
Ovvero delle Famiglie Nobili e titolate del Napolitano,
ascritte ai Sedili di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano,
appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano
dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che
abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia |
a cura di
Simone Vacchiano |
Armi:
Ramo di Cicciano: “di azzurro al leone rampante
attraversato da una fascia caricata da tredici sfere poste in
fascia 4, 4 e 5 ed accompagnato nel capo da due stelle di cinque
raggi disposte una nel canton destro e l’altra nel canton
sinistro del capo”(1)
Ramo di Napoli: “d’azzurro al grifo d’oro, rivoltato,
passante su una campagna erbosa di verde e mirante una stella di
sei raggi, pure d’oro, posta nel canton sinistro del capo”(2)
Ramo di Napoli (alias): “d’azzurro alla vacca alata
d’oro, rivoltata, passante su una campagna erbosa di verde e
mirante una stella di otto raggi, pure d’oro, posta nel canton
sinistro del capo”(3)
Ramo di Spagna: “d’argento ai tre olmi sradicati al
naturale, posti 1 e 2”(4)
Dimora:
Cicciano (NA), Napoli, Papasidero (CS), Spagna. |

©
Cicciano (NA), Palazzo Vacchiano,
Stemma Vacchiano posto sul soffitto dell’androne.
Si ringrazia l'Avv. Prof. Nicola Pesacane per aver fornito
l'immagine |
La notabile famiglia
Vacchiano, olim Vachiano, è un’antica casata originaria di
Cicciano (NA), con memorie certe risalenti ai primi anni del
sec. XV.
Ipoteticamente oriunda del Friuli, si stabilì nel
Napoletano in seguito alla concessione, da parte dell’Ordine
Gerosolimitano di San Giovanni, di alcuni feudi piani nella
baronia di Castel Cicciano, da tempo Commenda magistrale
dell’ordine.
I primi membri della casata di cui si abbia memoria furono
MARTINO VACHIANO, fiorito a metà del sec. XV, cospicuo
possidente e suffeudatario (tenens) di innumerevoli beni feudali
della Commenda di Cicciano, ed il suo cugino germano, SANTO
VACHIANO, proprietario di pari prosperità. |
Agli albori del sec. XVI ADALIO VACHIANO, primogenito
del summenzionato Martino, si distinse come uno dei più cospicui
possidenti del luogo, tenens di svariati feudi piani, siti in
più di dieci differenti località, nonché proprietario di una
buona frazione del Castello, nel quale aveva eletto la sua
dimora.
Non molto più tardi ANDREA VACHIANO commissionò la
costruzione di un grandioso palazzo gentilizio, posto poco fuori
le mura del castro (in località Li Marenda), il quale sarebbe
divenuto la principale dimora della famiglia. Quasi al contempo,
il fratello del suddetto, SEBASTIANO VACHIANO, fece
erigere un altro palatium nella località Li Rosci, mentre un
BERARDINO VACCHIANO entrò in possesso di una sontuosa casa
palatiata.
Poco dopo, nel 1572, GIOVANNI ANGELO VACCHIANO ottenne
dal Commendatore Fra’ Giovanni Giorgio Vercelli (1569-1575) l’ufficio di
Balivo della Commenda gerosolimitana di Castel Cicciano, con il
compito di amministrare la comunità e rendere esecutive le
direttive del Commendatore. Costui figurò, lo stesso anno, tra i
dignitari ciccianesi ricorsi all’intervento vicereale per porre
fine ad un’aspra contesa sorta con la vicina città di Nola ed i
casali di
Cimitile, San Paolo e Saviano.
A quei tempi Cicciano era una terra in provincia di
Terra del Lavoro, esente dalla giurisdizione del vescovado
di Nola, ed apparteneva alla Religione di Malta. Del Castrum di
Cicciano resta oggi solo il portale d'ingresso della fortezza e
la restaurata chiesa di San Pietro. |

© Cicciano (NA) -
l'ingresso della fortezza |

© Cicciano (NA) - Chiesa di San Pietro |
Dieci anni più tardi, il 2
maggio 1582, in occasione del bando della
Gran Corte della
Vicaria, che imponeva a chiunque fosse possidente di beni nella
baronia di Castel Cicciano di "rivelarli, pubblicarli e darli in notamento", pena la perdita dei beni stessi, ben venti membri
della famiglia, a testimonianza della prosperità del casato,
vennero annotati con la formula “tenet bona redditia dictae
Commendae”, identificativa dei suffeudatari (tenentes) della
Commenda.
Nel medesimo periodo GIOVANNI VACCHIANO ottenne dal
Commendatore Fra’ Vincenzo
Carafa
della Stadera la concessione in perpetuo di
innumerevoli beni fondiari. |
Nei primi anni del sec. XVII,
il signum di GIORGIO VACCHIANO, Procuratore e
Deputato di Castel Cicciano, figura tra quelli dei
testimoni negli atti del Commendatore Fra’ Girolamo
de
Guevara.
Nel 1628 si incontra il magn.co GIOVANNI BATTISTA
VACCHIANO, già celebre Notaio, nelle vesti di Mastro
d’atti e Scrivano Generale della Curia Vescovile di
Nola.
A metà del secolo il casato fu tenuto in gran
considerazione dal Commendatore Fra’ Girolamo
Branciforte, di nobilissima famiglia
siciliana, al punto che il fratello di questi, Luigi
Branciforte, Vescovo di Melfi, onorò l’ecclesiastico don
GIULIO VACCHIANO con la carica di Prefetto Palatino
del Vescovado melfitano; quest'ultimo tenne la stessa
carica anche per la diocesi di Rapolla, all'epoca
accorpata a quella melfitana. Insediatosi nei suoi
uffici intorno al 1650, divenne ben presto membro del
Capitolo della Cattedrale di Melfi, nell'ambito del
quale fu spesso menzionato per aver ricoperto anche
l'incarico di Giudice del Tribunale Diocesano. Nel 1654,
chiamato a testimoniare dinnanzi al Vicario Apostolico,
si fece strenuo difensore delle prerogative e delle
spettanze del Vescovo rispetto alle rivendicazioni del
Capitolo.
In virtù di tale riguardo si crede che alcuni membri
della famiglia abbiano seguito i Branciforte a Palermo,
tra i quali si distinse un ONOFRIO VACCHIANO,
Governatore della Tavola Nummularia e del Monte di Pietà
nel 1676, ed un FRANCESCO DOMENICO VACCHIANO, che
ricoprì la medesima carica nel 1696 e nel 1697. |

©
Cicciano (NA) - Palazzo
Vacchiano
Si ringrazia l'Avv. Prof. Nicola Pesacane per aver fornito
l'immagine |
Agli inizi del sec. XVIII il
casato, che, già da tempo, aveva dato onorati
amministratori all’Università di Castel Cicciano, fu
illustrato da FELICE VACCHIANO, che, nominato
Eletto nel 1706, ottenne di essere più volte
riconfermato in carica “havendo in questo anno
rettamente governato detta Università".
In seguito i Sigg. NICOLA VACCHIANO e
FRANCESCO VACCHIANO figurano tra i dignatari
riunitisi nella Chiesa di San Pietro, il 19 Febbraio
1715, assieme al Governatore Francesco Cananzio, per
deliberare sull'elezione di San Barbato a "protettore
e tutelare" di Castel Cicciano.
Nel 1733 il detto NICOLA ricoprì gli uffici di
Procuratore e Deputato di Cicciano, gli stessi di cui fu
insignito AGOSTINO VACCHIANO nel 1780.
