Famiglia Vacchiano


Ovvero delle Famiglie Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia

Famiglia Vacchiano

a cura di Simone Vacchiano

Armi:
Ramo di Cicciano: “di azzurro al leone rampante attraversato da una fascia caricata da tredici sfere poste in fascia 4, 4 e 5 ed accompagnato nel capo da due stelle di cinque raggi disposte una nel canton destro e l’altra nel canton sinistro del capo”(1)
Ramo di Napoli: “d’azzurro al grifo d’oro, rivoltato, passante su una campagna erbosa di verde e mirante una stella di sei raggi, pure d’oro, posta nel canton sinistro del capo”
(2)
Ramo di Napoli (alias): “d’azzurro alla vacca alata d’oro, rivoltata, passante su una campagna erbosa di verde e mirante una stella di otto raggi, pure d’oro, posta nel canton sinistro del capo”
(3)
Ramo di Spagna: “d’argento ai tre olmi sradicati al naturale, posti 1 e 2”(4)
Dimora:
Cicciano (NA), Napoli, Papasidero (CS), Spagna.


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Cicciano (NA), Palazzo Vacchiano, Stemma Vacchiano posto sul soffitto dell’androne.
Si ringrazia l'Avv. Prof. Nicola Pesacane per aver fornito l'immagine

La notabile famiglia Vacchiano, olim Vachiano, è un’antica casata originaria di Cicciano (NA), con memorie certe risalenti ai primi anni del sec. XV.
Ipoteticamente oriunda del Friuli, si stabilì nel Napoletano in seguito alla concessione, da parte dell’Ordine Gerosolimitano di San Giovanni,  di alcuni feudi piani nella baronia di Castel Cicciano, da tempo Commenda magistrale dell’ordine.
I primi membri della casata di cui si abbia memoria furono MARTINO VACHIANO, fiorito a metà del sec. XV, cospicuo possidente e suffeudatario (tenens) di innumerevoli beni feudali della Commenda di Cicciano, ed il suo cugino germano, SANTO VACHIANO, proprietario di pari prosperità.

Agli albori del sec. XVI  ADALIO VACHIANO, primogenito del summenzionato Martino, si distinse come uno dei più cospicui possidenti del luogo, tenens di svariati feudi piani, siti in più di dieci differenti località, nonché proprietario di una buona frazione del Castello, nel quale aveva eletto la sua dimora.
Non molto più tardi ANDREA VACHIANO commissionò la costruzione di un grandioso palazzo gentilizio, posto poco fuori le mura del castro (in località Li Marenda), il quale sarebbe divenuto la principale dimora della famiglia. Quasi al contempo, il fratello del suddetto, SEBASTIANO VACHIANO, fece erigere un altro palatium nella località Li Rosci, mentre un BERARDINO VACCHIANO entrò in possesso di una sontuosa casa palatiata.
Poco dopo, nel 1572, GIOVANNI ANGELO VACCHIANO ottenne dal Commendatore Fra’ Giovanni Giorgio Vercelli (1569-1575) l’ufficio di Balivo della Commenda gerosolimitana di Castel Cicciano, con il compito di amministrare la comunità e rendere esecutive le direttive del Commendatore. Costui figurò, lo stesso anno, tra i dignitari ciccianesi ricorsi all’intervento vicereale per porre fine ad un’aspra contesa sorta con la vicina città di Nola ed i casali di Cimitile, San Paolo e Saviano.
A quei tempi Cicciano era una terra in provincia di Terra del Lavoro, esente dalla giurisdizione del vescovado di Nola, ed apparteneva alla Religione di Malta. Del Castrum di Cicciano resta oggi solo il portale d'ingresso della fortezza e la restaurata chiesa di San Pietro. 


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Cicciano (NA) - l'ingresso della fortezza


© Cicciano (NA) - Chiesa di San Pietro

Dieci anni più tardi, il 2 maggio 1582, in occasione del bando della Gran Corte della Vicaria, che imponeva a chiunque fosse possidente di beni nella baronia di Castel Cicciano di "rivelarli, pubblicarli e darli in notamento", pena la perdita dei beni stessi, ben venti membri della famiglia, a testimonianza della prosperità del casato, vennero annotati con la formula “tenet bona redditia dictae Commendae”, identificativa dei suffeudatari (tenentes) della Commenda.
Nel medesimo periodo GIOVANNI VACCHIANO ottenne dal Commendatore Fra’ Vincenzo Carafa della Stadera la concessione in perpetuo di innumerevoli beni fondiari.

