Ovvero delle Famiglie Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia.   

Famiglia d'Alessandro

La “primula rossa”: il duca Giovanni Maria d’Alessandro
-Parte Seconda-

 (a cura di Ettore d’Alessandro)
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© Collezione privata casa d'Alessandro
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Il duca nella marsina di corte con placca di Gran Bali dell'Ordine Costantiniano - Anno 1860 

Già gli scioperi degli operai del 1861 presso l’Arsenale in Napoli, nonché quello del 1863 presso l’opificio di Pietrarsa preannunciarono l’inizio di una  nuova strategia di protesta facente leva sulla neocostituita “questione sociale”, condivisa da taluni esponenti del comitato romano borbonico che con apposita commissione (Centrale di notabili siciliani) si preparò a partecipare al tumulto popolare in Sicilia sostenuto dalla sinistra radicale.
Tra i nomi illustri coinvolti in questo piano d’insorgenza il principe di Scaletta, l’ambasciatore spagnolo Bermudez de Castro, lo stesso  Pietro Ulloa. Del resto ripartire dalla Sicilia per poi portare l’insorgenza popolare, alla stessa stregua dell’impresa garibaldina, in tutte le province meridionali era anche questione di principio storico-demagogico (lo Chateaubriand, sosteneva che la storia fosse una ripetizione di stessi fatti relativi a uomini e tempi diversi).
Dal quartiere generale del palazzo Farnese, residenza della corte borbonica, si tramò questo modello di reazione, seppur anche nella stessa Napoli, dal 1864 si cominciò a disquisire su tali interventi di organizzazione dei focolai di rivolta negli stessi saloni del circolo Whist, appena inaugurato nel palazzo Vicereale di piazza S. Ferdinando.

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Decreto nomina del duca Giovanni al Consiglio Provinciale di Molise

Tra l’elenco dei soci e dei presidenti del circolo compariranno anche personaggi aristocratici, coinvolti negli stessi episodi d’insorgenza in questione, costantemente controllati dagli uomini della prefettura locale.
Presso tali sedi, tra l’altro, è documentata l’esistenza di liste di sospettati, così come il costante monitoraggio di confraternite (come quella dei Bianchi dello Spirito Santo) o associazioni e clubs i cui iscritti spesso furono sottoposti ad arresti in modo indiscriminato, senza alcuna prova concreta (come nel caso dell’arresto del conte de Christen).
Questo clima da “stato di Polizia” permase nel napoletano nei confronti dei “codini sanfedisti” fino allo scoppio della prima guerra mondiale, epoca che in parte segnò la chiusura di tali ritrovi (il Whist fu chiuso nel 1919, così come l’altro circolo “L’Unione del Mezzogiorno” in palazzo Cavalcanti di via Toledo).
Nel periodo 1864-1866 furono organizzati taluni tentativi di rivolta in  Sicilia con l’ausilio dei  comitati  borbonici,  presenti anche a Marsiglia ed in Inghilterra, aventi funzione di procurare adeguate partite d’armi per le insorgenze.

Napoli - Palazzo Cavalcanti
Napoli - Palazzo Cavalcanti

A tal proposito si è rinvenuto nell’archivio ducale d’Alessandro copia della corrispondenza inviata dal duca di Pescolanciano al barone Enrico Pisani Ciancio, messosi a capo della congiura catanese del 1865, in cui si riporta quanto segue:
“V. Eccell.za, l’augurata salute mi porta a dimandar di Lei e suoi familiari. La lieta notizia che accora gli animi di tutti Noi è che il tempo delle palombe bianche è giunto. Nella terra di Catania preparateci la Caccia per lo prossimo mese. Il comitato dei cacciatori si troverà a Napoli con buone carabine e munizioni…..”.

Un finanziamento probabile della congiura doveva giungere dalla stessa Spagna se si legge il seguito della lettera:
“Egr.
Vs.Eccellenza, dalla Ispagna ricevo dall’amico socio Don Bermudez quote di vostra spettanza per li consueti serviti di ospitalità in terra di Sicilia. Rimetto il denaro per lo tramite dello medesimo Don Errico. Suo Devoto”.