Sul finire del secolo un altro NICOLA VACCHIANO
ottenne dal Principe Giuseppe
Caracciolo di Torella il possesso del
latifondo delle Pastene, sito nel feudo di Gesualdo
(terra in provincia di Principato Ultra), nonchè di
molti dei diritti proibitivi burgensatici (taverna,
Trappeto, etc.) presenti nel summensionato territorio,
previo versamento annuale di un'ingente somma. Tuttavia
tutti i detti beni, assieme con altri già in suo
possesso, gli furono confiscati a seguito dei
moti repubblicani del 1799, dei quali era
stato accanito sostenitore(5).
Nel 1806 il casato ottenne l’ascrizione al ceto
decurionale, in quanto molti dei suoi membri presero
parte al consiglio cittadino, tra questi si notino, in
particolare, don BARBATO VACCHIANO, Decurione
dal 1833 al 1844, e don VINCENZO VACCHIANO,
Decurione dal 1856 al 1861.
Negli stessi anni fu ristrutturato Palazzo Vacchiano (Via Borgo
Corpo di Cristo, 48), dimora del casato risalente alla
metà del secolo XVI edificato dal citato Sebastiano
Vacchiano (quartiere Li Rosci),
tuttora in possesso della famiglia, ed, inoltre, furono
acquisite le vaste proprietà latifondiarie del Vallone e
di Boscofangone, rimaste proprietà della famiglia fino
agli inizi del XX secolo. |
In epoca più recente si distinsero il tenente colonnello
d’artiglieria SAVERIO VACCHIANO, nominato
Cavaliere Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia, e
l’Arcivescovo DOMENICO VACCHIANO, già Vescovo di
Cassano allo Jonio, poi Delegato Pontificio e Prelato di
Pompei.
|
Una ramificazione del
casato, nei primi anni del sec. XVII, trasferì la sua
dimora nella capitale del Regno, Napoli.
Il capostipite di detto ramo fu il magn.co don PAOLO
VACCHIANO, al quale la Regia Corte concesse, nel 1633,
l’ufficio di Regio Partitario del Ferro nella città di
Stilo, incarico che comportava, oltre alle lautissime
rendite, una serie di benefici, quali l’esenzione dal
pagamento delle tasse e dei dazi doganali,
l’autorizzazione a portare armi, il diritto ad essere
giudicati da una giuria di pari nella Regia Camera della
Sommaria, ed altri vantaggi minori. Nella stessa
occasione, così che potesse svolgere al meglio il suo
servizio alla Corona, gli fu accordato il “reale e
corporale possesso, il capitanato e l'amministrazione
della giustizia delle ferriere e del casale di Pazzano”,
ottenendo, dunque, di essere creato Capitano cum mero et
mixto imperio della Terra di Pazzano, presso Stilo, dove
erano situate le principali miniere di ferro del Regno.
Costui portò a termine i suoi uffici nel 1644, anno in
cui fece ritorno a Napoli. |

© Arma Vacchiano di Napoli |

© Variante stemma Vacchiano di Napoli |
Trascorso un decennio si incontra il magn.co don
JACOPO (o Giacomo) VACCHIANO, figlio del suddetto,
che, investito anch’egli dalla Regia Corte delle cariche
di Regio Partitario e Capitano della Terra di Pazzano,
si insediò nel Palazzo del Capitano (anche Palazzo delle
Ferriere) nel 1655, anno in cui, come raccontano le
cronache locali, fu vittima di una congiura.
Infatti, inviso all’aristocrazia locale, fu iniquamente
accusato di aver commissionato l’assassinio di un
notabile locale ad uno dei suoi soldati (detti compagni
o provisionati del Capitano), imputazione che gli
sarebbe valsa l’incarcerazione e la perdita di ogni suo
ufficio e patrimonio. Tuttavia, costui si ritirò, per
tre giorni, a pregare dinnanzi alla miracolosa effige di
San Domenico nel vicino monastero di Soriano Calabro,
ottenendo dal Santo che la sua innocenza fosse
prodigiosamente provata oltre ogni dubbio. Scagionato
dalle accuse fece ritorno ai suoi uffici, che lasciò
solo nel 1675.
Nel corso del sec. XVIII, grazie all’ingente patrimonio
accumulato nel secolo precedente, furono molti i membri
del casato viventi di rendita, nell’esercizio della vita
more nobilium, nonché altrettanti distintisi in ambito
ecclesiastico, primi dei quali Padre TOMMASO MARIA
VACCHIANO, predicatore domenicano stanziato a L'Aquila,
e Padre EMANUELE VACCHIANO, che prese i voti nel
Monastero Agostiniano di S. Maria della Fede.
Nella seconda metà
del secolo
la figura
di maggior spicco fu
il ricco proprietario don GIUSEPPE VACCHIANO
(1738
†
1799), dottore in medicina e chirurgia, il quale prese
dimora, a partire dagli anni '60 del Settecento, nel
palazzo di sua proprietà sito in Strada Chiaia, ove,
dalla sua consorte donna Elisabetta Fiorenzano, vennero
alla luce i suoi due unici figli maschi: don Antonio
Maria, nato nel 1769 e don Paolo Maria, nato nel
1774.
Il secondogenito don
PAOLO VACCHIANO (1774
†
1805) seguì i passi del
padre intraprendendo il percorso di studi in medicina e
chirurgia, fino al conseguimento del dottorato sul
finire del secolo. Negli anni seguenti operò nei
principali ospedali di Napoli, ma la morte precoce, che
lo colse nel palazzo di Chiaia, impedì qualsiasi
ulteriore sviluppo della sua carriera; le sue spoglie
furono poste a riposare nel cimitero della Confraternita
di San Raffaele, di cui in vita fu membro.
Gli sopravvissero la consorte, donna Saveria Vitagliano,
una figlia nata postuma, Elisabetta (1806
†
1811), e la sua primogenita,
donna CLEMENTINA VACCHIANO (1797
†
1873), erede della cospicua
fortuna fondiaria che fu di suo padre, la quale passò a
vivere in casa dello zio don Antonio sino alle
nozze con don Gaetano Miale di don Francesco, ufficiale
nei Reali Lotti e proprietario.
Una delle figlie nate da questa unione,
divenne Duchessa di Cerza Piccola, in seguito al
matrimonio con il Duca don Raimondo Pompeo Almirante.
Il summenzionato don ANTONIO VACCHIANO (1769
†
1823), al contrario del
genitore e del fratello, non intraprese gli studi medici,
dedicandosi piuttosto ai suoi interessi nel campo
agrario. Si occupò, infatti, nel corso dell'ultimo
decennio del sec. XVIII, della gestione e della
riorganizzazione delle vaste proprietà fondiarie di
famiglia, ampliandone l'estensione e portandone le già
laute rendite alla cospicua somma di circa 2.800 ducati
annui.
Degna di nota, tra i molti acquisti effettuati in quel
periodo, la grande masseria rustica sita a
Monteverginella, verso Poggioreale, circondata da ben 30
moggia (ca. 10 ettari) di padule(6), nonchè un'altra masseria,
di maggior pregio architettonico, sita nel Casale di
Antignano, la cui struttura, consistente in una villa di
svariati membri, un cortile rustico con aia e stalle, e
numerosi bassi adibiti a magazzini, risaliva ai primi
anni del sec. XVII, ed alla quale erano annesse quasi 15
moggia (ca. 5 ettari) di terreno arbustato, vitato,
fruttato e seminatorio. |

Pianta della Masseria
Vacchiano
(7) ad Antignano,
disegnata in occasione della divisione
tra gli eredi di don Antonio Vacchiano. |
Proprio nel Casale di Antignano, presso Napoli, si
concentrarono gli interessi del detto don Antonio,
il quale, acquistata la quasi totalità delle proprietà
rustiche della zona, si premurò di riorganizzare
radicalmente la vita agreste del luogo, non solo
affidando la coltivazione dei vasti fondi a coloni
locali, ma anche erigendo apposite strutture (case con
cortile, stanze di servizio al pian terreno e terrazzi
ottenuti al di sopra dei depositi) per stallieri, cellai,
ed altre figure alle sue dipendenze
(8).