Nei primi anni del sec. XVII, il signum di GIORGIO VACCHIANO, Procuratore e Deputato di Castel Cicciano, figura tra quelli dei testimoni negli atti del Commendatore Fra’ Girolamo de Guevara.
Nel 1628 si incontra il magn.co GIOVANNI BATTISTA VACCHIANO, già celebre Notaio, nelle vesti di Mastro d’atti e Scrivano Generale della Curia Vescovile di Nola.
A metà del secolo il casato fu tenuto in gran considerazione dal Commendatore Fra’ Girolamo Branciforte, di nobilissima famiglia siciliana, al punto che il fratello di questi, Luigi Branciforte, Vescovo di Melfi, onorò l’ecclesiastico don GIULIO VACCHIANO con la carica di Prefetto Palatino del Vescovado melfitano; quest'ultimo tenne la stessa carica anche per la diocesi di Rapolla, all'epoca accorpata a quella melfitana. Insediatosi nei suoi uffici intorno al 1650, divenne ben presto membro del Capitolo della Cattedrale di Melfi, nell'ambito del quale fu spesso menzionato per aver ricoperto anche l'incarico di Giudice del Tribunale Diocesano. Nel 1654, chiamato a testimoniare dinnanzi al Vicario Apostolico, si fece strenuo difensore delle prerogative e delle spettanze del Vescovo rispetto alle rivendicazioni del Capitolo.
In virtù di tale riguardo si crede che alcuni membri della famiglia abbiano seguito i Branciforte a Palermo, tra i quali si distinse un ONOFRIO VACCHIANO, Governatore della Tavola Nummularia e del Monte di Pietà nel 1676, ed un FRANCESCO DOMENICO VACCHIANO, che ricoprì la medesima carica nel 1696 e nel 1697.


© Cicciano (NA) - Palazzo Vacchiano
Si ringrazia l'Avv. Prof. Nicola Pesacane per aver fornito l'immagine

Agli inizi del sec. XVIII il casato, che, già da tempo, aveva dato onorati amministratori all’Università di Castel Cicciano, fu illustrato da FELICE VACCHIANO, che, nominato Eletto nel 1706, ottenne di essere più volte riconfermato in carica “havendo in questo anno rettamente governato detta Università".
In seguito i Sigg. NICOLA VACCHIANO e FRANCESCO VACCHIANO figurano tra i dignatari riunitisi nella Chiesa di San Pietro, il 19 Febbraio 1715, assieme al Governatore Francesco Cananzio, per deliberare sull'elezione di San Barbato a "protettore e tutelare" di Castel Cicciano.
Nel 1733 il detto NICOLA ricoprì gli uffici di Procuratore e Deputato di Cicciano, gli stessi di cui fu insignito AGOSTINO VACCHIANO nel 1780.
Sul finire del secolo un altro NICOLA VACCHIANO ottenne dal Principe Giuseppe Caracciolo di Torella il possesso del latifondo delle Pastene, sito nel feudo di Gesualdo (terra in provincia di Principato Ultra), nonchè di molti dei diritti proibitivi burgensatici (taverna, Trappeto, etc.) presenti nel summensionato territorio, previo versamento annuale di un'ingente somma. Tuttavia tutti i detti beni, assieme con altri già in suo possesso, gli furono confiscati a seguito dei moti repubblicani del 1799, dei quali era stato accanito sostenitore
(5).
Nel 1806 il casato ottenne l’ascrizione al ceto decurionale, in quanto molti dei suoi membri presero parte al consiglio cittadino, tra questi si notino, in particolare, don BARBATO VACCHIANO, Decurione dal 1833 al 1844, e don VINCENZO VACCHIANO, Decurione dal 1856 al 1861.
Negli stessi anni fu ristrutturato Palazzo Vacchiano (Via Borgo Corpo di Cristo, 48), dimora del casato risalente alla metà del secolo XVI edificato dal citato Sebastiano Vacchiano (quartiere Li Rosci), tuttora in possesso della famiglia, ed, inoltre, furono acquisite le vaste proprietà latifondiarie del Vallone e di Boscofangone, rimaste proprietà della famiglia fino agli inizi del XX secolo.

