutturazione edilizia cittadina del Settecento, pur
essendosi trasformato in tutt’altra istituzione; si
trova, peraltro, nel rione Curdunnidde, antico
complesso abitativo del centro storico risalente
all’epoca angioina. Il palazzo testimoniò efficacemente,
anche tramite la propria estensione, il notevole
prestigio sociale ed economico del Casato.
Nel 1712 il Conservatorio appare essere già operante e
perciò a quella data il Canonico Abate Giovanni Turnone
doveva già avere affittato in parte la struttura alla
Duchessa di Martina. La donazione del palazzo ebbe luogo
il 28 luglio 1715 (quel giorno l’ecclesiastico fece
testamento con atto del notaio Cataldo Antonio Rattico),
ma venne resa effettiva solo con l’apertura del
testamento, il 31 agosto di quello stesso anno. Nel
documento il Canonico dichiara: “[i]tem iure legati
lascio alle figliuole del Conservatorio fondato
dall’Eccellentissima Signora Duchessa Madre Donna
Aurelia Imperiale li miei palazzi, dove al presente
habito, e voglio, che di detti miei palazzi se ne faccia
un Conservatorio à spese di dette figliuole, dove
habbiano da abitare in perpetuum; col peso però di far
celebrare per l’anima mia, padre, madre, fratelli, e
sorelle, et à chi mi ritrovo più tenuto, et obligato
messe numero cento dieci ogn’anno in perpetuum, et mundo
durante, e di pregare Dio per me, e per detti miei
defunti […]”.
Anche il Chirulli scrive, nel terzo volume della sua
Istoria cronologica della Franca Martina: “Fondò
ella [la Duchessa di Martina, ndA] un
Conservatorio di povere Zitelle mantenute a sue spese
prima in una casa ad affitto, e poi nel Palazzo del fu
Canonico Giovanni Turnone, da chi fu legato a dette
Zitelle col peso di alcune messe, e colla condizione,
che facendosi altrove il Conservatorio, il detto Palazzo
andasse a beneficio del Revedendissimo Capitolo di
Martina”[42].
Nel 1725 Aurelia Imperiali e Isabella
d’Avalos
istituirono definitivamente il Conservatorio in loco.
Il complesso, incluso dall’Associazione Dimore
Storiche Italiane tra gli edifici di interesse
storico della città, è inoltre sede della Fondazione
Caracciolo-De Sangro.
Anche a Taranto vi è un Palazzo Turnone, ubicato
nel Borgo Antico e affacciato sul Mar Grande. Acquistato
e ristrutturato nella seconda metà del XX sec., tale
palazzo è tuttora di proprietà della famiglia. |

© Palazzo Turnone, Taranto. |
FAMIGLIE IMPARENTATE
CON CASA TURNONE |
La famiglia Turnone si è imparentata a più riprese con
la maggior parte delle Casate del ceto egemone di
Martina Franca, e insieme a loro ha contribuito a
scrivere la storia di quest’elegante cittadina. Si è
scelto di esporre qualche cenno storico in riferimento a
dette Casate, indicando in che modo esse abbiano
contratto parentela con la famiglia. Alcune vantano
origini lontane o hanno prosperato anche al di fuori
delle mura di Martina; in qualche caso, peraltro, non di
tratta affatto di famiglie martinesi.
AYROLDI:
La famiglia Ayroldi fu nobile in Ostuni, ove è
annoverata tra le Casate più ricche e distinte almeno a
partire dal XVI secolo: nel 1585-1586 è infatti
attestato il Magnifico Stefano Ayroldi, Cassiere
dell’Università ostunese. Membri del Casato furono
svariati gentiluomini, abbienti professionisti e
benefattori. Paolo, Pietro, Giuseppe e Giovanni Battista
furono chierici in Ostuni, ove vissero anche il Dottor
Carlo Ayroldi, Don Vito Ayroldi e Onofrio
Ayroldi. Il Reverendo D. Carmelo Ayroldi, erudito
sacerdote e Tesoriere, resse la Curia di L’Aquila; degno
di nota fu anche il Cantore Agostino Ayroldi. Nel 1720
il Reverendo D. Giuseppe Ayroldi fece costruire la
chiesa gentilizia di San Giuseppe (poi riedificata nel
1870): la famiglia ebbe il privilegio di poter assistere
alla messa da una tribuna direttamente collegata al
proprio palazzo. Giuseppe Ayroldi, uno dei maggiorenti
di Ostuni, fu la prima vittima della plebe reazionaria
nel corso della
Rivoluzione Napoletana del 1799 (il suo nome
è citato persino dal celebre Vincenzo Cuoco nel saggio
dedicato a tale rivoluzione); il figlio, Don
Ferdinando, fu instancabile patriota e coordinò il
governo provvisorio che resse la città nel 1860. Nel
1812 Mario Ayroldi fu Sindaco ostunese, mentre nel 1922
il Reverendo D. Agostino fece restaurare e ulteriormente
arricchire la chiesa di San Giuseppe (di cui era padrone
e cappellano canonico); in seguito, il Reverendo D.
Tommaso Ayroldi, suo erede e congiunto, donò la chiesa
al Capitolo della Cattedrale di Ostuni. Appartennero
forse al Casato anche il Sottotenente Federico Ayroldi
(caduto sul Tonale il 25 agosto 1915) e il Maggiore
Antonio Ayroldi (1906 – 1944; Croce di guerra al valor
militare, Croce di Ferro di I classe, Medaglia d’argento
al valor militare), partigiano caduto alle Fosse
Ardeatine il 24 marzo 1944.
Questa nobile famiglia, dal 1870 proprietaria di Palazzo
Zevallos in Ostuni, si imparentò inoltre con altre
eminentissime Casate cittadine (tra cui i Carissimo) e
innalzò un blasone rappresentante tre stelle e un leone
rampante fasciato.
Giuseppe Ayroldi,
proprietario (alias possidente) nato ad
Ostuni da Stefano e Giulia Ayroldi ma domiciliato in
Martina Franca, impalmò nel 1895 Beatrice Turnone,
figlia di Angelo Raffaele e Grazia Rosato, dalla
quale ebbe come figlie almeno Giulia Maria Giuseppa
(1897), Grazia Maria (1899) e Giulia Maria Giuseppa
(1899). La coppia di proprietari dimorava a Martina in
via Paisiello; nella stessa città gli Ayroldi si
imparentarono anche con i Casavola e i Fischetti.
Altre famiglie Ayroldi si distinsero in Monopoli e
Molfetta; in quest’ultimo comune innalzarono un’arma
gheronata d’oro e d’azzurro al capo d’Impero, vantando
quindi discendenza dagli Airoldi o Iroldi milanesi,
illustre Casata lombarda poi trapiantata in Sicilia agli
inizi del XVII secolo (Duchi di Cruyllas, Marchesi di
Santa Colomba, Conti di Lecco, Signori di Bellagio,
trattamento di Don e Donna) e presentante
un blasone molto simile a quello della schiatta
molfettese (gheronato d’argento e d’azzurro al capo
d’Impero).
BLASI (de Blasio):
La famiglia Blasi fu tra le primissime Casate di
Martina, e per antichità di lignaggio (l’origine delle
sue fortune è probabilmente databile all’alba del XVI
secolo, con un “Magister Laurentius Magistri
Caroli alias de Blasio”
[43]),
e per le cariche ricoperte, i trattamenti goduti e gli
sterminati possedimenti che amministrò in oltre cinque
secoli di storia. Dette alla città svariati Sindaci (si
citano qui i sindacati di Pompeo, 1569-1570; Nicola
Antonio, 1595-1596, 1597-1598; Domenico, 1606-1607,
1618-1619; Pietro Antonio, Utriusque Iuris Doctor,
1619-1620, 1641-1642; Giovanni Leonardo, Utriusque
Iuris Doctor, 1635-1636; Francesco Antonio,
1791-1792, 1793-1794, 1795-1796; Domenico, eletto dai
sanfedisti dopo la sommossa popolare del 26 settembre
1798 e poi sostituito da Francesco Paolo Filomena),
uomini d’arme (Messer Giovanni, figlio di Nicola
Antonio e nipote del giudice Giovanni, è attestato come
Alfiere nel 1619; anche Scipione, figlio di Domenico, fu
Alfiere nella prima metà del Seicento; Vito Antonio,
oculato agente del Duca di Martina, fu invece Tenente
nel 1701) ed ecclesiastici (il Reverendo Abate Pietro
Antonio è Tesoriere della Collegiata di San Martino sul
finire del Cinquecento; il Reverendo Abate Giovanni
Leonardo nel 1638 figurava tra i Canonici della
Collegiata di San Martino; intorno alla metà del
Seicento il Reverendo Abate Graziano officiava nella
chiesa maggiore martinese; Lorenzo è attestato come
Arciprete di Martina dal 1711 al 1720). I membri di
questa famiglia ricoprirono anche altre cariche di
rilievo (Giovanni Lorenzo è nominato Luogotenente ducale
l’11 agosto 1617; Francesco Antonio, Dottore di legge e
futuro Sindaco di Martina, è Priore della Confraternita
dell’Immacolata dei Nobili nel 1620) ed esercitarono
un’enorme influenza nel panorama politico martinese (nel
XVIII sec. il chierico Graziano, Dottore di legge, si
dedicò alla causa del partito universalista con notevole
pervicacia, insieme ai fratelli Ettore, Angelo e
Giovanni Leonardo). Dai Blasi discese l’omonima famiglia
dei Baroni di Statte, feudataria della cittadina
pugliese dal 1730 (col Barone Francesco Blasi) al 1800
circa. A Martina esistono ancora due palazzi intitolati
alla Casata, che nel 1652 deteneva il giuspatronato
sull’altare di Sant’Antonio da Padova, appositamente
eretto nell’antica chiesa di San Martino (ne conservò la
proprietà sino alla metà del Settecento). In detta
chiesa il Casato possedeva anche un sepolcro davanti
all’altare di Santa Maria dell’Assunzione (1594).