Sempre sul colle antignaneo fu stabilita la residenza di
campagna della famiglia, nel palazzo fatto erigere
proprio in quegli anni nel Largo Antignano (al numero
16) dirimpetto alla Villa Pontaniana (di lì a poco
Palazzo de Simone), il quale sarebbe rimasto in possesso
della famiglia sino ai primi del XX sec., seppur avendo
subito notevoli ampliamenti nel 1840.
Nel
detto villaggio altri palazzi (Strada Vomero s.n.c.,
Strada Antignano
s.n.c.,
Largo Antignano
s.n.c.,
poi 11, Vico Antignano n. 4), di dimensioni altrettanto
significative, ma di minor pregio archittettonico,
entrarono in possesso della famiglia a partire dalla
fine del sec. XVIII. Fatto salvo quello facente parte
dell'edificio del Dazio, i detti casamenti furono
affidati alla gestione della consorte di don Antonio,
donna Maria Rosa Zoppoli
(9),
che ne fittava i bassi e le botteghe, le camere singole,
gli appartamenti ed interi piani a figure di ogni
estrazione sociale secondo le diverse facoltà
(10). |

Descrizione, tratta dal
Catasto Provvisorio del 1809, degli immobili affidati a
donna Maria Rosa Zoppoli, con
indicazione del numero dei membri (vani), di porte,
finestre ed accessori carrozzabili, nonchè di eventuali
annessi,
come bassi e botteghe, nonchè di eventuali appartamenti
(camere) o interi piani divisi. |
Prima della fine del secolo la principale residenza
cittadina di famiglia fu portata dal palazzo di Chiaia,
rimasto in possesso di don Paolo e di sua figlia
poi, a nuove abitazioni site nel quartiere di
Montecalvario e, più precisamente, nel palazzo di Strada
Toledo n.1, nel piano nobile del palazzo di Strada
Pignasecca n.1
(11), e
nell'adiacente palazzo, situato in Strada Pignasecca
n.2.
Fu
proprio il piano terreno del palazzo di Strada Toledo
che don Antonio adibì a magazzino di negoziato
per lo stipaggio delle merci che la sua attività
commerciale, intrapresa intorno al 1805, gli imponeva di
trattare. Tale impresa, basata sul commercio di generi
diversi in quantitativi consistenti, mai al minuto, con
una predilezione per la tratta di tessuti pregiati, si
sviluppò rapidamente, portando non solo guadagni
significativi, quantificabili in migliaia di ducati
l'anno, ma anche ponendo alle dipendenze di don
Antonio tutta una serie di figure professionali,
dagli impiegati di varia sorta, coordinati dal cassiere
Raffaele Davino
(12), ai
numerosi fornitori dei beni acquistati e venduti per
profitto.
Negli
anni successivi, intorno al 1810, nel Casale di
Antignano, ove la famiglia maturava, come già detto
significativi interessi fondiari, l'Architetto di Casa
Reale don Antonio de Simone acquistò dai nobili
Ossorio
Calà, marchesi di Villanova, la Masseria
Pontaniana
(13)
(Largo Antignano, n.10) ed i territori ad essa
pertinenti, all'interno dei quali figurava una piccola
cappella, risalente al 1707, sorta nel luogo ove sarebbe
avvenuto, per la prima volta il miracolo della
liquefazione del sangue di San Gennaro. Poco dopo don
Antonio Vacchiano prese in fitto alcuni appartamenti
all'interno del complesso dei de Simone, giungendo, più
tardi, ad acquistare anche parte dei terreni ad esso
pertinenti, ove sorgeva la summenzionata cappella di San
Gennaro, in seguito rammentata come Cappella Vacchiano
(14). |

© Napoli - Ingresso ex Masseria Pontaniana |

© Napoli - Villa Rosalba |
La residenza estiva di Giovanni Pontano
(1426 † 1503), segretario di Ferrante I e Alfonso II
d'Aragona, fu edificata ad Antignano nel
1472 circa. La proprietà si estendeva verso i Camaldoli
ed era circondata da giardini ed orti dove il Poeta si
rifugiava per comporre versi; qui scrisse l'opera più
celebre: il dialogo "Asinus". Due lapidi poste
all'ingresso ci ricordano che la villa fu acquistata nel
1626 da don Pedro Ossorio de Figueroa; nel 1810 passò ad
Antonio de Simone, consigliere e architetto di
Ferdinando I di Borbone.
Di villa Pontaniana, il cui ingresso fu inglobato in un
edificio del 1818, non rimane nulla, ad eccezione degli
archi abbassati
tipici del periodo aragonese; degli orti rimane una
piccola traccia all'interno di villa Rosalba. |
 |
A cavallo tra il 1820 ed il 1821 don Antonio, con
i suoi due figli don Raffaele, nato nel 1794 nel
palazzo di Strada Toledo n.1, e don Giuseppe Maria,
nato nel 1796 nell'appartamento di Strada Pignasecca
n.1, con i quali, nel frattempo, aveva diviso le ingenti
proprietà fondiarie ed immobiliari, risultò implicato,
per cospicue somme
(15),nel
grande imprestito nazionale di tre milioni di ducati,
una manovra finanziaria consistente nella vendita
forzosa di azioni del valore di 20 ducati, ciascuna a
ragione di un interesse annuo del 6%, imposta alle
classi sociali più abbienti del Regno (proprietari
terrieri, ecclesiastici, grossi commercianti, impiegati
e funzionari della corona oltre un certo soldo, titolari
di benefici ecclesiastici).
Alla morte di don Antonio Vacchiano, avvenuta nel
Gennaio del 1823, i suoi eredi subentrarono nella
gestione, oltre che degli interessi immobiliari e
fondiari, dell'attività commerciale paterna: don
RAFFAELE VACCHIANO (1794
†
1873), per quanto avesse ottenuto il dottorato in legge,
alla professione legale preferì rilevare i magazzini di
strada Toledo n.1, proseguendo con successo l'impresa
economica intrapresa dal padre sino al 1834, quando si
ritirò dagli affari per vivere delle sue rendite e di
saltuari prestiti di denaro ad interesse; don
GIUSEPPE VACCHIANO (1796
†
1880), al contrario, acquistò nuovi magazzini, siti a
strada Toledo n.167, continuando ad esercitare la
remunerativa attività commerciale, senza interruzioni,
sino al 1846 e, saltuariamente, di lì in poi.
Il mentovato don Raffaele, dopo le sue nozze con
donna Maria Raffaella Cerino, appartenente a famiglia di
recente, ma significativamente cospicua, ricchezza,
domiciliò, per molti anni, alternativamente o nel suo
palazzo di Strada Pignasecca n.2 o nella residenza di
campagna ad Antignano. Solo a partire dal 1840 si
stabilì definitivamente, con il suo intero nucleo
familiare (ben 14 figli), sul colle antignaneo,
premurandosi di far ampliare il palazzo di Largo
Antignano, n.16, così da adibirlo non più a residenza
estiva, ma ad abitazione stabile.