In epoca più recente si distinsero il tenente colonnello d’artiglieria SAVERIO VACCHIANO, nominato Cavaliere Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia, e l’Arcivescovo DOMENICO VACCHIANO, già Vescovo di Cassano allo Jonio, poi Delegato Pontificio e Prelato di Pompei.
 

Ramo di Napoli


Una ramificazione del casato, nei primi anni del sec. XVII, trasferì la sua dimora nella capitale del Regno, Napoli.
Il capostipite di detto ramo fu il magn.co don PAOLO VACCHIANO, al quale la Regia Corte concesse, nel 1633, l’ufficio di Regio Partitario del Ferro nella città di Stilo, incarico che comportava, oltre alle lautissime rendite, una serie di benefici, quali l’esenzione dal pagamento delle tasse e dei dazi doganali, l’autorizzazione a portare armi, il diritto ad essere giudicati da una giuria di pari nella Regia Camera della Sommaria, ed altri vantaggi minori. Nella stessa occasione, così che potesse svolgere al meglio il suo servizio alla Corona, gli fu accordato il “reale e corporale possesso, il capitanato e l'amministrazione della giustizia delle ferriere e del casale di Pazzano”, ottenendo, dunque, di essere creato Capitano cum mero et mixto imperio della Terra di Pazzano, presso Stilo, dove erano situate le principali miniere di ferro del Regno. Costui portò a termine i suoi uffici nel 1644, anno in cui fece ritorno a Napoli.


© Arma Vacchiano di Napoli


© Variante stemma Vacchiano di Napoli

Trascorso un decennio si incontra il magn.co don JACOPO (o Giacomo) VACCHIANO, figlio del suddetto, che, investito anch’egli dalla Regia Corte delle cariche di Regio Partitario e Capitano della Terra di Pazzano, si insediò nel Palazzo del Capitano (anche Palazzo delle Ferriere) nel 1655, anno in cui, come raccontano le cronache locali, fu vittima di una congiura.
Infatti, inviso all’aristocrazia locale, fu iniquamente accusato di aver commissionato l’assassinio di un notabile locale ad uno dei suoi soldati (detti compagni o provisionati del Capitano), imputazione che gli sarebbe valsa l’incarcerazione e la perdita di ogni suo ufficio e patrimonio. Tuttavia, costui si ritirò, per tre giorni, a pregare dinnanzi alla miracolosa effige di San Domenico nel vicino monastero di Soriano Calabro, ottenendo dal Santo che la sua innocenza fosse prodigiosamente provata oltre ogni dubbio. Scagionato dalle accuse fece ritorno ai suoi uffici, che lasciò solo nel 1675.
Nel corso del sec. XVIII, grazie all’ingente patrimonio accumulato nel secolo precedente, furono molti i membri del casato viventi di rendita, nell’esercizio della vita more nobilium,  nonché altrettanti distintisi in ambito ecclesiastico, primi dei quali  Padre TOMMASO MARIA VACCHIANO, predicatore domenicano stanziato a L'Aquila, e Padre EMANUELE VACCHIANO, che prese i voti nel Monastero Agostiniano di S. Maria della Fede.
Nella seconda metà del secolo la figura di maggior spicco fu il ricco proprietario don GIUSEPPE VACCHIANO (1738 1799), dottore in medicina e chirurgia, il quale prese dimora, a partire dagli anni '60 del Settecento, nel palazzo di sua proprietà sito in Strada Chiaia, ove, dalla sua consorte donna Elisabetta Fiorenzano, vennero alla luce i suoi due unici figli maschi: don Antonio Maria, nato nel 1769 e don Paolo Maria, nato nel 1774.
Il secondogenito don PAOLO VACCHIANO (1774 1805) seguì i passi del padre intraprendendo il percorso di studi in medicina e chirurgia, fino al conseguimento del dottorato sul finire del secolo.  Negli anni seguenti operò nei principali ospedali di Napoli, ma la morte precoce, che lo colse nel palazzo di Chiaia, impedì qualsiasi ulteriore sviluppo della sua carriera; le sue spoglie furono poste a riposare nel cimitero della Confraternita di San Raffaele, di cui in vita fu membro.
Gli sopravvissero la consorte, donna Saveria Vitagliano, una figlia nata postuma, Elisabetta (1806
1811), e la sua primogenita, donna CLEMENTINA VACCHIANO (1797 1873), erede della cospicua fortuna fondiaria che fu di suo padre, la quale passò a vivere in casa dello zio don Antonio sino alle nozze con don Gaetano Miale di don Francesco, ufficiale nei Reali Lotti e proprietario. Una delle figlie nate da questa unione, divenne Duchessa di Cerza Piccola, in seguito al matrimonio con il Duca don Raimondo Pompeo Almirante.