Verso la metà del XVI sec. il Nobile Donato
Antonio Turnone sposò Laura
Blasi (“honesta”
– vedi atto
notarile),
figlia di Messer Pompeo e sorella di Domenico
(entrambi futuri Sindaci della città), quindi nipote del
Tesoriere Pietro Antonio e di Messer Graziano (Magnifico,
Messer), nonché zia del Dottore di legge Pietro
Antonio (anch’egli futuro Sindaco), dell’Alfiere
Scipione, del Reverendo D. Francesco e delle signore
Donna Livia, Donna Aurelia e Donna
Cecilia. Pochi anni più tardi il Magnifico
Dottore di legge Filippo Turnone, Procuratore
dell’Università nel 1584, si unirà in prime nozze con Antonia
Blasi,
come da carte dotali stipulate in data 19 febbraio 1576:
insieme procreeranno Francesco (il futuro Rettore
artista) e Giovanni Battista. Infine,
Paola Antonia Blasi
(testamento col notaio Nicola Antonio Angelini il 7
marzo 1626), figlia di Nicola Antonio e sorella
dell’Alfiere Giovanni, di Porsia e di Padovana, sposò
Donato Antonio Sisto e fu la madre di Maria, seconda
moglie di Orazio Turnone.
Lo stemma dei Blasi consisteva in un ermellino (secondo
alcuni una lince) con un cartiglio recante il motto
MALO MORI QUAM FOEDARI (“Meglio morire piuttosto
che tradire”).
CAROLI (de Carolis): Orazio
Turnone,
figlio di Giovanni Giacomo e di Aurelia Orimini,
sposò in prime nozze Donna Vita
Antonia Caroli,
figlia di Francesco e di Nunzia Locorotondo, dalla quale
ebbe Giovanni Giacomo e Aurelia
(presumibilmente morta in tenera età). In un atto
notarile seicentesco rogato dal notaio Nicola Antonio
Angelini si afferma inoltre che il chierico Filippo
Turnone era consanguineo delle figlie di Giovanni
Giacomo Caroli, Dottore in utroque iure, la cui
famiglia fu per secoli una delle più cospicue di
Martina: dette infatti alla città diversi Magnifici,
proprietari terrieri e facoltosi professionisti (via
Arco Caroli prende il come da questa Casata). Furono
Sindaci della cittadina pugliese almeno Giovanni
(1527-1528), Ambrogio (1572-1573; 1582-1583), Donato
(1588-1589), Donato Antonio (1603-1604), Giuseppe
(1607-1608) e il dottor fisico Girolamo
(1628-1629). Il Reverendo D. Giovanni Antonio nel 1575
fu Arciprete di Martina, carica ricoperta anche dal
Reverendo D. Donato Antonio (Magnifico) almeno
fra il 1609 e il 1637. Il Magnifico Girolamo fu
Priore della Confraternita del Santissimo Sacramento
(1594-1595).
Nel 1594 la famiglia possedeva un sepolcro privato nei
pressi della porta australe della chiesa di San Martino;
il Magnifico Graziano Caroli aveva inoltre in
proprietà un sepolcro nei pressi della porta del coro,
accanto a quello del Magnifico Donato Antonio
Magli. Nello stesso anno la Casata esercitava il
giuspatronato sull’altare di Tutti i Santi (eretto dal
Reverendo D. Antonio Caroli e passato poi al nipote,
chierico Fabrizio) e sul recente altare di San Giovanni
Battista (fondato dai Magnifici fratelli Graziano
e Giovanni Maria; Vito vi fondò un beneficio, di cui il
chierico Donato Antonio fu cappellano nel 1594).
Entrambi gli altari erano ancora di proprietà della
famiglia Caroli nel corso delle visite pastorali del
1652 e del 1721.
CAVALIERE:
La famiglia Cavaliere fu una distinta e onorata Casata
barese di rango civile; attestata già sul finire del XVI
sec. e vissuta anche a Mola, godette di notevole
prosperità economica, ciò che le permise di vivere di
rendita (more nobilium). La famiglia donò al
capoluogo pugliese illustri gentiluomini come il longevo
Don Luigi Cavaliere (vissuto a cavallo tra XVIII
e XIX sec.) e il figlio Don Nicola, impiegato
della Corona. Il Sindaco Nicolangelo Cavaliere fu uno
dei magistrati che ressero la città di Bari dal 1°
settembre 1800 al 31 agosto 1801, insieme al Signor
Dottore Modesto Cavaliere (uno degli eletti
dell’Università). Quest’ultimo fu importante politico,
eletto anche Sindaco del popolo; il 31 maggio 1800,
peraltro, fu nominato rappresentante del primo ceto
cittadino in un comitato istituito dal decurionato al
fine di ratizzare la somma di 2035 ducati. Nel 1823
Girolamo Cavaliere è chierico della Basilica di San
Nicola; Don Pietro Cavaliere esercitò il
notariato a Bari intorno alla metà dell’Ottocento,
secolo in cui visse anche il Reverendo D. Modesto.
Carmela Francesca Fortunata Cavaliere
nacque a Bari il 5 luglio 1837 da Don Nicola
Cavaliere (figlio di Don Luigi e impiegato della
Corona) e Donna Maria Lizzari (figlia di Don
Filippo Giacomo); intorno alla metà del secolo perse
progressivamente tutti i membri della sua famiglia. Non
si sa di preciso quando si trasferì a Martina Franca;
certamente, comunque, contrasse matrimonio con il
martinese Carmelo Cito, da cui ebbe Rosalia, futura
moglie di Domenico Turnone. Gli attuali
rappresentanti del Casato, nipoti e pronipoti di
Domenico e Rosalia, discendono quindi in linea diretta
dalla famiglia Cavaliere di Bari.
CHIAFELE:
Nel testamento di Messer Ambrogio Turnone
(4 settembre 1623, notaio Donato Antonio Caramia) si
afferma che il galantuomo era cugino di
Francesco Chiafele e
che quest’ultimo fu “creato di sua casa”.
Francesco apparteneva a una facoltosa famiglia martinese
di cui furono importanti esponenti Tiberio e Donato
Antonio, entrambi vissuti nel Seicento. Il Reverendo D.
Raffaele Chiafele fondò un antico altare di San Vito
nella chiesa di San Martino, ma già nel 1594 non ve ne
era più traccia; un nuovo altare dedicato al Santo fu
eretto nel 1562 dal Reverendo D. Vito Chiafele e poi
spostato più indietro nel corso della ristrutturazione
dell’ala sinistra della chiesa (tra il 1577 e il 1580).
Lo stesso Vito aveva commissionato nel 1540 una statua
di San Vito Martire, nota per la sua bellezza.
CITO: Il
chierico Francesco
(attestato nel 1631), Livia
e Antonia Cito, nipoti
di Donna Livia Turnone e di Cesare
Sarcinella, erano figli di Donato Antonio, “eccellente
medico, letterato appieno, dottor teologo, storico e
poeta impareggiabile, che ricevé l’onore di essere
aggregato nell’Accademia degli Oziosi di Napoli ed in
quella degli Umoristi di Roma, ben conosciuto dalla
repubblica tutta dei letterati per le sue eroiche
Rime, che diè alla luce”[44],
e nipoti ex fratre del cappuccino francescano
Pietro Cito, autore del poema La Vergine saettata
(1645). Altro importante membro di questa benestante
famiglia martinese (nel 1594 aveva un proprio sepolcro
nella chiesa di San Martino, davanti all’altare di San
Pietro Martire) fu il Magnifico Fulvio Cito,
vissuto nel primo Seicento e anch’egli Artis
Medicinae Doctor.
COLUCCI (de Colutio o de Colutia): Casata
tra le più antiche, prospere e potenti di Martina; nella
visita pastorale dell’Arcivescovo di Taranto del 1594 è
indicata come proprietaria della cappella di San
Sebastiano nel cimitero della chiesa collegiata.
Giovanni Marino Colucci fu notaio nel Cinquecento; nello
stesso periodo Donato fu giudice a contratti. Collega
del Magnifico Filippo Turnone, nella
commissione istituita nel 1540 contro il Governatore
Camillo Dante, fu il Magnifico Francesco Antonio
Colucci (Utriusque Iuris Doctor, figlio di
Flaminio e nipote di Graziano), padre del notaio
Giovanni Antonio. Nel 1544 Antonio fu nominato
Governatore militare di Martina e provvide a restaurare
le mura e le torri della città. Goffredo (o Gioffreda)
Colucci fu Arciprete di Martina tra il 1586 e il 1587,
mentre Giovanni Battista, Utriusque Iuris Doctor,
rettore della cappella di San Sebastiano e ancora
chierico nel 1594, diverrà Abate, Canonico e poi
Tesoriere della Collegiata di San Martino (a partire dal
1617). Fratelli del Tesoriere, tutti Magnifici,
furono Pomponio, Lucio o Luzio (Sindaco di Martina nel
1616-1617 e confratello dell’Immacolata dei Nobili) e il
Signor Dario, Artis Medicinae Doctor ,
Professore di latino e greco nonché anch’egli Sindaco di
Martina (1620-1621; 1622-1623).
Giovanni Antonio Colucci,
figlio di Dario e della prima moglie Livia Palazzo,
sposò Donna Laura Turnone (figlia di
Giovanni Giacomo e di Aurelia Orimini, morta il 9
novembre 1673 e seppellita nel Convento dei Padri
Domenicani), dalla quale ebbe Livia, ultima esponente
del Casato che da allora in poi fu considerato come la
“vera famiglia Colucci” (in riferimento a un’omonima
schiatta assurta al rango civile a partire dalla seconda
metà del Seicento).
FANELLI e CAVALLERI (Cavalleria): Maddalena
Fanelli,
appartenente a una facoltosa Casata del primo ceto di
Martina e moglie di Nicola Antonio de Cesare, fu la
suocera di Messer Ambrogio Turnone, padre
del Magnifico medico Giovanni.
Quest’ultimo sposò Donna
Antonia Cavalleri (Cavalleria), forse originaria di San Vito, poiché qui nacquero
i suoi figli Ambrogio e Maddalena Turnone
(entrambi morti prematuramente). In seguito alla
dipartita del marito, avvenuta nel primo XVII sec.,
Antonia si risposò con il Magnifico Giacomo
Antonio Laversano di Napoli.
Il ramo napoletano della famiglia Turnone, inoltre, si
imparentò con un Casato Fanelli di origine barese ma
dimorante nella capitale partenopea: esso
presumibilmente non aveva nulla a che fare con l’omonima
famiglia martinese. Il 6 aprile 1609 Donna
Teresa Turnone (Donna, Signora),
figlia del Signor Carlo e di Elisabetta
Costantino, sposò Don
Giuseppe Fanelli
(Don, Signor), figlio di Emanuele e di
Donata Rosa d’Abbrizzi, dal quale ebbe Emanuele Carlo
Giuseppe (1810), Rosa Carolina Santa (1815, andata in
sposa il 28 aprile 1836 a Don Rafaele Alessandro
Palmieri, medico cerusico di benestante famiglia
salernitana), Elisabetta Alfonza Raimonda (1818),
Alfonza Carolina Maria Anna Raimonda (1820) e Carlo Vito
Giovanni Battista Raimondo Alfonso Francesco (1823 –
1827).