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© Copia lettera inviata al barone Ciancio nel 1865

Su questi fatti l’allora ministro dell'Interni accusò sia la sinistra, gli anarchici, i briganti che i mazziniani ed i borbonici di aver cospirato contro il regno d’Italia. Il “terrorismo sovversivo” delle “bombe Orsini”, dei “circoli Barsanti”, dei “comitati borbonici” o degli “Internazionalisti” fu perseguito con severe misure legislative anche dai ministri Nicotera e Crispi della sinistra conservatrice, legati idealmente alla non meno pacifica impresa garibaldina. I moti insurrezionali, comunque, non furono debellati nel regno. Seguì, difatti, la rivolta del settembre 1866 in Palermo contro la tassa sul macinato, che vide una sentita partecipazione di quasi quaranta mila persone. Le violenze contro le sedi istituzionali del Regno furono sedate nel sangue (257 morti) con l’intervento dell’esercito.

Una simile protesta delle popolazioni meridionali, non nuovo al neo-costituito stato italiano, fu “cavalcata” con impeto dalle frange politiche più estreme, mentre in Parlamento si disquisì del problema con leggerezza e senza un accurato e risolutivo programma d’intervento.
Fu esemplare in quegli anni soltanto la presa di posizione del senatore Proto duca di Maddaloni, in quanto denunciò pubblicamente la situazione di malessere e le misure repressive sanguinarie delle amministrazioni governative piemontesi all’indomani dell’unificazione.

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© Il duca d'Alessandro in divisa delle "Guardie d'Onore 3° Reggimento Prov. Molise" - fine XIX secolo

La sua indignazione verso tali episodi di malgoverno fu pubblicata nello scritto dal titolo “Mozione d’inchiesta”, cui fecero seguito le dimissioni da parlamentare italiano.
Di contro, il gruppo degli onorevoli meridionali, la cosiddetta “consorteria napoletana”, si interessò a simili questioni -come testimoniò il Petruccelli della Gattina nella sua opera “I moribondi di Palazzo Carignano” edita nel 1862- al pari di “un’associazione di mutua difesa d’incapacità e di mutua assicurazione di profitti”. Il deluso duca Proto, sostenitore già dal 1848 dell’impresa unitaria, finì tra le fila dei simpatizzanti del partito borbonico, riavvicinandosi così all’amico duca d’Alessandro ed ai tanti intellettuali (de Sivo, Musci, Murena, Brenna, Borghi, conte de La Tour) impegnati nell’attività di divulgazione delle rivendicazioni legittimiste.
I borbonici furono propensi alla diffusione delle attività culturali ed  educative tra il ceto popolare, in quanto si ritenne l’istruzione garante di una maggiore consapevolezza della nuova situazione di sudditanza al Piemonte. Simile prioritaria riforma fu sostenuta da altre forze politiche.

In un numero del giornale sociale “Libertà e Lavoro”, datato settembre 1865 ed omaggiato al suddetto duca di Pescolanciano, (la rivista diretta da Silvio Verratti era diffusa nel napoletano con una tiratura pari a circa 12 mila copie) si ribadì il necessario mantenimento di un programma politico concentrato sull’ampliamento “dell’istruzione d’un popolo e la sua educazione propriamente detta”.

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© "Libertà e Lavoro" - Giornale gratuito per l'educazione del popolo  (Anno 1865)

Il socialismo progressista di quel periodo, del resto, fu più attento al progetto di divulgazione educativa tra i ceti disagiati, in quanto “uno dei fattori più potenti dell’incivilmento d’una nazione…sveglierà il sentimento, la ragione e la libertà morale degl’individui”. Le idee, i programmi, le denunce della propaganda duosiciliana, pertanto, transitarono e si diffusero anche   per il tramite del mezzo comune d’informazione, la stampa, nonostante l’elevato tasso di analfabetismo diffuso nelle province.
Furono fondati numerosi giornali, quali il “Progresso Nazionale”, “Equatore”, “Smascheratore” o il “Conciliatore”. In merito a quest’ultimo organo d’informazione, il suo ideatore venne annotato in un libercolo dell’archivio ducale d’Alessandro, intitolato “I legittimisti napoletani, lettere d’un repubblicano ad un consorte” edito a Napoli nel 1869 dall’autore Giovanni Gervasi,  per essere stato “scoperto testè dal sig. questore Scoppa come uno dei più sfegatati borbonici, anzi come uno de’ sanfedisti addirittura…si è creduto, e forse non a torto, che nessuno più di me potesse trovarsi addentro alle segrete cose di que’ signori”.