I lavori, affidati al maggior partitario fabricatore
della zona, il maestro muratore Mattia d'Errico,
proseguirono non senza ostacoli, i più eclatanti dei
quali furono degli errori nel posizionamenti della
copertura dei tetti, con conseguente danneggiamento per
infiltrazione delle acque piovane, per i quali la
proprietà mosse causa al d'Errico, ottenendone
risarcimento.
|
.gif)
Pianta
(16)
di quella piccola parte dell'ultimo piano del
palazzo Vacchiano ad Antignano sulla quale verteva
la causa col d'Errico; datata 20 Settembre 1841. |
Negli anni immediatamente
successivi don Raffaele si avvicinò a circoli
intellettuali di impronta liberale, cui appartenevano
quei movimenti di aspirazione costituzionale che
portarono ai moti del 1848; strinse, in particolare,
familiarità col napoletano don Gaetano Centomani
(17), marchese di Macchiagodena,
noto liberale del circolo di Francesco Fortini
(18), in arresto, nel 1851, per
detenzione di armi e "libri scritti, e lettere, per
eccitare il malcontento, contenenti principi liberali e
massime sovversive contro il governo".
Da rilevare che don
Raffaele aveva ottenuto, nel 1820, l'ammissione
tra i signori fratelli ascritti dell'Augustissima
Arciconfraternita della SS. Trinità
del Reale Albergo dei Pellegrini e dei Convalescenti.
Il fratello minore di don Raffaele, don Giuseppe
Vacchiano, immediatamente dopo le sue nozze con donna
Elisabetta
de' Dominicis
(19),
figlia di un collega del suo avo don Giuseppe
(1738 †
1799), lasciò le case del padre per stabilirsi negli
appartamenti, ottenuti in dote, nel palazzo monumentale
dei principi Spinelli di Tarsia, ove dimorò per la
decade successiva. |

Palazzo Spinelli di Tarsia |
In
seguito cambiò spesso la sua dimora, risiedendo in vari
palazzi tra i quartieri Avvocata e Montecalvario (Vico
Spezzano n.9, Vico Pontecorvo n.8),
per poi stabilirsi, con i tre figli, nel palazzo di
Vico Freddo alla Pignasecca n.5.
Da don Giuseppe discende, parallelamente al ramo
legittimo di cui si tratterà più avanti, un ramo
illegittimo procreato con una domestica, di nome
Serafina Esposito, dalla quale nacquero donna
FRANCESCA VACCHIANO (1819 †
1898), generata prima del matrimonio con donna
Elisabetta de Dominicis, e don VINCENZO VACCHIANO
(1823
†
1890); costoro furono legittimati solo nel 1837, ottenendo,
così, il cambio di cognome da Esposito a Vacchiano.
Il padre, pur non volendo figurare in nessun atto
riguardante i due figli illegittimi, comprò loro un
palazzo (Vico Pontecorvo, n.10) ed assicurò ad entrambi
una rendita dignitosissima; al maschio, inoltre,
arrangiò un matrimonio con donna Maria Raffaella Cerbino,
figlia di don Innocenzo, uno dei principali notai della
Napoli dell'epoca, Consigliere e poi Presidente della
Camera notarile di Napoli, e di donna Carmela
Grimaldi, di nobile famiglia solofrana. Da
questa unione, attraverso don SALVATORE VACCHIANO
(1847
†
1896), Proprietario e Capo d'Uffizio di 2^ classe
dell'Amministrazione Telegrafica,
pensatore liberale vicino al conte Giuseppe Napoleone
Ricciardi, tra i sostenitori dell'Anticoncilio
napoletano del 1869,
coniugato con donna Emilia Ruggi, discende il ramo
barese della famiglia. Altro figlio di don Vincenzo, don
ALFONSO VACCHIANO (1862
†
1930), fu ufficiale militare con il grado di Capitano.
Del ramo, ormai antignaneo, della famiglia, si
rammentano i discendenti di don Raffaele
Vacchiano, dei quali, pur avendo il padre generato
numerosissimi figli, pochi gli sopravvissero e di questi
solo due furono maschi.
Il primogenito Rev. Don ANTONIO MARIA VACCHIANO
(1829
†
1900), intraprese la carriera ecclesiastica, venendo
ordinato Sacerdote nel 1850, per poi operare,
principalmente,
nella Parrocchia di S. Maria del Soccorso all'Arenella,
ove fu Rettore di svariate Chiese, come S. Maria di
Costantinopoli ad Antignano e la già nominata Cappella
Vacchiano; è rammentato come
sostenitore della dottrina dell'infallibilità
ex cathedra del Pontefice,
dibattuta in quegli anni.
Il secondogenito Cav. Don FRANCESCO MARIA
VACCHIANO (1831 †
1908), cospicuo proprietario, in seguito agli studi in
legge che lo portarono al dottorato, ottenne dal Sovrano
un ufficio nell'Intendenza Generale del Regio Esercito,
per poi essere ammesso, nel 1861, alla nuova Intendenza
Militare italiana, venendo promosso, l'anno successivo,
a Sotto-Commissario di Guerra, finendo per passare, nel
1867, al Corpo di Militare col grado di Tenente
Commissario, che tenne sino al congedo, con l'onore
dell'uniforme, nel 1891.
Anch'egli, come suo padre prima di lui, fu vicino ad
ambienti politici di ispirazioni liberali, figurando
come Consigliere dell'Associazione Liberale della
Sezione Avvocata alla sua fondazione nel 1889, sotto la
presidenza del comm. Enrico Dini.

Elenco degli elettori componenti la detta
Associazione
(19 bis)
Liberale della sezione Avvocata.
Nel 1860 contrasse matrimonio con donna Maria Francesca
Centomani
(20),
figlia del già menzionato Marchese di Macchiagodena,
Santa Lucia, Sant'Angelo in Grotte e Bottone, don
Gaetano Centomani e della Marchesa donna Teresa Morcaldi,
patrizia di Salerno e Cosenza.
In occasione delle nozze, già progettate con lo stesso
Marchese Centomani, essendo costui deceduto prima di
prestare il consenso alla figlia, don Francesco
Vacchiano fu sottoposto al giudizio di un Consiglio di
famiglia
(21)
costituito, per il ramo paterno, dal Marchese Carlo
Centomani, da don Giuseppe Centomani, fratelli della
sposa, e da don Francesco Guarino, tutore della sposa,
mentre, per il ramo materno, convennero gli zii della
fanciulla mons. don Francesco Tagliavia d'Aragona
(22),
don Gennaro Tagliavia d'Aragona ed il Marchese don
Emanuele Tagliavia d'Aragona, tutore surrogato della
sposa, i quali giudicarono il matrimonio non poter
risultare che "di gran vantaggio per la minore",
dal momento che don Francesco Vacchiano
"oltre che di essere proprietario e di trovarsi in
servizio di un impiego decoroso, va di ottime qualità
morali fregiato ed adorno".
Da questa unione, attraverso il sig. RAFFAELE
VACCHIANO (1866 †
1922), sposato con la Sig.ra Ersilia Coseglia
(23),
discendono rami attualmente esistenti della famiglia
Vacchiano; fra gli appartenenti a detto ramo si
rammentano, in particolare, due dei nipoti del mentovato
Raffaele: il primo, omonimo del nonno (1924
†
1985), prese parte al secondo conflitto mondiale, anche
come partigiano, per poi proseguire la carriera militare
sino al grado di Tenente Colonnello; il secondo, il sig.
BRUNO VACCHIANO (1933
†
1994), fu pittore, più volte premiato, e professore
all'Accademia di Belle Arti di Napoli.
Negli anni coevi al matrimonio di don Francesco
Vacchiano, nel palazzo cittadino di Vico Freddo alla
Pignasecca n. 5, fiorivano i discendenti del sopra
citato don Giuseppe, don Alfonso Vacchiano, nato
nel 1828, da donna Elisabetta de Dominicis, e don Gennaro Vacchiano, nato,
dalla stessa, nel 1831.