GRASSI: Il
5 settembre 1918 Maria
Carmela Turnone,
figlia di Domenico e di Rosalia Cito, si unì in
matrimonio con Mario
Grassi,
imparentato con il famoso onorevole Don Paolo
(deputato del Parlamento del Regno d’Italia) e
appartenente a una ricca e distinta famiglia cittadina
di rango civile, principale protagonista della politica
martinese nell’Ottocento e nel primo Novecento. Secondo
il Montefusco i Grassi di Martina discenderebbero da una
nobile famiglia di Otranto, originatasi da Guglielmo
il Grosso (feudatario sotto Re Guglielmo il Buono)
e distintasi anche a Lecce, Martano e Locorotondo;
secondo altri autori, tale schiatta avrebbe goduto nei
suoi vari rami dei titoli di Barone di Provignano e di
Barone di San Nicola (in Pettorano). Ciò che è certo è
che la famiglia Grassi di Martina costruì le proprie
fortune a partire dal Seicento; membri del Casato furono
Francesco Paolo senior (medico chirurgo),
Francesco Paolo junior (Avvocato), Raffaele
(Avvocato), un Canonico Cantore della Collegiata di San
Martino e una suora agostiniana. Nel secondo Ottocento
la famiglia assurse a una posizione politica di primo
piano con i figli di Raffaele Grassi, membro della
Carboneria e Sindaco di Martina nel 1848: essi, entrambi
patrioti e deputati del Parlamento italiano, furono i
signori Graziano e, per l’appunto, Paolo (capo della
fazione liberale della città)[45].
Illustri rappresentanti del Casato furono anche il
Reverendo D. Giuseppe Grassi, detto Peppino (1881
– 1953), Canonico della Collegiata di San Martino,
Professore e insigne storico locale (fu l’autore di
opere come Il dialetto di Martina Franca, Martina
Franca 1925, e La Chiesa di San Martino in Martina
Franca, Taranto 1929), cui è oggi intitolata una
scuola media di Martina; e suo nipote Paolo (1919 –
1981; Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito
della Repubblica italiana), famoso impresario teatrale
milanese, fondatore del Piccolo Teatro di Milano. A
quest’ultimo sono dedicate la Scuola d’Arte
Drammatica Paolo Grassi del capoluogo lombardo e la
Fondazione Paolo Grassi di Martina Franca.
GRECO: Donna Palma
Greco,
figlia di Giovanni e nipote del Reverendo Abate
Evangelista Cervellera, dette al Magnifico
Donato Antonio Turnone cinque figli: Aurelia
(1609), il chierico Giovanni Antonio (1610),
Camillo (1614), Francesco (1615) e Filippo
(1617). Solo il secondo e il quarto sopravvissero
all’infanzia. In seguito alla prematura dipartita del
marito (morto il 2 ottobre 1618 e seppellito nel
Venerabile Convento di San Domenico), Donna Palma
si risposò con il Magnifico Vespasiano Scialpi;
la donna farà testamento con il notaio Nicola Antonio
Angelini il 13 giugno 1645.
LEONE (de Leonibus o de Leone): Tra
le più ricche e insigni Casate del circondario
martinese, di antichissima distinzione (l’origine delle
sue fortune è addirittura precedente all’infeudazione
dei Caracciolo del 1507). Alla fine del XV e nel XVI
sec. i suoi membri influenzarono decisivamente la vita
politica della città, per mezzo dei sindacati di
Bernardino (1496-1497; 1502-1503; 1508-1509), Geronimo
Antonio (1526-1527), Consalvo (1552-1553), Alfonso (Nobile;
1555-1556; 1559-1560), Michele (1557-1558; 1565-1566) e
Bernardino (1573-1574). Nel Cinquecento furono notai
Antonio (Cancelliere dell’Università nel 1528), Giorgio
e Girolamo Antonio (Sindaco nel 1526-1527 e figlio del
Sindaco Bernardino); Leonardo Antonio fu Consigliere
della Comunità di Martina Franca nel 1528. Messer
Annibale è attestato sul finire del Cinquecento, così
come il Nobile Scipione, figlio di Ascanio, lo è
dal 1595 al 1607; Francesco, dottor fisico,
ricoprì la carica di Sindaco di Martina nel 1630-1631.
Alfonso, Dottore di legge, fu un’importante personalità
del Seicento martinese, nonché Priore della
Confraternita dell’Immacolata dei Nobili (1635, 1637);
altri importanti membri del Casato furono Flavio (con i
figli Reverendo D. Donato Antonio, Camillo, Dottor
Francesco, Giovanni Matteo e Maria), il Reverendo D.
Girolamo, il Signor Fulvio (tutti viventi nel
Seicento) e Giuseppe, regista delle commedie recitate
nel Settecento a Palazzo Ducale. Un altro Giuseppe,
Reverendo sacerdote, fu nominato successore del famoso
D. Isidoro Chirulli nell’arcipretura di Martina (1767).
La famiglia Leone possedette l’altare di Santa Maria
Maddalena nell’antica Chiesa di San Martino (inclusi due
sepolcri a esso prossimi), ma a partire dal 1685 vi si
fa riferimento come all’altare di Santa Lucia; nel 1721
la famiglia è indicata anche come proprietaria
dell’altare del Presepio (o di San Giuseppe).
Donna
Isabella Leone (Magnifica,
Donna), sorella di Fulvio e Virginia Leone, sposò
il Nobile Francesco Turnone, già Rettore
dell’Università degli Artisti dello Studio di Padova,
agli inizi del Seicento; dal matrimonio nacque
Antonia (battezzata il 27 gennaio 1607 e
presumibilmente morta in tenera età). Nonostante in un
atto notarile seicentesco si affermi che Isabella non
avesse speranza d’avere figli a causa dell’età (morirà
il 23 febbraio 1651, cinque anni prima del marito), in
altri atti il Signor Giovanni Battista
Turnone viene detto figlio dell’Artis Medicinae
Doctor Francesco (con ogni probabilità nacque quindi
da altra relazione). Giovanni Battista sposerà Donna Caterina
Leone (figlia
del Signor Fulvio e di Silvia Colucci) intorno
alla metà del Seicento e, tramite la propria
discendenza, sarà il diretto antenato dei rami
monopolitano e napoletano del Casato.
MAGLI (de Malleo o de Maglio): Già
nel Cinquecento si hanno tracce di questa famiglia, di
cospicua distinzione e onorata discendenza: Angelo e
Pietro Magli figurano tra i galantuomini di
spicco del panorama politico martinese di quel secolo.
Il notaio Paolo fu Sindaco nel 1571-1572, come lo furono
Angelo nel 1576-1577 e un omonimo Utriusque Iuris
Doctor nel 1627-1628; Giovanni Paolo fu invece
Arciprete di Martina nel 1586. Nel 1594 la famiglia
possedeva un sepolcro nella chiesa di San Martino e
anche il Magnifico Donato Antonio Magli ne aveva
uno ante ianuam chori. Il membro più importante
del Casato fu certamente il Reverendo Abate Pasquale
Arcangelo Magli, illustre filosofo nato a Martina il 25
giugno 1720 da Nicola (contabile del Duca di Martina) e
Maria Maddalena Marinosci e morto in città nel febbraio
1776: Canonico della Collegiata di San Martino e
cappellano delle Agostiniane di Santa Maria della
Purità, fu l’autore delle Dissertazioni filosofiche
(Napoli, 1759) e delle Dissertazioni sul diritto
della natura e sulla legge della grazia (Napoli,
1772), opere che lo consacrarono come il più grande
pensatore martinese del suo secolo.
Ancor oggi a Martina esistono due palazzi del centro
storico intitolati a questa importante famiglia.
Il Signor Tommaso
Magli,
figlio del Dottor Angelo (già Sindaco di Martina) e di
Donna Porsia Ruggieri, Utriusque Iuris Doctor,
Procuratore dell’Illustrissimo D. Innico Caracciolo e
amministratore in suo nome del feudo di Sant’Angelo in
Terra d’Otranto, sposò la Signora Maddalena
Turnone (figlia
del Dottor Francesco, anch’egli già Sindaco di Martina,
e di Donna Antonia Semeraro) il 10 giugno 1655
nella chiesa di San Martino; l’officiante fu il
Reverendo Abate Giovanni Turnone, fratello della sposa.
Prima della morte prematura del Magli, sepolto il 5
ottobre 1669 nella stessa chiesa, la coppia ebbe
svariati figli (tra cui il Reverendo D. Roberto e la
Signora Antonia Magli) e poté quindi assicurarsi una
propria discendenza.
ORIMINI (de Orimino): Giovanni
Giacomo Turnone sposò Aurelia
Orimini sul
finire del XVI sec. Quest’ultima (seppellita nella
chiesa di San Domenico il 25 ottobre 1652 a circa 74
anni d’età) apparteneva a un’illustre e importante
Casata oggi totalmente estinta, dimorante in Martina
almeno dalla seconda metà del Cinquecento; si trattava
con ogni probabilità di un ramo della antichissima (X
sec.) e nobile Casata
Orimini o
d’Orimini, originaria di Napoli (ove godette nobiltà al Seggio
della Montagna e
fu annoverata tra le antiche Famiglie
feudatarie)
ma spostatasi poi “in Brindesi, in Lecce, e nella
stessa Provincia
d’Otranto”[46].
Il Foscarini, nel suo Armerista e notiziario delle
famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra
d’Otranto, riporta come Sindaci di Lecce un Roberto
(1474), un Francesco (1479) e un Luigi (1529). Nel
1646-1647 il Magnifico Scipione Orimini fu
Sindaco di Martina, mentre nel 1694 il Magnifico
Bartolomeo, Dottore in legge, fu Priore della
Confraternita dell’Immacolata dei Nobili. La Famiglia si
estinse nel XVI sec. a Lecce e nel primo XIX sec. a
Napoli (ove nel Settecento fece ritorno un ramo al quale
appartenne il noto giureconsulto D. Antonio, Patrizio
brindisino). A Martina risulta attestata una
Magnifica Donna Anna Antonia Orimini,
Baronessa di Luogosano sino al 1729, ancora nel 1738;
anche in questo caso, comunque, non si avranno più
notizie circa una famiglia di tal nome già a partire dal
secolo successivo.