© collezione privata di casa d'Alessandro
© Album del duca d'Alessandro

La tesi rivoluzionaria democratico-repubblicana dell’autore di sconfiggere la consorteria cercò di far presa sull’ambiente reazionario per il suo fine politico, pur mantenendo i rispettivi ideali divergenti.
A tal proposito il Gervasi scrisse: “ebbene i borbonici sanno bene de nostri, di Leonora Pimentel, di Domenico Cirillo, di madama Roland, di Danton, di Ciro Menotti, di Marco Botzari, de’ fratelli Bandiera, di Pisacane” contro Giorgio Caudon, Charette, La Roche Jaquelin, la principessa di Lamballe, Carlotta Cordey, il generale Monk “tutti eroici martiri del legittimismo”. Inoltre, lo stesso aggiunse circa i borbonici “stanno in mezzo al tramestio delle lotte politiche come gl’infusori dell’acqua, invisibili a occhio nudo. A scorgerli ci vogliono per lo meno gli occhiali de’ delegati di polizia” (pg.10-11). Finalità della suddetta pubblicazione fu quella di invitare il partito legittimista ad unirsi a quello democratico-radicale nella lotta contro la “consorteria”, tanto da chiedere di “appoggiare un tal partito (avanzato) all’urnaQuale mezzo più logico e insieme più facile per liberarsi di chi li ha tenuti in disparte, gli ha sprezzati, gli ha oppressi di tasse e, in date emergenze, gli ha imprigionati altresì ? ”.

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© Appunti del duca di Pescolanciano del 1866

In sintesi, l’autore auspicò che il voto dei borbonici non doveva disperdersi con l’astensione dalla vita denigrata parlamentare italiana, bensì sostenere le forze radicali. In merito a questi collegamenti si è rinvenuto, così, appunto del citato duca di Pescolanciano del settembre 1866 , su cui è riportato il seguente elenco:
1.
Preparativi a Roma con la Commissione – S.E. il principe di Scaletta suggerisce il gruppo del repubblicano Giuseppe Badia. Altri gruppi?

2. De Castro per la raccolta in Madrid di denaro ed armi..

3. Don Pietro (Ulloa?) mi ha pregato di seguire nostri agenti per la missione in Palermo. Organizzare contatti.

4. Informazioni più personali su Reali, troppe coincidenze!!

5. Individuare monasteri per rifugiare gli agenti, nascondere le armi ,  contattare  padre Spadaro

6. Su Catania, contatti preparatori con don Enrico (Pisani Ciancio?)

7. De Couthodon  incontrare a Roma

8. Partenza per Marsiglia, poi Barcellona. Vapori dalla Spagna, uomini e costi

9. Contattare comitato londinese per armi

Se da un lato il legittimismo si organizzò nelle trame destabilizzanti, dall’altra cominciarono ad emergere i gruppi della sinistra anarco-massimalista favorevole all’insurrezione popolare. Innanzitutto, va annotato che tra il 1865 ed il 1867 si spostò su Napoli l’anarchico Bakunin per prendere contatti con esponenti della rivoluzione al fine di mobilitare le masse contadine. La presenza di questo sobillatore non dovette passare inosservata al partito borbonico se si considera la memoria scritta dal menzionato duca d’Alessandro, qui riportata.

immagine di pubblico dominio - http://it.wikipedia.org/wiki/Michail_Aleksandrovi%C4%8D_Bakunin
Michail Bakunin, il fondatore del giornale "Libertà e Lavoro"

La rivoluzione voluta dai seguaci del Bak.(unin) o dai repubblicani del Mazini o del Murat contro un Sovrano indegno delli principi di Libertà ed Eguaglianza è pari alla nostra fervida volontà di liberare le terre del Regno dall’Usurpazione. Combattere con costoro ci agevolerà nello obiettivo di Palazzo Farnese. Raccogliere le forze, organizzare focolai di ribellione far leva sugli Stati alleati alla causa di S.M. contro l’infame occupazione delle nostre terre. Liberare i militari prigionieri dalle carceri delli  piemontesi.
Necessita cavalcare il malcontento per il dazio sul macinato, che è sostenuto dal partito dei Rossi.