Il summenzionato don ANTONIO VACCHIANO (1769 1823), al contrario del genitore e del fratello, non intraprese gli studi medici, dedicandosi piuttosto ai suoi interessi nel campo agrario. Si occupò, infatti, nel corso dell'ultimo decennio del sec. XVIII, della gestione e della riorganizzazione delle vaste proprietà fondiarie di famiglia, ampliandone l'estensione e portandone le già laute rendite alla cospicua somma di circa 2.800 ducati annui.
Degna di nota, tra i molti acquisti effettuati in quel periodo, la grande masseria rustica sita a Monteverginella, verso Poggioreale, circondata da ben 30 moggia (ca. 10 ettari) di padule
(6), nonchè un'altra masseria, di maggior pregio architettonico, sita nel Casale di Antignano, la cui struttura, consistente in una villa di svariati membri, un cortile rustico con aia e stalle, e numerosi bassi adibiti a magazzini, risaliva ai primi anni del sec. XVII, ed alla quale erano annesse quasi 15 moggia (ca. 5 ettari) di terreno arbustato, vitato, fruttato e seminatorio.


Pianta della Masseria Vacchiano (7) ad Antignano, disegnata in occasione della divisione
tra gli eredi di don Antonio Vacchiano.

Proprio nel Casale di Antignano, presso Napoli, si concentrarono gli interessi del detto don Antonio, il quale, acquistata la quasi totalità delle proprietà rustiche della zona, si premurò di riorganizzare radicalmente la vita agreste del luogo, non solo affidando la coltivazione dei vasti fondi a coloni locali, ma anche erigendo apposite strutture (case con cortile, stanze di servizio al pian terreno e terrazzi ottenuti al di sopra dei depositi) per stallieri, cellai, ed altre figure alle sue dipendenze (8).

Sempre sul colle antignaneo fu stabilita la residenza di campagna della famiglia, nel palazzo fatto erigere proprio in quegli anni nel Largo Antignano (al numero 16) dirimpetto alla Villa Pontaniana (di lì a poco Palazzo de Simone), il quale sarebbe rimasto in possesso della famiglia sino ai primi del XX sec., seppur avendo subito notevoli ampliamenti nel 1840.

Nel detto villaggio altri palazzi (Strada Vomero s.n.c., Strada Antignano s.n.c., Largo Antignano s.n.c., poi 11, Vico Antignano n. 4), di dimensioni altrettanto significative, ma di minor pregio archittettonico, entrarono in possesso della famiglia a partire dalla fine del sec. XVIII. Fatto salvo quello facente parte dell'edificio del Dazio, i detti casamenti furono affidati alla gestione della consorte di don Antonio, donna Maria Rosa Zoppoli (9), che ne fittava i bassi e le botteghe, le camere singole, gli appartamenti ed interi piani a figure di ogni estrazione sociale secondo le diverse facoltà (10).


Descrizione, tratta dal Catasto Provvisorio del 1809, degli immobili affidati a donna Maria Rosa Zoppoli, con
indicazione del numero dei membri (vani), di porte, finestre ed accessori carrozzabili, nonchè di eventuali annessi,
come bassi e botteghe, nonchè di eventuali appartamenti (camere) o interi piani divisi.