La Casata alzò un blasone bandato di rosso e d’argento
con il capo caricato da un lambello a cinque pendenti
d’azzurro; essa dette il nome alla
Masseria Orimini nei pressi di Crispiano (costruzione
fortificata con lunghe garitte di forma circolare e
comprendente molti trulli) e al cosiddetto Bosco
Orimini, suggestiva distesa boschiva di leccio d’alto
fusto facente parte del patrimonio naturalistico della
Valle d’Itria e costituente l’antica strada che
congiungeva Martina Franca a Taranto (area protetta nota
anche per via di misteriosi fenomeni paranormali intorno
ai quali si è più volte soffermato l’immaginario
collettivo della popolazione della zona).
PALAZZO (de Palatio): Filippo
Turnone, Magnifico Dottore di legge, sposò
in seconde nozze
Laura Palazzo
(come da carte dotali stipulate il 18 marzo 1594), ma
non sembra che la coppia abbia generato figli: alla
morte del marito, peraltro, Laura si risposò con Flavio
Leone. Il Nobile Giovanni Battista Turnone,
figlio del Dottor Filippo, sposò invece la Nobile Porsia
Palazzo
(Nobile, Magnifica, Donna) agli
inizi del XVII sec. Insieme ebbero cinque figli:
Antonia (morta il 10 dicembre 1663 e inumata nella
chiesa dei Padri Domenicani), Grazia, Palma,
Livia (seppellita il 26 aprile 1680 nella chiesa
dei Padri Domenicani; le quattro sorelle erano tutte
vergini in capillis) e il chierico Filippo
(seppellito nella chiesa di San Martino il 7 aprile
1708; aveva 89 anni). Porsia fece testamento col notaio
Nicola Antonio Angelini il 6 febbraio 1634.
Nel Cinquecento furono membri della famiglia Palazzo il
notaio Dario e Messer Mario, mentre nel primo
Seicento si distinse il Magnifico Ambrogio (Magnifico,
Messer). Non si hanno più notizie di una notabile
famiglia di tal nome dopo questo secolo.
RODIO (de Rodia): Nel
primo Seicento
Francesco Turnone,
figlio di Messer Donato Antonio e di
Donna Palma Greco, sposò Caterina
Rodio,
figlia di Donato Antonio e di Isabella Fischetti. Donato
Antonio Rodio era a sua volta figlio di Giuseppe (XVI
sec.) e fece testamento il 24 settembre 1643 con il
notaio Nicola Antonio Angelini. Nel 1594 la famiglia
Rodio possedeva un sepolcro privato nella chiesa di San
Martino, in prossimità dell’altare di Santa Maria degli
Angeli. Dal matrimonio di Francesco Antonio Rodio con
Maria Scialpi nacque Donato Antonio, il quale si
trasferì da Martina a Locorotondo; qui D. Michelangelo
Rodio (1649 – 1739) fu Arciprete, Vicario Foraneo e
parroco, mentre Francesco Antonio Rodio nel XVIII sec. è
qualificato nobile vivente. Suo figlio Donato
Antonio fu Dottore in Medicina e, trasferitosi a Ostuni
sul finire del Settecento, ne divenne Sindaco: dal suo
matrimonio con Antonia Carissimo dei Patrizi di Ostuni
nacque Francesco Antonio, anch’egli Sindaco della città.
RUGGIERI (de Rogerio): La
famiglia Ruggieri fu una ricca e illustre famiglia
martinese; nel corso dei secoli amministrò svariati
beni, tra i quali Palazzo Ruggieri, ancor oggi una delle
più caratteristiche dimore signorili della città. Nel
1594 la Casata possedeva l’altare di Sant’Eligio nella
chiesa di San Martino (avendolo forse eretto ex novo),
mentre a partire dal 1685 esercitò il giuspatronato
sull’altare dello Spirito Santo. Giuseppe ricoprì la
carica di Sindaco di Martina nel 1610-1611, come anche
Carlo (1684-1685) e un altro Giuseppe (1742-1743;
1753-1754; 1766-1767): quest’ultimo è qualificato come
Signor, Don e Nobile nel Catasto
Onciario di Martina del 1753 (once 3.033-19).
Giuseppe Ruggieri è
attestato all’alba del Seicento come marito della
Magnifica Vittoria
Turnone;
tra i loro figli, importanti furono Giovanni Paolo
Ruggieri, Utriusque Iuris Doctor (testamento il
27 dicembre 1644 col notaio Nicola Antonio de Angelini),
e il suddiacono Giovanni Antonio Ruggieri.
SARCINELLA e FULLONE (Fullona): Nel
1594 la famiglia Sarcinella, antica e distinta famiglia
martinese entrata in decadenza dopo il Seicento,
possedeva un proprio sepolcro nei pressi della fonte
battesimale della chiesa di San Martino. Donna
Livia Turnone sposò
Cesare Sarcinella al tramonto del XVI sec., dal
quale ebbe almeno Nicola Maria (chierico nel 1631) e la
gemella Donna Fagostina o Faustina, moglie di
Marco Aurelio Gemma; Nicola
Antonio Sarcinella fu invece il marito di Faustina
Turnone,
figlia di Giovanni Battista (fine XVI – inizio
XVII sec.). Un Magnifico Nicola Maria Sarcinella
è attestato nel 1627 come marito della Magnifica
Antonia Chiafele, mentre un altro Nicola Maria qualche
anno dopo è qualificato come milite del Conte di Buccino
(alias del Duca di Martina): è molto probabile
che le due omonime figure coincidano.
Nel testamento di Donna Livia, inoltre, l’Utriusque
Iuris Doctor Giovanni
Battista Fullone, esponente di spicco del primo
ceto martinese seicentesco (per qualche tempo ospitò il
Duca Francesco I nel proprio palazzo), appare essere il
nipote della gentildonna.
SCIALPI (Salpo, de Scialpo o dello
Scialpo): L’“honesta” Maria
Scialpi,
figlia di Antonio, è attestata nel XVI sec. come moglie
del Magnifico Pietro Angelo Turnone,
Consigliere della Comunità di Martina Franca nel 1530 (vedi
atto di donazione).
La famiglia Scialpi dette alla cittadina pugliese
eminenti personalità sin da tempi antichi: basti citare
Angelo, Arciprete di Martina almeno nel 1497-1498, e i
Sindaci Donato (1499-1500; 1506-1507), Paolo
(1525-1526), Angelo (1563-1564) e Consalvo, Utriusque
Iuris Doctor (1565-1566; 1570-1571; 1574-1575;
1575-1576). Nel 1594 la famiglia possedeva l’antico
altare di San Pietro Martire (o della Trasfigurazione)
nella chiesa di San Martino: fondatore fu Guglielmo
Scialpi. Fino al 1655 il Casato conservò anche il
giuspatronato sull’altare di Sant’Antonio Abate.
SEMERARO: Il
Dottore di legge Francesco Turnone, figlio di
Giovanni Giacomo e di Aurelia Orimini, sposò agli
inizi del Seicento Donna
Antonia Semeraro,
figlia di Messer Pietro Antonio e di Donna
Laura Colucci e appartenente a una prospera e antica
Casata martinese: Antonio di Jannotta Semeraro fu
infatti Sindaco della città nel 1515-1516, come lo fu
Pietro nel 1539-1540. Simbolo araldico del Casato erano
tre spighe di grano.
Questa famiglia nel 1594 era proprietaria di una
sepoltura privata a lato della fonte battesimale della
chiesa di San Martino; in tempi più antichi fondò
l’altare di Sant’Antonio Abate e, dopo il rinnovamento
settecentesco della chiesa maggiore martinese, rilevò
l’antica statua del santo, oggi conservata a Palazzo
Marinosci. Nel 1733 fu invece eretto il cosiddetto
Palazzo del Cavalier Semeraro, una delle dimore
signorili più significative del centro storico di
Martina. |

©
Martina Franca - Stemma
famiglia Semeraro |
SISTO: Orazio
Turnone sposò in seconde nozze (1640) Maria
Sisto,
primogenita di Donato Antonio (da vedovo divenuto
suddiacono, essendo attestato come tale nel 1650) e di
Paola Antonia Blasi; la donna gli dette Donato
Antonio, Leonardo, Francesco e
Aurelia Turnone e al termine della sua vita terrena
fu sepolta nella chiesa di San Martino (13 maggio 1675).
La famiglia Sisto era una distinta Casata originaria di
Noci: nel Cinquecento il Nobile Mario figura tra
i cittadini eminenti di quella città, così come Stefano
e il Reverendo D. Scipione, fondatori del giuspatronato
sulle cappelle di Santa Maria di Costantinopoli e di San
Giovanni Battista (con il diritto di nominarne il
cappellano). Sempre nel XVI sec. un ramo del Casato
risulta trapiantato a Martina con Giovanni Vito, padre
del Reverendo D. Giovanni Carlo (sacerdote della
Collegiata di San Martino nonché cappellano e Rettore
delle predette cappelle in Noci), di Donato Antonio e di
Donna Antonia (moglie di Messer Francesco
Ruggieri). Quest’ultima, insieme alla progenie del
fratello (nel 1661 rappresentata da Antonia Sisto e
dalla sorella Maria, vedova del Turnone), dovette essere
l’erede dei fondatori del beneficio istituito sulle
cappelle, dal momento che quello stesso anno le tre
donne nominarono cappellano e Rettore il Reverendo D.
Modesto Sisto di Noci. La famiglia scomparve a Martina
nel corso del Seicento.
Dal matrimonio di Orazio e Maria Sisto discendono gli
attuali rappresentanti del Casato dei Turnone.
VACCA (Bacca): Antica
famiglia martinese del ceto egemone, scomparsa dopo il
Seicento. Antonio fu prima Consigliere della Comunità di
Martina Franca (1528) e poi Sindaco di Martina
(1530-1531); in tale veste si recò con il Magnifico
Pietro Angelo Turnone a Buccino, come si è già
detto. Persio, figlio del notaio Battista Vacca, è
attestato nella Martina del Cinquecento; nel 1579
vissero la Nobile Ottavia (moglie del Nobile
Angelo d’Angiulli di Grottaglie), la Nobile
Aurelia (moglie del Nobile Delfino Marangi), il
Nobile Francesco (Nobile, Magnifico)
e la Nobile Perna Aurelia (moglie del Nobile
Ettore d’Angiulli di Grottaglie), tutti figli del
Nobile Sebastiano Vacca (Nobile, Magnifico)
e della Nobile Antonia Leone (Nobile,
Magnifica) e quindi nipoti del Nobile Alfonso
Leone, carismatico Sindaco di Martina; a quella data un
quarto fratello, il Nobile Antonio Vacca (Nobile,
Magnifico), era già morto, mentre nel 1586 è
attestata un’altra sorella, la Magnifica Laura.