Il maggiore, don ALFONSO VACCHIANO (1828
†
1912),
compì gli studi in legge presso l'Ateneo napoletano, ove
ottenne il dottorato, per poi divenire Avvocato nel Foro
di Napoli, professione che avrebbe esercitato con
successo sino al 1904
(24),
salvo un breve periodo (1860
-
1864) in cui ricoprì un ufficio nella Direzione Generale
dei Dazi Indiretti; collaborò, negli anni '60 del XIX
sec., con l'avvocato don Oronzo de Mita, più tardi
Consigliere Municipale di Napoli (assieme con, tra gli
altri, il Cav. Achille Nardi, cugino della cognata di
don Alfonso) e Deputato nel Parlamento del Regno.
La
firma di don Alfonso figura fra quelle apposte, nel
giugno del 1862, dai maggiori esponenti del ceto degli
avvocati e patrocinatori del Foro di Napoli ad un
documento di protesta contro le rimostranze di alcuni "borbonici"
o "mezzo-borbonici", che, in occasione della riforma
circa la legge sul Registro e Bollo, avevano scatenato
moti e tafferugli a Castel Capuano e presso svariate
Sezioni del Tribunale Circondariale, nonchè minacciato,
per via anonima, numerosi avvocati e magistrati,
diffidandoli dal presentarsi in Tribunale.
Don Alfonso prese in moglie, una volta ottenuta
dispensa papale, la cugina donna Maria Cristina
Vacchiano, di don Raffaele, trasferendosi, dopo il
matrimonio, nel palazzo di Antignano.
Il secondogenito, don GENNARO VACCHIANO (1831
†
1903), cospicuo proprietario, compiuti i medesimi studi
del fratello ed ottenuto anch'egli il dottorato, non
esercitò mai la professione legale, vivendo piuttosto di
rendita, con saltuari investimenti in attività
commerciali, per lo più concetrati intorno al biennio
1862-1863. Nel 1865 spostò la sua dimora in un
palazzetto situato in Vico Sant'Anna de' Lombardi, n.10,
ove visse sino alla morte.
Nel 1858
prese in moglie donna Marianna Nardi
(25),
dall'unione con la quale discende un ramo tuttora
esistente della famiglia; di tale ramificazione si
rammentano il sig. GIUSEPPE VACCHIANO (1865 †
1929),
imprenditore, titolare di una ditta di forniture
militari, e direttore di alcune riviste di cultura musicale e
teatrale, l'ufficiale della Regia Marina, sig.
ARMANDO VACCHIANO (1905 †
1941), morto in combattimento durante la Seconda Guerra
Mondiale, ed il cav. GIUSEPPE VACCHIANO (1912 †
1997),
impiegato nelle Ferrovie dello Stato.
|
Tra i sec. XVII e XVIII
alcuni membri della casata presero dimora a Papasidero
(CS), in
Calabria Citeriore, probabilmente in seguito al
matrimonio di donna ORSOLA VACCHIANO con un
membro della casata papasiderese dei Paolino (tuttavia,
secondo altri, il marito apparteneva alla casata
Giampaolino di Camposano).
|
.gif)
Papasidero (Cosenza)
© Foto di proprietà del Dr. Giuseppe Pizzuti |
Di questo ramo, da sempre
depositario di una cospicua distinzione, si rammentano
principalmente, nel sec. XIX, un don DOMENICO
VACCHIANO, ricco possidente, rimasto celebre per le
laute donazioni che versò all'Ospedale degli infermi di
Papasidero.
Nel corso del sec. XX ERMINIO
VACCHIANO fu Tenente di complemento di fanteria e SIRCORE
VACCHIANO, già Giudice conciliatore di Papasidero, venne
nominato Cavaliere Ufficiale dell'Ordine della Corona d'
Italia.
Dal 1816 tale ramificazione
stabilì la sua dimora a Palazzo Vacchiano (Via Pozzo,
oggi Via Dante), tuttora in possesso della famiglia.
|

Arma Vacchiano di Spagna
|
A metà del sec. XIX, i
membri del casato trasferitisi in Spagna, stabilirono la
loro dimora ad Úbeda, presso Jaèn, dove si unirono con
molte delle famiglie locali (in particolare con i Vargas
ed i Tejada, appartenenti all' antica aristocrazia sivigliana,
ed anche i Marìn, i Bonillo, i Cardenas ed i Caballero).
Molti sono rammentati per la
loro munificenza: don HIPOLITO VACCHIANO, già
membro della Confraternita de Nuestro Padre Jesùs
Nazareno de las Aguas, che finanziò interamente la
processione del Venerdì Santo del 1897, e don JOSÈ
VACCHIANO, che, grazie alle sue doti di artista,
fabbricò una lanterna processionale d'oro e ne fece dono
alla locale Confraternita del Rosario.
Si rammentano anche le
azioni di don ALFONSO (o Ildefonso) VACHIANO
VARGAS, già Parroco di Villanueva de la Reina (nei
pressi di Úbeda), caduto, nel 1937, durante la Guerra
Civile spagnola, mentre combatteva in difesa sia della
popolazione locale, sia della sua Fede, venendo
ricordato come un eroe ed un martire.
Questo ramo si distinse
particolarmente anche in ambito ecclesiastico, con don CIRO
VACCHIANO, don FRANCISCO VACCHIANO e l' ill.mo
sig. don HIPOLITO VACCHIANO GARCÌA, Canonici
della Cattedrale di Madrid.
In particolare quest'
ultimo, già Notaio Ecclesiastico e Segretario personale
del Vescovo di Madrid-Alcalà, ottenne, nel 1948, la
nomina Commendatore dell'Ordine di Alfonso X il Saggio,
per le sue "extraordinarias dotes de educador", in
quanto Fondatore e Presidente dell'Istituto di
Sant'Isidoro per l' educazione ed il sostentamento degli
orfani. |
___________________
Fonti bibliografiche:
"Atti, fatti e notizie su
Cicciano e la sua gente", di Francesco M. Petillo,
Associazione Pro Loco di Cicciano;
"Il Decurionato di Cicciano (dal 1806 al 1861)", di
Francesco M. Petillo e Luca De Riggi, Associazione Pro
Loco di Cicciano ;
"La Commenda di Cicciano nel 1515", di Domenico
Capolongo, Associazione Pro Loco di Cicciano;
"La Commenda di Cicciano nel 1582", di Domenico
Capolongo e Luca De Riggi, Associazione Pro Loco di
Cicciano;
"La Commenda di Cicciano nel 1617", di Domenico
Capolongo, Associazione Pro Loco di Cicciano;
"La Commenda di Cicciano nel 1733", di Domenico
Capolongo e Luca De Riggi, Associazione Pro Loco di
Cicciano;
"Auf dem Weg zur Industrialisierung", di Hermann
Kellenbenz e Jürgen Schneider;
"La Calabria dalle riforme alla restarazione:
Comunicazioni", Società Editrice Meridionale;
"La storia assente: territorio, comunità, poteri locali
nella Calabria nord-occidentale", di Saverio Napolitano;
"Napoli", Electa Napoli;
"Naples, sès monuments et sès curiositès", di Stanislas
d' Aloe;
"ABC Madrid: Hemeroteca";
"Repertorio de blasones de la comunidad hispánica", di
Vicente de Cadenas y Vicent;
"Collezione delle leggi e de' decreti reali del regno
delle Due Sicilie";
"Croniche del Convento di S. Domenico in Soriano", di
Antonino Lembo;
"Le assemblee del Risorgimento, Vol. 11, Camera dei
Deputati;
"Disceptationes ecclesiasticae una cum resolutionibus",
di Domenico Ursaya;
"La legislazione italiana", parte I, di M. Fragali, E.