Prima della fine del secolo la principale residenza cittadina di famiglia fu portata dal palazzo di Chiaia, rimasto in possesso di don Paolo e di sua figlia poi, a nuove abitazioni site nel quartiere di Montecalvario e, più precisamente, nel palazzo di Strada Toledo n.1, nel piano nobile del palazzo di Strada Pignasecca n.1 (11), e nell'adiacente palazzo, situato in Strada Pignasecca n.2.

Fu proprio il piano terreno del palazzo di Strada Toledo che don Antonio adibì a magazzino di negoziato per lo stipaggio delle merci che la sua attività commerciale, intrapresa intorno al 1805, gli imponeva di trattare. Tale impresa, basata sul commercio di generi diversi in quantitativi consistenti, mai al minuto, con una predilezione per la tratta di tessuti pregiati, si sviluppò rapidamente, portando non solo guadagni significativi, quantificabili in migliaia di ducati l'anno, ma anche ponendo alle dipendenze di don Antonio tutta una serie di figure professionali, dagli impiegati di varia sorta, coordinati dal cassiere Raffaele Davino (12), ai numerosi fornitori dei beni  acquistati e venduti per profitto.

 Negli anni successivi, intorno al 1810, nel Casale di Antignano, ove la famiglia maturava, come già detto significativi interessi fondiari, l'Architetto di Casa Reale don Antonio de Simone acquistò dai nobili Ossorio Calà, marchesi di Villanova, la Masseria Pontaniana (13) (Largo Antignano, n.10) ed i territori ad essa pertinenti, all'interno dei quali figurava una piccola cappella, risalente al 1707, sorta nel luogo ove sarebbe avvenuto, per la prima volta il miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro. Poco dopo don Antonio Vacchiano prese in fitto alcuni appartamenti all'interno del complesso dei de Simone, giungendo, più tardi, ad acquistare anche parte dei terreni ad esso pertinenti, ove sorgeva la summenzionata cappella di San Gennaro, in seguito rammentata come Cappella Vacchiano (14).


© Napoli - Ingresso ex Masseria Pontaniana


© Napoli - Villa Rosalba

La residenza estiva di Giovanni Pontano (1426 † 1503), segretario di Ferrante I e Alfonso II d'Aragona, fu edificata ad Antignano nel
1472 circa. La proprietà si estendeva verso i Camaldoli ed era circondata da giardini ed orti dove il Poeta si rifugiava per comporre versi; qui scrisse l'opera più celebre: il dialogo "Asinus". Due lapidi poste all'ingresso ci ricordano che la villa fu acquistata nel 1626 da don Pedro Ossorio de Figueroa; nel 1810 passò ad Antonio de Simone, consigliere e architetto di Ferdinando I di Borbone.
Di villa Pontaniana, il cui ingresso fu inglobato in un edificio del 1818, non rimane nulla, ad eccezione degli archi abbassati
tipici del periodo aragonese; degli orti rimane una piccola traccia all'interno di villa Rosalba.

A cavallo tra il 1820 ed il 1821 don Antonio, con i suoi due figli don Raffaele, nato nel 1794 nel palazzo di Strada Toledo n.1, e don Giuseppe Maria, nato nel 1796 nell'appartamento di Strada Pignasecca n.1, con i quali, nel frattempo, aveva diviso le ingenti proprietà fondiarie ed immobiliari, risultò implicato, per cospicue somme (15),nel grande imprestito nazionale di tre milioni di ducati, una manovra finanziaria consistente nella vendita forzosa di azioni del valore di 20 ducati, ciascuna a ragione di un interesse annuo del 6%, imposta alle classi sociali più abbienti del Regno (proprietari terrieri, ecclesiastici, grossi commercianti, impiegati e funzionari della corona oltre un certo soldo, titolari di benefici ecclesiastici).