Importanti membri del Casato furono pure Quinto e Vito
Vacca e la Signora Lucrezia Vacca (XVII secolo).
Nel 1594 la famiglia possedeva l’antico altare di Santa
Caterina nella chiesa di San Martino e il sepolcro
antistante (fondatore Messer Antonio Vacca); nel
1652 ne era ancora proprietaria. All’epoca della visita
pastorale del 1594 sull’altare si officiava una messa
settimanale per due legati: il primo fu istituito da
Perna Vacca; il secondo da Donna Giustina
Turnone, moglie di Messer
Francesco Vacca,
già defunto nel 1569 (data del testamento della Turnone).
Nell’atto, redatto dal notaio apostolico D. Giovanni
Antonio de Cataldo, la gentildonna afferma, tra le altre
cose, di voler essere seppellita nel sepolcro della
famiglia del marito; dispone, inoltre, che il giorno
delle sue esequie si “distendano al populo” di
Martina quattro grana[47].
|
La seconda e la terza raffigurazione sono rappresentazioni
dell’arme appartenuta al Cavalier Francesco Turnone, una
scultorea e l’altra affrescata: entrambe sono ancora
visibili a Palazzo Bo (Padova).
Lo stemma scultoreo appartenuto al Rettore è esposto nel
passaggio dal cortile antico al cortile nuovo del palazzo;
di notevoli dimensioni e magnificamente rifinito, si confà
alla più alta carica dell’Università degli Artisti e
presenta anche una targa dedicata al Cavaliere (stemma e
targa furono eretti, come di consueto, ex post). Le
tinte sono oggi completamente scrostate, se si esclude
qualche traccia di colore disseminata qua e là; per il resto
lo stemma è ottimamente conservato ed efficacemente
blasonato nell’opera Gli Stemmi dello Studio di Padova
a cura di Lucia Rossetti (Trieste 1983). Esso presenta sette
gigli d’oro nel primo partito (posti 2, 2, 2, 1) e un leone
d’oro rampante con corona dello stesso nel secondo. L’elmo,
a cancelli, è posto di profilo, e comprende un cimiero di
tre piume di struzzo; da tale elmo discendono ampi svolazzi
incornicianti lo scudo ed elegantemente definiti.
L’ultima rappresentazione del blasone, sempre relativa
all’arme del Rettore e stavolta affrescata, adorna il
passaggio dalla Sala di Medicina alla Sala di Giurisprudenza
di Palazzo Bo, proprio affianco allo stemma dell’illustre
Girolamo Fabrici d’Acquapendente. Ben conservata (se si
escludono il primo partito, del quale sopravvivono solo due
gigli in capo, e il cartiglio sottostante l’emblema
araldico, oggi illeggibile), raffigura un leone d’oro senza
corona nel secondo partito e nel suo insieme appare ornata
da un elmo (posizione di tre quarti a sinistra) con cimiero
di cinque piume di struzzo. Anche questa versione dell’arme
è blasonata nell’opera della Rossetti; essa viene tuttavia
attribuita al Rettore con riserva, proprio a causa del fatto
che il nome del proprietario sia stato del tutto scrostato
dal cartiglio.
Dal momento che non sono documentate ulteriori
raffigurazioni dello stemma che siano sicuramente
rapportabili alla famiglia, e al fine di rispettarne le
varianti oggi sopravvissute, si è preferito indicare l’arma
archetipica cui queste direttamente rimandano e dalla quale
discendono: il blasone innalzato dalla famiglia de Tournon.
L’intenzione degli antichi Turnone era infatti quella di
mostrare la propria connessione con l’illustre Casato
francese ed era quindi logico che ne assumessero l’arme. A
questo proposito non sarà superfluo aggiungere che lo stemma
fu alzato almeno nel 1303 da Guiot, Signore e Barone di
Tournon, e che il seminato di gigli (di Francia antica)
fu verosimilmente ottenuto in virtù delle molteplici
parentele che univano la sua Casata ai Reali di Francia.
[2] Di
seguito si riporta la blasonatura dello stemma apparsa
nell’opera di Lucia Rossetti (n°2960, relativa all’arme di
Franciscus Tornonius Apulus Martinensis): “Partito.
I. (Azzurro): 7 gigli (d’oro), 2, 2, 2, 1. II (Rosso): 1
leone (d’oro) rampante con corona (dello stesso)”.
I gigli d’oro in campo azzurro rimandano, come tutto il
blasone nel suo insieme, alla famiglia de Tournon, quindi
alla provenienza transalpina del Casato e alle regali
parentele con la Maestà cristianissima di Francia. In
araldica il giglio è una delle figure più antiche ed è al
centro di una ricchissima tradizione: simbolo ora di
speranza e di candore, ora di giustizia e di benignità, alle
volte mariano e alle volte trinitario, fu scelto sin dal
1211 come emblema (il celebre fleur de lys) del
Principe Luigi, futuro Luigi VIII di Francia: da allora
conobbe secolare fortuna e straordinaria diffusione.
L’antico seminato di gigli, idealmente in-finito e
rappresentante forse la vocazione cosmica e universale della
monarchia francese (in connessione con lo smalto azzurro,
colore del cielo e quindi connesso alle virtù più elevate),
fu poi ridotto a tre figure nel corso del XIV secolo:
l’ipotesi più accreditata vuole che Carlo V abbia scelto in
questo modo di onorare la Santissima Trinità, ma in tale
disposizione va letta soprattutto la definitiva attestazione
di una consuetudine che andava sempre più affermandosi in
quegli anni.
Il leone, altra figura araldica dalla ricchissima tradizione
simbolica, indica generalmente nobiltà, coraggio
cavalleresco, fortezza, valore; nella maggior parte dei casi
è rivolto a destra (cioè a sinistra di chi guarda), pronto a
combattere con fierezza l’avversario. Secondo Giulio Cesare
da Beaziano “il Leone d’oro in Campo Vermiglio porta seco
molti significati; per il Leone s’intende l’animo generoso,
e grato de’ beneficij riceuuti, per il metallo magnanimità,
per il Campo Nobiltà, formando tutte queste cose un senso
molto glorioso, cioè generosità per beneficij riceuuti, e
magnanimità in animo grande, e nobile” (Giulio Cesare da
Beaziano, L’araldo veneto, overo universale armerista,
mettodico di tutta la scienza araldica, Pezzana 1680, p.
177).
Nella variante dell’arme qui blasonata, il leone d’oro è
coronato, o meglio è sormontato da una corona dello stesso
metallo, probabilmente in funzione di un ulteriore
rafforzamento dei significati allegorici competenti a tale
figura animale.
[3]
Reso celebre da Virgilio nell’Eneide con Turno Re dei
Rutuli, figlio di Daino e della ninfa Venilia, promesso
sposo di Lavinia e antagonista di Enea. Altri studiosi
propendono invece per un’origine gallica dell’etimo,
derivante da Taranis (dio della mitologia dei Galli)
o dal lemma turnomagos (indicante un mercato, -magos,
situato su un’altura, turno-; il prefisso turno-
potrebbe addirittura essere di matrice preceltica).
[4]
Secondo certa agiografia i de Tournon sarebbero discesi dal
Turno virgiliano, sfuggito alla morte e stabilitosi nel Sud
della Francia; oppure da Priamo, Re di Troia, tramite un
principe discendente da Ettore (prova di tale affermazione
consisterebbe nel leone dello stemma araldico, antica
reminiscenza troiana). Anche San Giusto, Arcivescovo di
Lione dal 374 al 381, sarebbe da annoverare tra i membri del
Casato.
I primi esponenti della famiglia storicamente accertati
furono comunque Pons de Tournon, Abate dell’Abbazia di
Chaise-Dieu (1094) e Vescovo di Puy (1102), e il fratello
Gilbert, Signore di Tournon (partecipante alla Crociata del
1096 sotto le bandiere del Conte di Tolosa). Nei secoli
questa importantissima Casata della nobiltà francese dette i
natali a importanti feudatari e alti dignitari, vescovi e
cavalieri, abati e siniscalchi, sino al raggiungimento della
Paria con il Conte Camille Philippe Marcellin Casimir de
Tournon-Simiane (1788 – 1833), già Prefetto della Roma
napoleonica (1809 – 1814): un esaustivo e comprensivo cenno
storico richiederebbe allora molte pagine. Basti citare in
questa sede il membro più noto della famiglia, il Cardinale
François de Tournon (1489 – 1561): nato nel Castello di
quella città dal Barone Jacques II, Ciambellano del Re Carlo
VIII, e da Jeanne de Polignac, fu uno dei più importanti
dignitari di corte e uomini politici della Francia del
Cinquecento e per un certo periodo costituì l’unico arbitro
delle sorti del Paese (tanto da guadagnarsi a posteriori
l’appellativo di “Richelieu di Francesco I”).
Nominato Arcivescovo d’Embrun il 30 luglio 1518 (a 28 anni),
divenne Abate Commendatario dell’Abbazia di Chaise-Dieu
l’anno successivo; nel 1525, entrato a far parte dei
Consiglieri della Reggente Luisa di Savoia, firmò il
Trattato di Madrid ed ebbe poi un ruolo di primo piano nei
negoziati precedenti al Trattato di Cambrai (1529). Sposò
Francesco I con Eleonora d’Asburgo, divenendo in seguito
Arcivescovo di Bourges. Creato Cardinale di Santa Romana
Chiesa da Clemente IX (9 marzo 1530) con il titolo dei Santi
Pietro e Marcellino, fu inviato in Inghilterra per tentare
di dissuadere il Re Enrico VIII dal provocare uno scisma con
la Chiesa cattolica; successivamente divenne Abate
Commendatario dell’Abbazia di Saint-German-des-Prés (1534)
e, dopo essere stato nominato da Francesco I Luogotenente
generale del Regno, firmò la Tregua di Nizza (1538).