Per ogni Provincia sta pronto un Comitato a cui i nostri Agenti danno informazioni sul da fare.
Partiremo dalle campagne al momento delle insorgenze –ovunque innalzeremo la bandiera gigliata con i nostri colori.
Il Gervasi a Napoli prepara la sorpresa alli occupanti. Delli denari, come stabilito, sono a sua disposizione per i contatti con quelli dell’Alleanza…
Necessita stampare un foglio di divulgazione delle idee alle Masse. L’incontro con Don Giovanni
(Gervasi ?) è senza dubbio interessante per la causa e certo al giornale ci arriveremo perché lo stampatore già si dispone. Delli denari richiesti già si raccolgono presso Donna Giulia (Caracciolo?). S.E. di Caianello sarà disponibile e vigilerà su costoro”.

L’accenno all’esistenza di comitati, di prigionieri militari ancora tenuti segregati, nonché alla compartecipazione ai moti controrivoluzionari della nascente classe operaia ed agricola con i rispettivi rappresentanti politici e con il sostegno di importanti esponenti dell’aristocrazia meridionale è argomento di maggiori approfondimenti. E’ da annotare, comunque, che , in questa compagine di malcontento ed insubordinazione alla monarchia dei Savoia, gli episodi di insurrezione popolare aumentarono nelle province napoletane a partire dal 1865 fino alla fine del secolo XIX, allorquando stava per essere debellato il “brigantaggio politico”. Agli ideali di lotta per la legittima monarchia si aggiunsero tra la popolazione del Sud Italia i nascenti valori del socialismo rivoluzionario.

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© Errico Malatesta

Difatti, la storiografia ufficiale ricorda quanto fecero presa sulle masse contadine ed operaie le prediche dei capi dell’anarchismo ed internazionalismo, quali il Cafiero o il Malatesta o il Costa, esaltanti la rivoluzione per una solidarietà universale, per la realizzazione di una società di liberi ed eguali senza poteri e gerarchie, ma soprattutto senza più lo sfruttamento delle classi meno abbienti. Circa i metodi di rivolta, gli internazionalisti sostennero l’uso di azioni delittuose pur di soddisfare gli interessi materiali della classe proletaria. Tra i focolai di insurrezione di quel periodo si annoverano quelli organizzati dall’anarchico Errico Malatesta che si trovò coinvolto  nella rivolta del Matese del 1870 poi nelle lotte dei braccianti pugliesi del 1874 ed in quelle nel beneventano del 1877 (intervenne l’esercito regio con circa 12 mila soldati), allorquando Roma venne “liberata” e l’Unità d’Italia divenne un sogno quasi realizzato.
Passò, invece, inosservato l’arresto di un cuoco in Salerno nel 1870, fermato mentre affiggeva dei proclami inneggianti alla rivolta per l’instaurazione di una “Repubblica Universale”.

Costui, di nome Giovanni Passannante, diverrà nel breve tempo personaggio di cronaca politica per aver attentato nel 1878 al re Umberto I. Passannante in questo “Proclama ai fratelli delle Calabrie” sostenne un’ideale società repubblicana, intesa come espressione democratica di popoli affratellati di varie nazioni, senza distinzione di classe.

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© Don Giovanni Maria d'Alessandro duca di Pescolanciano

Difatti, così il testo recitava:
“Alarmi Alarmi Fratelli! Corriamo! Corriamo tutti sotto la bella Bandiera Repubblicana ché governo del popolo, eguaglianza di libertà e fraternità. Ma fuori della roba di altrui. Dio e Popolo. La Repubblica che abolirà le leve abolirà la schiavitù e abolirà le gravose imposte. Alleanza Repubblicana Universale. Corriamo a rinforzare i nostri Fratelli di Calabria e saremo vittoriosi e per sempre liberi. Ricciotto Garibaldi ci condurrà! Gridiamo unanimi per tutta l’Italia che vogliamo la Repubblica, e gridiamo la morte, e distruzione a tutte le tirannidi, Re, papa Re, Imperatori e Consorti. Alarmi Alarmi per sempre cittadini e svegliamoci e non facciamo i poltroni. Finché coraggio e Forza ci vuole e saremo liberi. Corriamo e pur sempre. Alarmi Alarmi! Viva la Repubblica! Viva Mazzini! Viva Garibaldi! Viva i nostri Fratelli di Calabria”
(A.S.N., Dai processi politici contro G.Passannante. Sezione Giustizia, fascio n.15 bis).