Pizzi;
"L'Anticoncilio di Napoli del 1869. L'elenco delle
Associazioni e dei singoli partecipanti";
"Caduti della Guerra Civile Spagnola nella provincia di
Jaèn";
"Historia de la persecuciòn religiosa en Espana
(1936-1939)", di Antonio Montero Moreno, 1961;
"Gazzette ufficiali del Regno d'Italia", 1860-1946;
"Eroi dell' Università Castrense", su
www.eroiuniversitacastrense.info;
"I prelati del pontificio santurio di Pompei dal 1890 al
2012", di A. Ferrara e A. Casale;
"La Basilica di San Gennaro al Vomero", di Antonio La
Gala;
"Elenco dei confratelli della SS. Trinità", di Nicola
Maria Milano;
"Principi di scienze sociali applicati al benessere di
uno Stato", di Annibale Giordano;
"Elenco generale degli azionisti del Banco di Napoli";
"L'Archivio Storico Diocesano di Napoli", di Giuseppe
Galasso, Carla Russo;
"Della Sicilia Nobile, Elenco dei Governatori del Monte
di Pietà e della Tavola di Palermo", di Francesco Maria
Emanuele;
"Carellata notarile", di Benedetto Carderi;
"Atti dello Stato Civile", Archivio di Stato di Napoli.
"Archivio Storico Diocesano di Nola, Fascicolo di
Cicciano".
"Tribunale
di Napoli, Tribunale Civile, Perizie, cont. 15171, un.
94, anno 1843"
"Tribunale di Napoli, Tribunale Civile, Perizie, cont.13315,
un. 24, anno 1841" |
_______________________
Note:
1)
Blasone
tratto dallo stemma monocromatico posto sul soffitto
dell’androne di Palazzo Vacchiano, Cicciano (NA);
2) Blasone tratto da uno Stemmario
anonimo del sec. XVII, detto del Volpicelli, conservato presso
la Biblioteca Nazionale di Napoli, con collocazione XVII.25;
3) Blasone tratto da "Insegne
ovvero Stemme delle famiglie italiane", di Gaetano Montefuscoli,
uno stemmario del 1780, conservato presso la Biblioteca
Universitaria di Napoli, con collocazione MSS.121;
4) Blasone tratto dal "Repertorio
de blasones de la comunidad hispánica", dell’ultimo Cronista Rey
de Armas di Spagna, Vicente de Cadenas y Vicent.
5) Archivio di Stato di
Napoli, Rei di Stato, b. 356, fasc. 1, f. 25 v.
6)
Trattasi di una tipologia di terreno,
originariamente paludoso, adibito ad orto, per lo più per la
coltura di pomodori, nei mesi caldi, e di cavolfiore, nei mesi
freddi; estremamente fertile e redditizio, presentava un costo
di acquisto proibitivo, talvolta anche di 4-5 volte superiore al
prezzo di un comune terreno seminatorio. Ad oriente di Napoli
,sin dal primo sec. XVIII, si estendevano le cosiddette "Paduli",
una vastissima distesa, bagnata dal fiume Sebeto, coltivata ad
orto e frazionata in appezzamenti spesso minuscoli (non
superiori all'ettaro) per via dell'elevato prezzo di acquisto a
cui si è già fatto riferimento.
7)
ASNA, Tribunale di Napoli. Tribunale civile. Perizie -
Inventario dei documenti iconografici 1809 - 1862, contenitore
15171, unità cartografica 94.
8)
Archivio di Stato di Napoli,
Tribunale di Napoli. Tribunale civile delle Perizie, b 190, f.lo
25318, csn.
9)
Di
famiglia onorata nell'esercizio delle professioni legali,
originaria di Benevento, nacque dal magn. don Saverio, notaio e
proprietario dell'Ufficio di Mastrodattia della Ruota Civile
della Gran Corte della Vicaria.
10)
Pur essendo tutt'altro che raro incontrare, tra
gli atti dello Stato Civile di quegli anni, la dicitura "case di
Zoppoli" apposta all'indirizzo dei soggetti più svariati, si
rammentano i più rimarchevoli: il
piano nobile della casa di Vico Antignano era
in affitto agli Orlando, cospicua famiglia proprietaria
della zona; un appartameno nel Largo
Antignano in fitto a don Francesco Pastena, Ricevitore doganale,
appartenente ad altra notabile
famiglia della zona, proprietari della Masseria Pastena,
confinante con la Masseria
Vacchiano; altro appartamento nel Largo Antignano risulta, più
tardi in locazione al barone don Giacomo Dolce, di Palermo,
Controloro dell'Ospedale Militare della Cava.
11)
Inizialmente in fitto dal Monastero di San Liborio alla Carità,
proprietario dell'immobile, in seguito (1796) acquistato.
12)
Costui fu, verosimilmente, il primo impiegato assunto da don
Antonio, avendo iniziato come semplice "giovine di negoziante"
nel 1806, facendo poi carriera sino alla posizione di cassiere,
ottenuta, con ogni probabilità, tra il 1810 ed 1815.
13)
Eretta nel sec. XV dal celeberrimo
Giovanni Pontano, Ministro del Re Ferrante d’Aragona,
appartenne poi ai mentovati Ossorio Calà che
la vendettero, fatiscente, al de Simone che la riportò a nuovi
fasti, ristrutturandola completamente. Il complesso
rimase a lungo proprietà
degli stessi de Simone,
tanto da giungere ad essere comunemente
appellato "Palazzo de Simone". Nel
corso dei secoli si avvicendarono vari affittuari,
tra i più degni di nota Antonio Pignatelli dei Principi
di Monteroduni, nonchè il suo figlioccio Francesco Palomba,
futuro Marchese di Villanova maritali nomine, in seguito al
matrimonio con Rosalba Ossorio y Calà,
proprietaria ed eponima della vicina
Villa Rosalba.
14)
Costruita
nel 1707, per volere degli Ossorio Calà,
duchi di Diano, all’epoca proprietari del luogo, in sostituzione
di un’edicola votiva di epoca medioevale, posta
a commemorazione del miracolo,
nel 1857 fu venduta al Re Ferdinando II, che iniziò i lavori per
la costruzione di una basilica sul modello di quella di S.
Francesco di Paola, interrotta la costruzione con l'invasione
piemontese, nel 1860 la cappella fu dichiarata monumento
nazionale, per poi essere, nonostante ciò, abbattuta nel 1897.
Presso l'Archivio notarile distrettuale di Napoli
è depositata una descrizione della cappella, risalente al 1823,
che la descrive come ad aula unica con volta a botte, illuminata
da un finestrino ovale con cancello di ferro posto al di sopra
del vano d’ingresso; all’interno c’erano un altare di marmo
colorato, un’acquasantiera di marmo e due vani adibiti a
sacrestia e a vestibolo di collegamento con la masseria. Il
piano superiore era costituito da una loggia con volta a
scodella con affaccio verso i campi coltivati (da "Napoli guida:
percorsi sacri tra Vomero ed Arenella", di Dante Caporali).
15)
Dalle pubblicazioni sul Giornale delle Due
Sicilie e dagli atti ripubblicati su "Le Assemblee del
Risorgimento: atti raccolti per deliberazione della Camera dei
Deputati", 1911, sono deducibili le esatte somme versate dai
nostri: don Antonio Vacchiano pagò 130 ducati in qualità di
proprietario, 60 ducati in qualità di negoziante e 5 ducati in
qualità di titolare di un beneficio ecclesiatico; donna Rosa
Zoppoli pagò 10 ducati in qualità di proprietaria; don Raffaele
e don Giuseppe Vacchiano pagarono 200 ducati ciascuno in qualità
di proprietari. Da "Il diario del Parlamento Nazionale delle Due
Sicilie per gli anni 1820 e 1821" è possibile apprendere quali
fossero le percentuali delle rendite fondiarie imponibili da cui
si deduceva quanto ogni proprietario dovesse pagare (cit. "che
si fosse obbligato a versare un decimo della rendita colui, che
possedesse una rendita imponibile da 60, a 300 ducati; due
decimi chi ne possedesse da 301 a 1000" etc.); calcolata, dunque,
in base a detti dati, la totalità delle rendite della famiglia
in 2750 ducati, si scopre come essa si sia mantenuta, più o meno,
stabile rispetto alle rendite dell'inizio del secolo (ca. 2800
ducati).