Alla morte di don Antonio Vacchiano, avvenuta nel Gennaio del 1823, i suoi eredi subentrarono nella gestione, oltre che degli interessi immobiliari e fondiari, dell'attività commerciale paterna: don RAFFAELE VACCHIANO (1794 1873), per quanto avesse ottenuto il dottorato in legge, alla professione legale preferì rilevare i magazzini di strada Toledo n.1, proseguendo con successo l'impresa economica intrapresa dal padre sino al 1834, quando si ritirò dagli affari per vivere delle sue rendite e di saltuari prestiti di denaro ad interesse; don GIUSEPPE VACCHIANO (1796 1880), al contrario, acquistò nuovi magazzini, siti a strada Toledo n.167, continuando ad esercitare la remunerativa attività commerciale, senza interruzioni, sino al 1846 e, saltuariamente, di lì in poi.

Il mentovato don Raffaele, dopo le sue nozze con donna Maria Raffaella Cerino, appartenente a famiglia di recente, ma significativamente cospicua, ricchezza, domiciliò, per molti anni, alternativamente o nel suo palazzo di Strada Pignasecca n.2 o nella residenza di campagna ad Antignano. Solo a partire dal 1840 si stabilì definitivamente, con il suo intero nucleo familiare (ben 14 figli), sul colle antignaneo, premurandosi di far ampliare il palazzo di Largo Antignano, n.16, così da adibirlo non più a residenza estiva, ma ad abitazione stabile.

I lavori, affidati al maggior partitario fabricatore della zona, il maestro muratore Mattia d'Errico, proseguirono non senza ostacoli, i più eclatanti dei quali furono degli errori nel posizionamenti della copertura dei tetti, con conseguente danneggiamento per infiltrazione delle acque piovane, per i quali la proprietà mosse causa al d'Errico, ottenendone risarcimento.


Pianta (16) di quella piccola parte dell'ultimo piano del palazzo Vacchiano ad Antignano sulla quale verteva
la causa col d'Errico; datata 20 Settembre 1841.

Negli anni immediatamente successivi don Raffaele si avvicinò a circoli intellettuali di impronta liberale, cui appartenevano quei movimenti di aspirazione costituzionale che portarono ai moti del 1848; strinse, in particolare, familiarità col napoletano don Gaetano Centomani (17), marchese di Macchiagodena, noto liberale del circolo di Francesco Fortini (18), in arresto, nel 1851, per detenzione di armi e "libri scritti, e lettere, per eccitare il malcontento, contenenti principi liberali e massime sovversive contro il governo".

Da rilevare che don Raffaele aveva ottenuto, nel 1820, l'ammissione  tra i signori fratelli ascritti dell'Augustissima Arciconfraternita della SS. Trinità del Reale Albergo dei Pellegrini e dei Convalescenti.

Il fratello minore di don Raffaele, don Giuseppe Vacchiano, immediatamente dopo le sue nozze con donna Elisabetta de' Dominicis (19), figlia di un collega del suo avo don Giuseppe (1738 1799), lasciò le case del padre per stabilirsi negli appartamenti, ottenuti in dote, nel palazzo monumentale dei principi Spinelli di Tarsia, ove dimorò per la decade successiva.


Palazzo Spinelli di Tarsia

In seguito cambiò spesso la sua dimora, risiedendo in vari palazzi tra i quartieri Avvocata e Montecalvario (Vico Spezzano n.9, Vico Pontecorvo n.8), per poi stabilirsi, con i tre figli, nel palazzo di  Vico Freddo alla Pignasecca n.5.

Da don Giuseppe discende, parallelamente al ramo legittimo di cui si tratterà più avanti, un ramo illegittimo procreato con una domestica, di nome Serafina Esposito, dalla quale nacquero donna FRANCESCA VACCHIANO (1819 1898), generata prima del matrimonio con donna Elisabetta de Dominicis, e don VINCENZO VACCHIANO (1823 1890); costoro furono legittimati solo nel 1837, ottenendo, così, il cambio di cognome da Esposito a Vacchiano.
Il padre, pur non volendo figurare in nessun atto riguardante i due figli illegittimi, comprò loro un palazzo (Vico Pontecorvo, n.10) ed assicurò ad entrambi una rendita dignitosissima; al maschio, inoltre, arrangiò un matrimonio con donna Maria Raffaella Cerbino, figlia di don Innocenzo, uno dei principali notai della Napoli dell'epoca, Consigliere e poi Presidente della Camera notarile di Napoli, e di donna Carmela Grimaldi, di nobile famiglia solofrana. Da questa unione, attraverso don SALVATORE VACCHIANO (1847
1896), Proprietario e Capo d'Uffizio di 2^ classe dell'Amministrazione Telegrafica, pensatore liberale vicino al conte Giuseppe Napoleone Ricciardi, tra i sostenitori dell'Anticoncilio napoletano del 1869, coniugato con donna Emilia Ruggi, discende il ramo barese della famiglia. Altro figlio di don Vincenzo, don ALFONSO VACCHIANO (1862 1930), fu ufficiale militare con il grado di Capitano.