Arcivescovo di Auch (1538) e di Lione (1551), nonché Abate
Commendatario delle Abbazie di Notre-Dame d’Ambronay (1544)
e d’Ainay (1554), fu nominato Cardinale Vescovo di Sabina
(1550), di Ostia (1560) e di Velletri (1560) nonché Decano
del collegio cardinalizio (1560). Dopo aver fondato il
Collegio di Tournon (uno dei più antichi d’Europa) e aver
ammesso i Gesuiti in Francia, presiedette il Colloquio di
Poissy (1561). Morì a Saint-Germain-en-Laye il 22 aprile
1562.
Nel corso della sua vita il ricchissimo cardinale fu
straordinario mecenate e uomo di cultura, ricoperto d’ogni
onore: ambasciatore del Re di Francia in Europa, partecipò a
cinque conclavi (contribuendo a eleggere Paolo III nel 1534,
Giulio III nel 1550, Marcello II nel 1555, Paolo IV nel 1555
e Pio IV nel 1559), riuscendo quasi a farsi eleggere Papa
nel corso dell’ultimo.
[5] I.
Chirulli, Istoria cronologica della Franca Martina, cogli
avvenimenti più notabili del Regno di Napoli, vol.
I, Martina Franca 1980, pp. 315-316.
[6]
M. Pizzigallo, Uomini e vicende di Martina, Fasano
1986, p. 128. Lo dimostra anche il prestigioso appellativo
di “Magnifico” (legato all’esercizio di incarichi
politici e a uno stato di notevole ricchezza economica), del
quale godettero vari membri della Casata.
Un ramo della famiglia Caracciolo (annoverata tra i più
antichi e illustri lignaggi del Regno di Napoli) resse
Martina dal 1507 (primo Duca fu Petracone III) sino
all’abolizione della feudalità nel 1806; Placido I fu quindi
l’ultimo signore effettivo della cittadina.
[7]
A tali onori devono aggiungersi i numerosi dottorati in
legge e in filosofia e medicina che i membri della Casata
conseguirono sin dal XVI secolo. Secondo il Reale Dispaccio
del Re Ferdinando IV (24 dicembre 1774) i Dottori erano
nobili di privilegio e in quanto tali erano inclusi
nella prima classe del Regno, quella delle famiglie in
possesso di titoli nobiliari. La nobiltà di privilegio era
di esclusivo appannaggio personale.
[8]
(URL=http://www.adsi.it/wp-content/uploads/2013/05/Martina-Franca-nel-Settecento.pdf)
[9]
F. Liuzzi, L’antica chiesa di San Martino nelle visite
pastorali (1594-1721), Martina Franca 1997, p. 35.
Secondo quanto riporta Liuzzi (p. 90), negli atti della
santa visita di Monsignor Lelio Brancaccio alla chiesa
di San Martino (1-10 novembre 1594), sotto la dicitura “Altare
Sanctae Mariae dela Croce”, si legge: “Post transitum
portae australis extat altare lapideum erectum non
consecratum, sub titulo Sanctae Mariae de Cruce, dixerunt
dictum sacellum esse de familia de Tornona, habet altare
portatile, quod fuit repertum indecens, et mandatum, ut
renovetur, tres tobaleas, candelabra lignea depicta, duo
pulvinaria, et sepulcrum de eadem familia. Habet onus
missarum viginti sex pro quolibet anno ad quas tenetur
Cpitulum, pro dote legata a Petro Angelo, et a Giliberto
Tornona fundatoribus tarenos duodecim super eius domo cum
furno prope Ianuam Sanctae Mariae solvendos per eorum
heredes. Preterea Marius quondam Antonii de Scialpo introitu
dictae cappellae dedite idem Capitulo apotecam unam sitam in
Platea Publica dictae terrae, quae locata erat quondam
domino Antonio lo Scialpo, ut apparet ex introitu
hebdomadarum”. Il “Marius quondam Antonii de Scialpo”
cui ci si riferisce nell’atto è in realtà l’“honesta”Maria
Scialpi, moglie del Magnifico Pietro Angelo Turnone.
Nel 1652 l’altare di Santa Maria della Croce (anche detto
di Santa Maria della Pietà, di Santa Maria della
Santa Croce e della Croce) appare essere di
proprietà del Capitolo, come emerge dagli atti della visita
pastorale di quell’anno (sempre trascritti dal Liuzzi); in
questo caso è ben descritto il soggetto del dipinto murale,
raffigurante la Vergine con in braccio il corpo di Gesù
Cristo dopo la deposizione dalla Croce.
[10]
Così è scritto nella relazione della santa visita del
23 aprile 1671 (In Sancta Visitatione Collegiatae
Ecclesiae Terrae Martinae Incepta sub die 23 mensis Aprilis
1671), conservata nell’Archivio capitolare della
Basilica di San Martino.
[11]
Almeno secondo quanto si riporta nell’ebdomada di una
non meglio precisata “Magistra Palomba”, con ogni
probabilità antecedente al 1500 (Archivio capitolare della
Basilica di San Martino, Platea reverendissimi Capituli
civitatis Martinae, ms., partita n°120 – Hebdomada
Magistrae Palombae; qui il cognome di Pietro Angelo è
Turnona e non de Tornona come nel libro dei
conti, ben più antico della Platea). L’aromatario,
anche detto speziale, era colui che preparava e
vendeva aromi, erbe medicinali e spezie nella propria
bottega (denominata spezieria); spesso era rifornito
anche di profumi ed essenze, cera, candele, colori usati da
tintori e pittori. Scrive fra’ Donato d’Eremita nel primo
libro del suo Antidotario: “Aromatario vien detto
da Aroma, cioè, materia odorata, & al gusto acre, e lo
stesso dinota il nome di Spetiale, chiamando noi spetie le
materie acri al gusto, & all’odorato soavi; adunque l’Aromatario,
ò Spetiale sarà quello, che maneggia, e dispensa gli aromati,
e le spetie: e questi due nomi sono in uso dé nostri
Artefici, non come più proprij del nome di Pharmacopeo; ma
per le materie più principali, che tratta, quali sono gli
Aromati, pigliando, come dicono, partem pro toto”
(Donato d’Eremita, Antidotario di fra Donato d’Eremita
dell’ordine dei Predicatori nel quale di discorre intorno
all’oßervanza, che deue tenere lo Spetiale nell’elegere,
preparare, componere, & conservare i medicamenti semplici, &
composti, Vol. I, Napoli 1639, p. 2). L’aromatario
s’intendeva di medicamenti e della cosiddetta “arte
speziale”, antenata della moderna scienza farmaceutica: la
sua sapiente figura, a metà strada tra quelle del
farmacista, dell’erborista e dell’alchimista, era tenuta in
gran conto dalla popolazione presso cui svolgeva la propria
attività. Essere a capo di una spezieria nel Quattrocento,
secolo in cui presero avvio i grandi commerci oceanici,
significava inoltre esercitare una delle professioni più
redditizie e ambite dell’epoca (già nel XIII secolo Dante
Alighieri fu socio dell’Arte dei Medici e degli Speziali,
una delle Sette Arti Maggiori di età comunale). Per
ottemperare al meglio ai propri compiti, occorreva che lo
speziale fosse timorato di Dio (poiché dalla Sua mano “ogni
bene dipende”), possedesse ingenti ricchezze (per
sostenere le “larghe spese, che porta con sè questa arte”)
e che fosse dotto e istruito (esperto nel latino, nei Canoni
di Mesuè e nella sua arte, ma anche “nell’operare,
consistendo questa arte più nell’operare, che in altra
cosa”; Antidotario…, pp. 5-6). Il prestigio dell’aromatario
è infine così testimoniato dal d’Eremita: “Ma l’ignorante
volgo, sapendo, che l’arte della Spetieria è nobilissima,
per essere stata essercitata da illustrissimi Prencipi
[…] perciò tiene ciascuno per certo, che non si possa
fare indegnità, ne falsità alcuna da persona nobile, &
honorata: onde sicuramente, e senza sospetto mette ciascuno
la vita sua nelle mani di un solo Spetiale. E qual cosa più
nobile, più desiderata, e più cara habbiamo in questo mondo
della vita, e della sanità? […] Quindi concluderemo,
che l’arte della Spetieria è molto nobile, e di grandissima
degnità, per essere ella colei, che gouerna, custodisce,e fa
ricuperare la sanità non solo alle genti ordinarie, ma a’i
Prencipi, a’i Rè, à gl’Imperadori, & a’i Sommi Pontefici”
(Antidotario…, p. 4).
[12]
Si consulti ad esempio la
Platea…,
partita n°97. Anche in questo caso il cognome di Carmosina è
Turnona, laddove nei libri dei conti cinquecenteschi
è invece trascritto come Tornona. La forma Turnona
(poi Turnone) prevarrà nel corso del XVII secolo.
[13] E.
Martellozzo Forin (a cura di), Acta Graduum Academicorum
Gymnasii Patavini, Vol. III.4, Index nominum,
Padova 1981, p. 181. Nel primo dei due passi a lui riferiti,
al posto di “Martina”, è riportato erroneamente “Mutina”.
D. Filippo è qualificato come monopolitano ed è quindi
probabile che abbia avuto possedimenti nella città adriatica
o abbia vissuto in loco per un certo periodo di tempo.
[14] M.
Pizzigallo, op. cit. p. 128. L’uso di rendere omaggio al
signore in tali occasioni costituiva un tipico costume
vassallatico e feudale. I due dignitari, inviati
dall’Università, approfittarono della circostanza per
chiedere al Duca di designare al governo di Martina persone
moralmente rette, dotte e savie nel politico (alias
Dottori di legge), nonché di intervenire presso l’erario
statale in modo da sollecitare il rimborso dei contributi
straordinari estorti dal Marchese di Vasto, Alfonso III d’Avalos,
per sostenere l’assedio di Monopoli. Non meravigli che
Petracone IV risiedesse nella città campana, giacché la
famiglia Caracciolo acquisì prima la contea di Buccino e poi
il ducato di Martina. Solo dopo la metà del Seicento, con
Petracone V, i Duchi si trasferirono definitivamente a
Martina Franca (facendo erigere il maestoso Palazzo Ducale).
[15]
Platea…,
partite n°183 (Hebdomada Petri Angeli Turnona) e
n°184 (Hebdomada Mariae Scialpae uxoris quondam Petri
Angeli Turnona, Hebdomada Giliberti Turnona).