16)
ASNA,
Tribunale di Napoli. Tribunale civile. Perizie -
Inventario dei documenti iconografici 1809 - 1862,
contenitore 13315,
unità
cartografica 24.
17)
Si rimanda a "Molise 1848: cronaca, personaggi e documenti" di
Sergio Bucci, nonchè alla nota sulla famiglia Centomani in
occasione dell'unione tra don Francesco Vacchiano e donna
Francesca Centomani.
18)
Noto capo della fazione liberale molisana (ove si travavano gli
ex-feudi dei Centomani), salito ad una certa prominenza durante
l'invasione piemontese del 1860.
19)
La nobile famiglia de Dominicis, nel suo ramo
napoletano, si rese illustre ed onorata, sin dal sec. XVIII,
nell’esercizio della professione medica. Si rammentano, a tal
proposito, il dott. don Luigi de Dominicis (1718 -1784), prozio
di donna Elisabetta, che, dottor fisico e chirurgo di chiara
fama, fu, dal 1750 al 1783, aggiunto alla cattedra di Anatomia
patologica e descrittiva dell'Ateneo napoletano (di cui,
all'epoca era titolare il celeberrimo dott. Cotugno, del quale
don Luigi fu assistente), nonchè Preparatore ed Incisore
anatomico presso la medesima cattedra, e Curatore del Gabinetto
e Teatro Anatomico dell'Ateneo, il dott. don Gennaro de
Dominicis (1720 - 1791), fratello di don Luigi, il cui figlio,
dott. don Vincenzo de Dominicis (1740 - 1820), padre di donna
Elisabetta, fu medico e chirurgo di eccelsa reputazione, vicino
al Cotugno, ed operò nei principali ospedali di Napoli. Il
primogento di detto don Vincenzo, dott. don Gennaro de Dominicis
(1779 - 1819), anch’egli dottor fisico e chirurgo, stimato tra i
più capaci nell’ambiente napoletano, distinto per educazione e
talenti, morì prematuramente a seguito di un incidente in
carrozza.
Tra i fratelli minori di costui si rammentano don Nicola de
Dominicis (1795 - 1876), Tenente nei Dazi Indiretti, ed il dott.
don Apsremo de Dominicis (1786 - 1863), il quale intraprese gli
studi legali, ottenendo il dottorato, e, dopo un’onorata
carriera come Avvocato e Patrocinatore, fu appuntato Regio
Giudice Circondariale. Costui prese per moglie, in prime nozze,
donna Maria Irolla, figlia di un cospicuo negoziante, e, alla
morte di costei, impalmò donna Maria Giuseppa Paolini, figlia
dell’avvocato don Moderato, nobile di Sulmona, più volte eletto
e deputato del Seggio del Popolo a Napoli.
Da don Aspremo discese il dott. don Moderato de Dominicis (1826
- 1869), dottore in legge ed avvocato, noto per le sue idee
liberali e costituzionaliste, il quale prese parte, a Napoli, ai
moti del 1848 (è rammentato per aver innalzato il “lauro della
vittoria” sulle barricate di strada Toledo). L’anno successivo
combattè tra le fila dell’esercito della Repubblica Romana in
qualità di ufficiale, venendo costretto, poco più tardi,
all’esilio in Egitto, durante il quale fu autore di una discreta
produzione letteraria.
Tra i fratelli di don Moderato si rammenta, in particolare, il
Cav. Gaetano de Dominicis (1814 - 1896), anch’egli dottore in
legge ed avvocato, il quale intraprese, nel 1862, la carriera
nella Magistratura del Regno d’Italia, giungendo a presiedere i
Tribunali civili e correzionali d’Ivrea, Lucca, Massa, e Pisa,
per poi divenire Consigliere di Corte d’Appello a Torino, nel
1873; fu insignito del cavalierato degli ordini della Corona
d’Italia (1862), e dei Santi Maurizio e Lazzaro (1869). Tra i
numerosi figli di don Gaetano si annovera il Cav. Avv. Emilio de
Dominicis, Direttore Capo di sezione di 1^ classe del Ministero
della Guerra, il Cav. Ernesto de Dominicis (1843 - 1910),
dottore in ingegneria, e la Baronessa Filomena de Dominicis
(1847 - 1930), la quale prese in moglie, a Torino, il colonnello
Ignazio Federico Ferrero, Barone di Graglia; da uno dei rami
scaturiti da questa unione, discese Raul Ferrero Rebagliati,
Primo Ministro del Perù. Alla morte del barone Ferrero, Filomena
sposò il Tenente Generale Alfredo Sterpone, dal quale non ebbe
figli.
19 bis)
Scopo
dell'associazione era "di provvedere efficacemente perchè i
concetti della libertà, onestà e capacità possano prevalere",
ed era "composta di elementi che, nell'ambito delle
istituzioni, rappresentino tutte le gradazioni politiche, e
comprendano la parte più reputata e specchiata della sezione
stessa". Immagine e testo virgolettato tratto dal Corriere
di Napoli del 20-21 Agosto 1889, conservato presso la Biblioteca
civica Pietro Acclavio, Taranto (Inventario: 20952 ; Segnatura:
Corriere Napoli 1889), presente sul sito
internetculturale.it.
20)
Famiglia di antica nobiltà generosa, nota sin dal tardo periodo
angioino, ebbe origine a Potenza, dove tenne, sin dal XV sec.,
il feudo di Revisco ed amministrò, per secoli, i beni dei
Loffredo, trasferì la sua dimora a Napoli nel sec. XVIII. Nicolò
Centomani fu Vescovo di Monopoli, nel XVIII sec.; Gaetano
Centomani, Avvocato ed Uditore di Rota, fu Ministro del Re alla
corte Papale ed Amministratore dell'Azienda Farnesiana; Ascanio
Centomani, fu tra i primi avvocati del Foro Napoletano; Nicola
Centomani, acquistò nel 1780 i feudi di Macchiagodena, Santa
Lucia, Sant'Angelo in Grotte e Bottone col titolo marchionale.
21)
Si rinvia alla trascrizione del Consiglio di
famiglia:
http://www.antenati.san.beniculturali.it/v/Archivio+di+Stato+di+Napoli/Stato+
civile+della+restaurazione/Avvocata/Matrimoni+processetti/01_09_1860-31_12_1860/004911997_00925.jpg.html?g2_imageViewsIndex=0
22)
Antichissima famiglia dell'alta nobiltà, di origine palermitana,
insignita, tra i tanti, dei titoli di Principe di Catelvetrano,
Duca di Terranova e Marchese d'Avola; il Marchese Emanuele
Tagliavia d'Aragona (bisnonno di donna Francesca Centomani)
provò, dinnanzi la Regia Camera della Sommaria, la sua
discendenza dalla Casa Reale d'Aragona e dalla Casa Reale ed
Imperiale di Svevia (Acta
Interpositionis decreti pro Ill.i Marchione de Tagliavia D.
Emanuele de Tagliavia d'Aragona cum domino fisco realis
patrimoni, ad oggi conservati nel fondo della Gran Corte della
Vicaria presso l'Archivio
di Stato di Napoli).