Del ramo, ormai antignaneo, della famiglia, si rammentano i discendenti di don Raffaele Vacchiano, dei quali, pur avendo il padre generato numerosissimi figli, pochi gli sopravvissero e di questi solo due furono maschi.

Il primogenito Rev. Don ANTONIO MARIA VACCHIANO (1829 1900), intraprese la carriera ecclesiastica, venendo ordinato Sacerdote nel 1850, per poi operare, principalmente, nella Parrocchia di S. Maria del Soccorso all'Arenella, ove fu Rettore di svariate Chiese, come S. Maria di Costantinopoli ad Antignano e la già nominata Cappella Vacchiano; è rammentato come sostenitore della dottrina dell'infallibilità ex cathedra del Pontefice, dibattuta in quegli anni.

Il secondogenito Cav. Don FRANCESCO MARIA VACCHIANO (1831 1908), cospicuo proprietario, in seguito agli studi in legge che lo portarono al dottorato, ottenne dal Sovrano un ufficio nell'Intendenza Generale del Regio Esercito, per poi essere ammesso, nel 1861, alla nuova Intendenza Militare italiana, venendo promosso, l'anno successivo, a Sotto-Commissario di Guerra, finendo per passare, nel 1867, al Corpo di  Militare col grado di Tenente Commissario, che tenne sino al congedo, con l'onore dell'uniforme, nel 1891.

Anch'egli, come suo padre prima di lui, fu vicino ad ambienti politici di ispirazioni liberali, figurando come Consigliere dell'Associazione Liberale della Sezione Avvocata alla sua fondazione nel 1889, sotto la presidenza del comm. Enrico Dini.
                                                              
                              
Elenco degli elettori componenti la detta Associazione (19 bis) Liberale della sezione Avvocata.
Nel 1860 contrasse matrimonio con donna Maria Francesca Centomani (20), figlia del già menzionato Marchese di Macchiagodena, Santa Lucia, Sant'Angelo in Grotte e Bottone, don Gaetano Centomani e della Marchesa donna Teresa Morcaldi, patrizia di Salerno e Cosenza.

In occasione delle nozze, già progettate con lo stesso Marchese Centomani, essendo costui deceduto prima di prestare il consenso alla figlia, don Francesco Vacchiano fu sottoposto al giudizio di un Consiglio di famiglia (21) costituito, per il ramo paterno, dal Marchese Carlo Centomani, da don Giuseppe Centomani, fratelli della sposa, e da don Francesco Guarino, tutore della sposa, mentre, per il ramo materno, convennero gli zii della fanciulla mons. don Francesco Tagliavia d'Aragona (22), don Gennaro Tagliavia d'Aragona ed il Marchese don Emanuele Tagliavia d'Aragona, tutore surrogato della sposa, i quali giudicarono il matrimonio non poter risultare che "di gran vantaggio per la minore", dal momento che don Francesco Vacchiano "oltre che di essere proprietario e di trovarsi in servizio di un impiego decoroso, va di ottime qualità morali fregiato ed adorno".

Da questa unione, attraverso il sig. RAFFAELE VACCHIANO (1866 1922), sposato con la Sig.ra Ersilia Coseglia (23), discendono rami attualmente esistenti della famiglia Vacchiano; fra gli appartenenti a detto ramo si rammentano, in particolare, due dei nipoti del mentovato Raffaele: il primo, omonimo del nonno (1924 1985), prese parte al secondo conflitto mondiale, anche come partigiano, per poi proseguire la carriera militare sino al grado di Tenente Colonnello; il secondo, il sig. BRUNO VACCHIANO (1933 1994), fu pittore, più volte premiato, e professore all'Accademia di Belle Arti di Napoli.