[16]
Che il Nobile Donato Antonio fosse strettamente
imparentato con Pietro Angelo e Gilberto è desumibile non
solo dal fatto che nelle ebdomade dei due Magnifici
venga riportato il suo nome, ma anche dalla constatazione di
come i suoi figli Giovanni Giacomo, Livia e Vittoria fossero
obbligati, sicuramente in qualità di eredi, al pagamento dei
censi accordati dai due fondatori del giuspatronato al
Capitolo di San Martino (il 3 giugno 1580 Laura Blasi, madre
e tutrice dei tre rampolli, li sollevò da ogni obbligo
donando alla Collegiata due palazzi con forno posti nelle
vicinanze della Porta di Santa Maria, presumibilmente le
stesse abitazioni legate al Capitolo da Pietro Angelo e
Gilberto). Ciò che comunque in ultima istanza lascia
propendere che Donato Antonio fosse il figlio di Pietro
Angelo è il fatto che nella partita n°65 della Platea
capitolare il figlio Giovanni Giacomo sia qualificato “nepos
dicti Petri Angeli”; dal momento che il Consigliere
della Comunità (ovviamente già adulto nel 1530) morì
presumibilmente non molto dopo il testamento dettato il 6
ottobre 1557, mentre Giovanni Giacomo e le sue sorelle erano
ancora minorenni nel 1580, è estremamente improbabile che si
trattasse di un nipote ex fratre.
[17]
“Utriusque Iuris Doctor”, alias Dottore nell’uno e
nell’altro diritto (civile e canonico).
[18] I.
Chirulli, op. cit. pp. 209-210.
[19] “Artis
Medicinae Doctor”, ovvero Dottore in Filosofia e
Medicina.
[20] I.
Chirulli, op. cit. p. 263.
[21]
È attestato come tale nelle Conclusioni capitolari della
chiesa di San Martino, a partire dal 5 gennaio 1578.
[22]
Almeno a partire dal 16 agosto 1578.
[23]
Così attestato a partire dal 4 settembre 1580.
[24] “952.
– 1603 iul. 19. Coram etc. comparuit – d. Petrus Miatius de
Cittadella f. d. Ioseph ut if. cath. profiteretur – Testis –
d. Dionisius Corona Tarvisinus f. q. – d. Ioannis Antonii,
testis nob.
Franciscus Tornonus Martinensis f. – i. u. doct. d. Filippi,
qui fid. fecerunt – Exinde –”;
F. Zen Benetti (a cura di), Acta Graduum Academicorum
Gymnasii Patavini, Vol. V.1, Ab anno 1601 ad annum
1605, Padova 1987, p. 348.
[25] F.
Zen Benetti (a cura di), op. cit. p. 499.
[26] L. I. Grotto dell’Ero, Della Università di Padova, cenni ed
iscrizioni, Padova 1841, p. XI. Vale la pena di
riportare per intero la porzione di testo dedicata
all’ufficio del rettorato: “Si escludevano, di regola, da
tale incarico i Padovani ed i Veneziani, e si avea in mira
di scegliere soggetti cospicui per nobiltà, scienza e
fortune tali e da esigere riverenza, e da poter, senza
scapito, magnificamente trattarsi come conveniva alla
dignità dell’ufficio, troppo meschino sussidio essendo il
fiorino o ducato che ciascun laureando avea debito di
contribuire, rispetto le gravissime spese che occorreano al
Rettore, specialmente nel giorno in cui decoravasi delle
insegne della carica; solennità che festeggiavasi con grande
apparato, e con banchetti e giostre. Ciò accadeva nel mese
di agosto, e nelle festività di San Lorenzo e
dell’Assunzione. Il giorno innanzi faceansi dal nuovo
Rettore provvedere aste e guanti per il torneamento ad uso
degli scolari. Dodici fra questi, preceduti dal bidello
generale, recavansi cavalcando ad invitare i Professori,
mentre i Rettori della città ed il Vescovo riceveano
l’invito dallo stesso nuovo Rettore degli scolari, che ad
essi portavasi con gran formalità in cocchio a quattro
cavalli. Si faceva la cerimonia nella Chiesa Cattedrale
magnificamente arredata. All’ora stabilita precedevano
quattro suonatori di flauto, altrettanti timpanisti,
staffieri, paggi d’onore, e scolari portanti dodici fasci
dorati. Degli scolari pure, chi custodiva il sigillo, chi
gli statuti dell’Università, chi il cappuccio del Rettore,
ed un bidello portava sulla spalla la mazza o scettro
d’argento. Precedeva il nuovo Rettore accompagnato dal
Sindico, dal Vicario, e dai Consiglieri e Professori co’
rimanenti scolari. Era il primo vestito d’abito tessuto
d’oro e di rosso; indossavano gli altri le scolastiche
toghe. Giunti al Duomo ov’erano attesi dal Vescovo, dai
Rettori della città, dai Questori, Decurioni ed Assessori,
ordinato dal Pretore il silenzio, in apposita arringa
commendavansi l’Università, i Magistrati ed i pregi del
nuovo Rettore. Alla fine del panegirico uno dei principali
fra i Professori imponeva al Rettore il cappuccio
confortandolo con onorevoli espressioni, e consegnandogli il
sigillo e gli statuti. Rese le dovute grazie, il Rettore
restituivasi alla propria abitazione percorrendo le piazze e
vie maggiori della città, sfarzosamente adornate; succedeano
il banchetto e le corse, i cui premii venivano distribuiti
dallo stesso nuovo Rettore. Egli compariva sempre
accompagnato da numeroso seguito, interveniva a ciascuna
solennità occupando il posto più distinto, dopo il Vescovo
ed i Rettori della città, ed avea pure apposito tribunale
nel palazzo pubblico, ove giudicava nelle cause di cui
avesse partecipato alcuno degli scolari. Sorvegliava agli
affari dello Studio, provvedendo ai vantaggi di esso, nelle
sedute che a tale oggetto ogni settimana teneano con un
apposito magistrato denominato de’ Trattatori o
Sollecitatori, e composto di quattro cospicui cittadini
eletti dal governo, onde avessero ad occuparsi del modo di
promovere il bene dell’Università: questi però non decideano
alcuna provvidenza senza l’intervento dei Rettori degli
scolari, i quali, inoltre, aveano posto principale fra i
professori, e poteano salire in cattedra. Allorchè un
laureando stava per ricevere il grado di dottore, era tenuto
di recarsi all’abitazione del Rettore della propria
Università in pomposa cavalcata, conducendo pure, per esso,
un destriero riccamente bardato, invitandolo ad onorare di
sua presenza la ceremonia del conferimento della laurea
[…] Traevasi il Rettore dal
ceto degli scolari, ma non di rado succedea di non poter
rinvenire fra di loro persona atta a sostenere quella
dignità pei riguardi accennati […]
Erano oggetti delle cure del Rettore degli scolari la
tranquillità e lo splendore della propria Università, la
sorveglianza onde si tenessero le lezioni dai professori né
giorni stabiliti, le pubbliche dispute e gli esami cui
doveva intervenire, la conservazione degli statuti, il loro
miglioramento, la difesa delle immunità. Doveano inoltre,
unitamente ai Consiglieri, deliberare su quanto avesse avuto
relazione colla dignità, e preminenze sì della Università,
che delle cariche a quella annesse, e fare le
congratulazioni di metodo nella elezione dei Veneti Dogi.
Compiuto l’anno del Rettorato, oltre gli Stemmi e monumenti
in loro onore eretti, otteneano la laurea col costume dei
nobili senza alcuna spesa, e venivano, nei primi tempi,
descritti nel novero dei cittadini, ed in epoche posteriori
fatti Cavalieri di San Marco”.
Era inoltre costume che il Rettore vestisse “nella state
[…] di seta di color chermisino, e nel verno,
di seta color di porpora, coprendo la spalla sinistra di un
cappuccio contesto d’oro e di gemme” (Grotto dell’Ero,
op. cit. p. XVI). Il fatto
che all’ufficio del rettorato competessero tali onori e
magnificenze è ribadito anche nell’Introduzione
all’op.
cit. curata dalla Rossetti: “In ossequio all’alta carica
molti erano gli onori e i privilegi accordati al rettore,
che verso la fine del sec. XV ebbe il titolo di
Magnificus. Compariva in pubblico accompagnato da
numeroso seguito, indossando una veste rossa e con le
insegne del rettorato. Nelle solennità occupava il primo
posto dopo il vescovo e i deputati di Padova, girava armato
di giorno e di notte, aveva diritto di addottorarsi more
nobilium, senza esame e senza alcuna spesa, poteva tenere
lezione fuori dell’orario normale, di solito nei giorni
festivi, si recava con grande pompa a Venezia a rendere
omaggio al doge neoeletto e a Padova visitava il vescovo, il
podestà, il capitano di nuova nomina, raccomandando
l’Università alla loro benevolenza; al termine del rettorato
era insignito della dignità equestre. I rettori duravano in
carica un anno e venivano eletti nelle adunanze dei primi
giorni di agosto. La loro investitura, cui si accompagnavano
fastose cerimonie, aveva luogo nella chiesa cattedrale, dove
al nuovo rettore veniva imposto il cappuccio trapunto d’oro
e di gemme, distinzione della carica” (p. XIV).
[27] J.
Facciclatus, Fasti gymnasii Patavini, Padova 1757, p.
223.
[28] “1367.
– 1604 sept. 13, hora decima tertia. In episcopatu Paduae in
aula solita sacri coll. – d. philosophorum et medicorum, -
assistente – i. u. doct. D. Camillo Peltrari – vic. generali
– d. d. Marci Cornelio – ep. Paduae. – Examen in utraque –
d. Francisci Tornonii Martinensis Apuli – rect. artistarum
sine solutione. – D. Franciscus Tornonius Martinensis Apulus
– rect. – univ. d. artistarum – Gymnasii Patavini doctissime
in utraque facultate recitavit puncta sua et – optime se
gessit, - ob id – nem. pen. atque pen. diss. – remansit
approbatus et – fuit per dictum – d. vic. generalem
pronuntiatus – art. et med. doct., praesentibus – d.
promotoribus suis – d. Caesare Cremonino, a quo – fuit
insignitus, d. Hercule Saxonia equite, d. Aemilio
Campilongio, d. Annibale Bimbiolo, d. Antonio Nigro, d.
Alexandro Vingontia, d. Ioannepetro de Peregrinis, d.
Tarquinio Carpineto, d. Benedicto Sylvatico et d. Aloysio de
Pace. […]”; F. Zen Benetti (a cura di), op. cit. p. 499.