E’ da notare una certa somiglianza dell’ideale modello politico dell’Alleanza repubblicana con quello governativo dell’Alleanza monarchica sostenuto dai borbonici, seppur divergente sulla figura governativa del principe. Inoltre, i temi,citati nel volantino,di lotta contro il peso fiscale (tassa sul sale, macinato, gioco del lotto etc.) del nuovo regno d’Italia, di libertà ed abolizione della schiavitù nel nome di Dio e del popolo sono alquanto comuni ai programmi di insorgenza dei legittimisti.

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© Manifesto rivolta del Comitato operai del 1899 con le insegne del duca di Pescolanciano

E’ da annotare, infine, che in tali ambienti rivoluzionari iniziò a maturare l’idea di lotta individuale o dell’attentato nichilista, prendendo spunto dal clamoroso episodio regicida dell’Orsini, onde poter realizzare il nuovo ordinamento sociale agognato. Simile tipologia di guerriglia solitaria del singolo personaggio, molto probabilmente, cominciò ad essere appoggiata dagli stessi borbonici nell’ultimo trentennio del secolo XIX°, subentrando alle azioni di difficile coordinamento delle leggendarie bande di partigiani duosiciliani. Sull’argomento si è rinvenuta significativa riflessione tra le pagine del memoriale del duca d’Alessandro, che appuntò quanto segue:
“Come suggerisce il gruppo del Mala(testa) necessita invece un’azione isolata ed incisiva volta a colpire il diretto responsabile di questo clima di insofferenza, causa l’egoistico desiderio di conquista…Sono sempre stato tra i primi a sostenere la grande insurrezione, fin dai tempi in cui era in vita il caro nostro Sovrano S.E. Francesco nella mia veneranda età, anche se lo spirito resta quello del ventenne, ho visto scorrere troppo sangue innocente senza nulla ottenere e cambiare”.

Questo nuovo approccio di insurrezione non tardò a manifestarsi, allorquando il 17 novembre 1878 il secondo re d’Italia, Umberto I, con consorte e principe ereditario si fermarono in visita a Napoli. Transitando su una carrozza scoperta per largo della Carriera Grande (luogo di antica tradizione per i tornei cavallereschi organizzati nel ‘500 dai più illustri esponenti del patriziato napoletano), circa le 14:45, “ un individuo empio sino alla follia…armato di piccolo coltello, la cui lama è lunga 12 centimetri, celato da una banderuola rossa…ove era attaccato un cartello con le parole Morte al Re, Viva la Repubblica Universale, Viva Orsini, vibra colpi all’augusto personaggio”(A.S.N., Rapporto del Comando dell’Arma dei Carabinieri Reali). L’attentatore, il citato Giovanni Passannante, cuoco disoccupato di Salvia (poi Savoia di Lucania) nella provincia di Principato Citeriore, riuscì solo a ferire alla coscia destra il capo del governo, on. Benedetto Cairoli.
Un umile suddito dell’ex regno delle Due Sicilie riuscì, comunque, ad attentare nella ex capitale alla vita del sovrano sabaudo, scagliandosi contro quel simbolo dell’occupazione e sfruttamento, riuscendo a raggirare l’imponente sorveglianza organizzata dal prefetto, già garibaldino lombardo, Angelo Bargoni (poi ministro del Tesoro nel governo liberale De Pretis) e mettendo in crisi lo stesso ministro Zanardelli ivi presente.

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© Appunti politici per l'On. Oddino

Il governo sospettò che l’attentato fosse stato “progettato da società segrete” (A.S.N., Pref.Gab., fasc.423, 1878) e che “pare certo che il Ministro Zanardelli avesse già prima avuto sentore di qualche complotto” (A.S.N., telegr.Gazzetta d’Italia). Sul banco d’accusa salirono così il partito repubblicano e il movimento degli Internazionalisti, rei di diffondere “insegnamenti che sono la negazione di ogni diritto e di ogni morale, ed eccita continuamente al delitto”, pur permanendo forti sospetti verso le “fronde sanfediste”.