23)
La famiglia Coseglia fu una famiglia civile di
cospicua distinzione, proprietaria di un discreto novero di
fondi nei dintorni di Napoli e di un palazzo nel quartiere della
Vicaria (Borgo Sant'Antonio Abate, n.116), si distinse
nell'esercizio di importanti impieghi nelle Amministrazioni
della Corona e nel Banco di Napoli. Nel sec. XVIII si rammenta
don Giuseppe Coseglia (1715-1780), proprietario e funzionario
della Corona, il cui primogenito, don Domenico (1744-1830),
della medesima condizione, acquistò il mentovato palazzo a
Vicaria. Il secondogenito di don Domenico, don Luigi
(1778-1855), ricoprì un ufficio di rilievo nel Banco di Napoli,
finendo la sua carriera come Contatore della Cassa di Rame nel
Banco di San Giacomo, figura seconda al solo Governatore della
Cassa. Costui generò da donna Gelsomina Fumo, figlia del grande
orefice e gioielliere don Antonio, don Domenico Coseglia
(1825-1891), che, intrapresa una carriera al servizio
dell'Amministrazione Provinciale, divenne, nel 1872, Prefetto
d'Ordine nel Manicomio Provinciale di Santa Maria dell'Arco, a
Sant'Anastasia, sotto l'amministrazione dell'Ispettore Economo
Cav. Stefano Mazza, per poi subentrare a quest'ultimo l'anno
successivo, giungendo ad amministrare entrambi i manicomi della
Provincia (San Francesco di Sales, a Napoli, ed il già nominato
Santa Maria dell'Arco a Sant'Anastasia). Un impiego nelle
medesime strutture fu ricoperto anche dal figlio di don Domenico,
avuto con donna Brigida Siciliano, figlia del notaio don
Giuseppe, il sig. Giuseppe Coseglia (1847-1920), Ufficiale
d'ordine di 1^ classe nella detta Amministrazione, il quale fu,
anche, amministratore della rivista politica "L'Era novella" per
conto del Duca di San Donato. Da costui nacque, anche, la sig.ra
Amelia Coseglia, sorella della sunnominata Ersilia, che sposò il
Sig. Alfonso Maria Vacchiano (1873-1936), figlio di don Gennaro;
da tale unione discendono rami attualmente esistenti.
24)
Nella "Grande guida
commerciale storico-artistica scientifica amministrativa
statistica industriale e d'indirizzi di Napoli e provincia
compilati su dati ufficiali", di
Augusto Lo Gatto, per
l'anno 1904, si trova, tra i nomi di Avvocati e Patrocinatori,
la menzione di "Vacchiano Alfonso, Avv., Via Vomero per il Largo
Antignano, 16, Palazzo proprio".
25)
La notabile famiglia Nardi, ebbe la sua origine
in Napoli, ove, sin dal sec. XVII, i suoi membri, onorati
nell'esercizio delle professioni legali e di alti incarichi
nelle amministrazioni della Corona, godettero della nobiltà di
privilegio. Non minore la distinzione derivata dalle cospicue
proprietà terriere ed immobiliari, site in città e nei dintorni
di Napoli, in particolare tra Miano e Piscinola, nonchè nel
casale di Polvica. In particolare a Piscinola possedettero,
almeno dalla metà del sec. XVIII, un palazzo signorile (Strada
Capochianca), e diedero il loro nome ad una viuzza. Ai primi del
Settecento si incontra don Andrea Nardi (1693-1770), dottore in
legge, dai cui due figli maschi, don Gennaro e don Vincenzo,
discesero due rami distinti della famiglia. lI primogenito,
mag.co egr. don Gennaro Nardi (1728-1817), ricco proprietario,
esercitò la professione notarile, così come, in seguito, il di
lui figlio don Raffaele (1777-1842), dottore in legge e notaio,
il quale ricoprì, parallelamente all'attività notarile, un
ufficio di alto profilo nel Banco di Napoli. Detto don Raffaele,
dalla sua consorte donna Maria Domenica Aurisicchio (di nobile
famiglia originaria dell'amalfitano, ebbe per madre una Prota,
patrizia di Atrani ed Amalfi), ebbe numerosi figli, tra i quali
si rammentano: don Domenico (1799-1874), dottore in legge ed
avvocato, che fu Superiore della Reale Arciconfraternita dei
Nobili del SS. Rosario alla Sanità, don Vincenzo (1804-1886),
dottore in legge e direttore dell'Amministrazione Postale e don
Luigi Maria (1808-1884), dottore in legge e notaio (padre di
donna Marianna Nardi, moglie di don Gennaro Vacchiano). Da don
Vincenzo discese il Prof. Cav. Antonio Nardi (1835-1900),
farmacista e figura di un certo rilievo nella politica del
Municipio di Piscinola del tardo XIX secolo, vicino al potente
Deputato Aniello Alberto Casale. Dal mentovato don Vincenzo
(1733-1795), fratello del
mag.co don Gennaro, discese don Andrea (1775-1843), il quale
ricoprì importanti incarichi nelle amministrazioni militari del
Regno, prima a capo della sezione contabile della Regia Militare
e poi alla direzione dell'Ospedale Militare di Cava de' Tirreni.
Tra i figli di don Andrea si distinsero don Errico Nardi
(1813-1880), alto funzionario del Banco delle Due Sicilie, ed il
fratello don Leopoldo (1816-1887), dottore in medicina e
chirurgia. In particolare, tra i numerosi figli di don Errico,
accanto a Federico, Alberto e Cerlo, Ufficiali del Banco di
Napoli, ed Eugenio, dottore in legge ed avvocato, si distinse,
in particolar modo, il Cav. Uff. Comm. Achille Nardi
(1845-1919). Costui, laureatosi in legge, dimostrò un non comune
acume finanziario, più volte messo in luce a servizio di alti
impieghi nel Banco di Napoli, del cui Consiglio di
Amministrazione fu, più volte, Segretario Generale, per poi
ricoprire, dal 1884, l'incarico di Censore del Banco. Fu uno dei
fondatori e Direttore Generale della Banca di Anticipazioni e
Cassa di Risparmio di Napoli, tra i maggiori istituti bancari
dell'epoca, informalmente detto "Banca Nardi", presieduto dal
Principe di Torella; fu anche Presidente della Cassa Cooperativa
di Credito e di Previdenza per gli impiegati del Banco di
Napoli, e componente del Consiglio di Amministrazione della
Cassa di Risparmio per gli invalidi della Regia Marina.
Dedicatosi anche al giornalismo, assunse le direzioni de "Il
Pungolo", "Il Commercio" ed il "Don Marzio", testate di grande
importanza nel panorama dell'epoca, e divenne , anche,
Presidente del Circolo del Commercio e degli Interessi
Napoletani. Nel 1878 fece la sua discesa in politica, venendo
nominato Consigliere Municipale di Napoli, carica nella quale
sarebbe stato rieletto più volte sino al 1892; ricoprì anche,
più volte, le funzioni di Assessore, nonchè di facente funzione
di Sindaco di Napoli, tra il 1887 ed il 1888, succedendo
all'amministrazione del Principe di Ruffano. Durante la sua
permanenza nel Consiglio Municipale di Napoli, fu tra i
principali fautori dell'edificazione della Galleria Umberto I,
del cui comitato di inaugurazione, terminati i lavori, fu
Presidente. Ai primi del Novecento, ritiratosi dalla politica,
ricoprì gli incarichi di Ispettore Municipale delle Tasse e dei
Pubblici Servizi. Prese in moglie la figlia del celebre Comm.
Gennaro Marantonio, alto funzionario del Ministero della Guerra,
da cui ebbe numerosa prole.
Si fa presente che tale famiglia innalzò, nel corso del XIX
sec., stemma identico a quello dei nobili Nardi, patrizi di
Montalto Uffugo e Firenze, pur non intercorrendo alcun legame di
parentela tra le due famiglie. |
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