[29]
Nel suo atto di morte (conservato nei libri canonici
dell’Archivio capitolare della Basilica di San Martina) si
afferma erroneamente che il dottor fisico avesse
circa 83 anni. Ciò non deve stupire, poiché a quei tempi era
prassi calcolare approssimativamente l’età del defunto.
[30] F.
Zen Benetti (a cura di), op. cit. pp. 740-741.
[31] Con
questo trattamento d’onore è indicato come padrino nell’atto
di battesimo di Giuseppa Antonia Casavola (17 dicembre
1610), anch’esso conservato presso l’Archivio capitolare
della Basilica di San Martino.
[32] G.
Chiarelli, Notabilità martinesi, Martina Franca 1925,
p. 208.
[33]
Così è appellato nell’atto di battesimo di Laura Magli (13
febbraio 1628).
[34] Questo
trattamento gli è riferito nell’atto di battesimo di Antonia
Caramia (14 dicembre 1642).
[35] Tutte
queste cariche gli sono attribuite in atti notarili
seicenteschi oggi conservati presso l’Archivio di Stato di
Taranto. Nell’atto di battesimo di Girolamo Angelini (25
ottobre 1632), conservato invece presso l’Archivio
capitolare di San Martino, si afferma che il Dottor
Francesco “del quondam Giovanni Iacomo”, padrino del
neonato, è “al presente Sindico”.
[36] G.
Caramia, Pagine di storia Martinese: Il Seicento,
Galatina 1974, p. 367.
[37]
Innico Caracciolo (1642 – 1730), figlio del Duca di Martina
Francesco I, fu inquisitore a Malta (30 aprile 1683),
referendario dei tribunali della Segnatura Apostolica di
Giustizia e Grazia, Primicerio della chiesa di Santo Spirito
in Sassia a Roma (a partire dal 1689), segretario della
Sacra Congregazione per la disciplina dei Regolari e della
Visita Apostolica (10 febbraio 1690), Vescovo di Aversa (dal
25 febbraio 1697 al 6 settembre 1730), chierico della Camera
Apostolica (sotto Papa Clemente XI) e nunzio straordinario
in Svizzera (1712). Creato Cardinale di Santa Romana Chiesa
(29 maggio 1715), ricevette il titolo di San Tommaso in
Parione (30 marzo 1716) e partecipò ai conclavi che elessero
Innocenzo XIII (1721), Benedetto XIII (1724) e Clemente XII
(1730). Alla sua morte (avvenuta a Roma il 6 settembre 1730)
devolvette il suo immenso patrimonio e i proventi delle
rendite ecclesiastiche al fine di assistere i poveri della
sua diocesi.
Nel 1664, come si legge nell’atto notarile rogato il 25
aprile di quell’anno da Luca Antonio Gemma, D. Innico non
poté intestarsi il feudo di Sant’Angelo poiché chierico, e
allora dispose che esso “si descriva in testa del dottor
Tomaso Maglio della Terra di Martina, al presente habitante
in Napoli”. Il Magli avrebbe dovuto anche amministrarne
la giurisdizione, come nell’atto ben si specifica.
[38] G.
Grassi, La chiesa di S. Martino in Martina Franca,
Taranto 1929, p. 154.
[39] Marangi
A., Chiese e conventi femminili (URL=http://www.comunemartinafranca.gov.it/martina/turismo/conventi_femminili.html)
[40] G.
Grassi, op. cit. p. 99.
[41] P.
Minervini, La lingua letteraria del Mezzogiorno d’Italia
nel Settecento, Napoli 1972, p. 60.
[42]
I. Chirulli, Istoria cronologica della Franca Martina,
cogli avvenimenti più notabili del Regno di Napoli, vol.
III, Martina Franca 1983,
p. 103.
[43]
Si veda la partita n°2 della Platea capitolare della
Collegiata di San Martino.
[44]
M. Pizzigallo, op. cit. p. 179 (citazione in V. D. Nardelli,
Brevi notizie di Martina, ms., 1728, in Carte V.
Nardelli, Martina Franca).
[45] (URL=http://www.emerotecadigitalesalentina.it/sites/default/files/emeroteca_all/ZG1971_stampa_periodica_Martina_Franca-parte-1.pdf).
[46]
A. d’Orimini, Delle arti e scienze tutte divisate nella
giurisprudenza, Napoli 1747 in 4, p. 182.
[47]
Il testamento di Donna Giustina è conservato nel
primo libro dei contratti e delle cautele della Collegiata
di San Martino, nell’Archivio capitolare della Basilica.
|
FONTI ARCHIVISTICHE
- Archivio privato dell’autore, Taranto.
- Archivio dell’Insigne Basilica Collegiata di San
Martino di Martina Franca (Conclusioni capitolari;
Visite pastorali; Atti civili; Platee
ed inventari; Libri dei contratti e delle cautele;
Libri dei conti; Libri canonici).
- Archivio di Stato di Taranto, Atti notarili (notai
di Martina: Donato Antonio Caramia, Nicola
Antonio de Angelinis, Luca Antonio Gemma,
Cataldo Antonio Rattico), secc. XVII-XVIII.
- Archivio di Stato di Napoli, Catasto Onciario di
Martina (1753), Atti dello Stato Civile
(Napoli Montecalvario).
- Archivio di Stato di Bari, Atti dello Stato Civile
(Bari).
- Archivio di Stato di Lecce, Ruoli matricolari.
- Archivio del Comune di Martina Franca, Atti dello
Stato Civile.
- Archivio Caracciolo-de Sangro (Biblioteca comunale
“Isidoro Chirulli” di Martina Franca), Inventario
notarile. |
FONTI
BIBLIOGRAFICHE
- Bello A. C.,
Masserie storiche dei Desiati di Martina nel
territorio comunale di Crispiano, in «Umanesimo
della Pietra – Riflessioni», n°32, Martina Franca 2009,
pp. 77-136.
- Brunetti O., Martina Franca nel Settecento.
Strutture architettoniche e immagine urbana, Firenze
2012.
- Caramia G.,
Pagine di storia della Franca Martina,
Locorotondo 1969.
- Caramia G.,
Pagine di storia Martinese: Il Seicento, Galatina
1974.
- Cardella L.,
Memorie storiche de’ cardinali della Santa Romana
Chiesa, Roma 1793.
- Chiarelli
G., Notabilità martinesi, Martina Franca 1925.
- Chirulli I.,
Istoria cronologica della Franca Martina, cogli
avvenimenti più notabili del Regno di Napoli, voll.
I (1749), II (1752), III (1752), Martina Franca
1980-1983.
- Cofano A.,
Storia antifeudale della Franca Martina, Fasano
di Puglia 1977.
- Cuoco V.,
Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli (2°
edizione), Milano 1806.
- D’Eremita
D., Antidotario di fra Donato d’Eremita dell’ordine
dei Predicatori nel quale di discorre intorno
all’oßervanza, che deue tenere lo Spetiale nell’elegere,
preparare, componere, & conservare i medicamenti
semplici, & composti, vol. I, Napoli 1639.
-
D’Orimini A., Delle arti e scienze tutte divisate
nella giurisprudenza, Napoli 1747 in 4.
- D’Urfé H.,
La triomphante entrée de Magdeleine de la Rochefocaud
à Tournon, Lione 1583.
- Da Beaziano
G. C., L’araldo veneto, overo universale armerista,
mettodico di tutta la scienza araldica, Pezzana
1680.
- De
Courcelles J.-B.-P., Dictionnaire universel de la
noblesse de France, vol. II: M-Z, Paris 1821.
- Facciclatus
J., Fasti gymnasii Patavini, Padova 1757.
- Favaro A.,
Galileo Galilei a Padova. Ricerche e scoperte,
insegnamento, scolari, Padova 1968.
- Foscarini
A., Armerista e notiziario delle famiglie nobili,
notabili e feudatarie di Terra d’Otranto estinte e
viventi (2° ed. accresciuta e corretta), vol. I,
Lecce 1927 in 4.
- Grassi G.,
La chiesa di S. Martino in Martina Franca,
Taranto 1929.
- Grotto dell’Ero L. I., Della Università di Padova,
cenni ed iscrizioni, Padova 1841.
- Jurleo S.,
Della origine di Ostuni, Napoli 1858.
- Liuzzi G.,
L’antica chiesa di San Martino nelle visite pastorali
(1594-1721), Martina Franca 1997.
- Liuzzi G.,
La Confraternita dell’Immacolata dei Nobili in
Martina Franca, Fasano 2000.
- Marinò P.,
Martina barocca e rococò, Martina Franca 2015.
- Martellozzo
Forin E. (a cura di), Acta Graduum Academicorum
Gymnasii Patavini, Vol. III.4, Index nominum,
Padova 1981.
- Marturano
N., Marinò P., Martina Franca. Immagini e storia,
Fasano di Puglia 1989 (2° edizione).
-
Mazon A., Notes historiques sur Tournon et ses
seigneurs, Tournon 1908.
- Melchiorre
V. A., Storie Baresi, Bari 2010.
- Minervini
P., La lingua letteraria del Mezzogiorno d’Italia nel
Settecento, Napoli 1972.
- Montefusco
L., Bolognini P., Lecce nobilissima, Lecce 1998.
- Paone M.,
Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli,
vol. II, Galatina 1973.
- Pizzigallo
M., Uomini e vicende di Martina, Fasano 1986.
- Porcaro
Massafra D., L’archivio della Basilica di San Nicola.
Fondo cartaceo, Bari 1988.
- Punzi R.,
Fondazione Caracciolo-De Sangro. Una realtà barocca nel
Centro Storico di Martina Franca, Martina Franca
1989.
- Rossetti L.
(a cura di), Gli stemmi dello Studio di Padova,
Trieste 1983.
- Solito P.
D., I Marinosci. Cinque secoli di storia familiare,
Martina Franca ?
- Sozzi A.,
Ostuni e il borgo medievale, Lecce 1988.
- Uva N.,
Saggio storico su Mola di Bari dalle origini ai giorni
nostri, Bari 1964.
- Vacca D.,
Collezione delle leggi e de’ decreti reali del regno
delle Due Sicilie, Napoli 1841.
- Vallone A.,
Illuministi e riformatori salentini. Tommaso e
Filippo Briganti e altri minori, vol. I, 1983.
- Zen Benetti
F. (a cura di), Acta Graduum Academicorum Gymnasii
Patavini, vol. V.1, Ab anno 1601 ad annum 1605,
Padova 1987.
|
|