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© Particolare della scatola con pistola regalata al duca di Pescolanciano da
S.A. il Conte di Trapani

Fu l’inizio di una nuova strategia di azione che culminerà nel regicidio dello stesso Umberto I,  “figlio di quella progenie di usurpatori” (su questo periodo storico con sue trame e complotti anche della “primula rossa” è in corso la menzionata ricerca). Negli ultimi anni della sua tormentosa esistenza, il vecchio duca, tra i rimpianti del tempo passato e le testimonianze di una triste vecchiaia, scrisse sulla busta di un biglietto da visita suggellato con cera lacca la sua precaria condizione di vita:
”(...) in questa busta vi è la piccola chiave del cassettino di mio figlio Fulco contenente i rimasti oggetti d’oro ed altro che mi appartenevano compreso gli ordini cavallereschi a lui ceduti in cambio e compenso di diverse somme somministratemi durante la mia infelice esistenza. Gli oggetti Moliebri poi che mancano furono dati a Perrelli per supperire, come lei disse, al furto che fecero a suo marito (...) il cucchiaino con le due posate si tengono per uso in caso di malattie o di qualche forestiero, essendo esse le sole (...)” .

© Collezione privata casa d'Alessandro
© Busto di Don Giovanni Maria d'Alessandro duca di Pescolanciano

Nel 1910 il duca Giovanni Maria d’Alessandro si spense all’età di 86 anni. Il necrologio pubblicato su un quotidiano napoletano riportò queste testuali parole:
“(…) fino alla tomba ha portato infatti i suoi principi schiettamente borbonici. E malgrado i rivolgimenti politici dal ‘60 in poi avessero contribuito alla totale scomparsa della sua colossale fortuna economica, il duca di Pescolanciano, fino a ieri, si conservò nella mente e nel cuore quello che era nel 1860, quando sdegnosamente, abbandonò Napoli conquistata da Garibaldi, e trasferì, fino al ’65, la sua dimora in Roma”.

I funerali, svoltisi a Napoli con una grande partecipazione di amici, parenti e nostalgici (le cronache locali ricordano più di mille persone), videro il passaggio per via Toledo fino al vecchio cimitero (ove riposa presso l’arciconfraternita dei Bianchi dello Spirito Santo) del pomposo carro funebre trainato da sei stalloni e trasportante il semplice feretro, avvolto nella bandiera gigliata del suo re. 

EPILOGO

Si consiglia la lettura del libro "Maria Sofia Regina dei Briganti" magistralmente scritto da Fulvio Izzo che fa piena luce, grazie anche all'acquisizione di documenti inediti del duca Giovanni d'Alessandro, sugli avvenimenti degli anni che vanno dall'assedio di Gaeta all'attentato a Umberto I.

Lo scrittore consegna alla storia l'immagine di Maria Sofia di Borbone, una giovane Regina che rincuora i combattenti e i feriti sugli spalti di Gaeta mentre infuriano i bombardamenti degli invasori piemontesi. L'Aquiletta bavera, così definita da Gabriele D'Annunzio per il suo spirito combattivo anche dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie, scrisse: "Quella che gli storici italiani chiamano guerra di brigantaggio fu la generosa rivolta degli umili contro il regime piemontese..".

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Indice delle pagine:
Famiglia d’Alessandro
Genealogia
Il principe dei legisti – Ambasciatore
Il principe degli eruditi
Il duca poeta e l’ippica
"La quadreria"
Le ceramiche del duca Pasquale
Simbologia esoterica
La primula rossa – parte 1^
La primula rossa – parte 2^
"Il Ramo di Civitanova"
 "Le Carrozze"
 "Gli ultimi esponenti del casato e la linea secondogenita di Fabio nel ‘900"
 "I ricordi del '900"
 "Don Ettore - note biografiche - Parte 1^
"Don Ettore - note biografiche - Parte 2^
 "Il Cavaliere e il mestiere della spada"
Il castello di Pescolanciano
Epilogo


Casato inserito nel 1° Volume di "LA STORIA DIETRO GLI SCUDI"

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