Negli anni coevi al matrimonio di don Francesco Vacchiano, nel palazzo cittadino di Vico Freddo alla Pignasecca n. 5, fiorivano i discendenti del sopra citato don Giuseppe, don Alfonso Vacchiano, nato nel 1828, da donna Elisabetta de Dominicis, e don Gennaro Vacchiano, nato, dalla stessa, nel 1831.

Il maggiore, don ALFONSO VACCHIANO (1828 1912), compì gli studi in legge presso l'Ateneo napoletano, ove ottenne il dottorato, per poi divenire Avvocato nel Foro di Napoli, professione che avrebbe esercitato con successo sino al 1904 (24), salvo un breve periodo (1860 - 1864) in cui ricoprì un ufficio nella Direzione Generale dei Dazi Indiretti; collaborò, negli anni '60 del XIX sec., con l'avvocato don Oronzo de Mita, più tardi Consigliere Municipale di Napoli (assieme con, tra gli altri, il Cav. Achille Nardi, cugino della cognata di don Alfonso) e Deputato nel Parlamento del Regno. La firma di don Alfonso figura fra quelle apposte, nel giugno del 1862, dai maggiori esponenti del ceto degli avvocati e patrocinatori del Foro di Napoli ad un documento di protesta contro le rimostranze di alcuni "borbonici" o "mezzo-borbonici", che, in occasione della riforma circa la legge sul Registro e Bollo, avevano scatenato moti e tafferugli a Castel Capuano e presso svariate Sezioni del Tribunale Circondariale, nonchè minacciato, per via anonima, numerosi avvocati e magistrati, diffidandoli dal presentarsi in Tribunale.

Don Alfonso prese in moglie, una volta ottenuta dispensa papale, la cugina donna Maria Cristina Vacchiano, di don Raffaele, trasferendosi, dopo il matrimonio, nel palazzo di Antignano.

Il secondogenito, don GENNARO VACCHIANO (1831 1903), cospicuo proprietario, compiuti i medesimi studi del fratello ed ottenuto anch'egli il dottorato, non esercitò mai la professione legale, vivendo piuttosto di rendita, con saltuari investimenti in attività commerciali, per lo più concetrati intorno al biennio 1862-1863. Nel 1865 spostò la sua dimora in un palazzetto situato in Vico Sant'Anna de' Lombardi, n.10, ove visse sino alla morte.

Nel 1858 prese in moglie donna Marianna Nardi (25), dall'unione con la quale discende un ramo tuttora esistente della famiglia; di tale ramificazione si rammentano il sig. GIUSEPPE VACCHIANO (1865 1929), imprenditore, titolare di una ditta di forniture militari, e direttore di alcune riviste di cultura musicale e teatrale, l'ufficiale della Regia Marina,  sig. ARMANDO VACCHIANO (1905 1941), morto in combattimento durante la Seconda Guerra Mondiale, ed il cav. GIUSEPPE VACCHIANO (1912 1997), impiegato nelle Ferrovie dello Stato.

 

Ramo di Papasidero


Tra i sec. XVII e XVIII alcuni membri della casata  presero dimora a Papasidero (CS), in Calabria Citeriore, probabilmente in seguito al matrimonio di donna ORSOLA VACCHIANO con un membro della casata papasiderese dei Paolino (tuttavia, secondo altri, il marito apparteneva alla casata Giampaolino di Camposano).


Papasidero (Cosenza)
© Foto di proprietà del Dr. Giuseppe Pizzuti

Di questo ramo, da sempre depositario di una cospicua distinzione, si rammentano principalmente, nel sec. XIX, un don DOMENICO VACCHIANO, ricco possidente, rimasto celebre per le laute donazioni che versò all'Ospedale degli infermi di Papasidero.
Nel corso del sec. XX  ERMINIO VACCHIANO fu Tenente di complemento di fanteria e  SIRCORE VACCHIANO, già Giudice conciliatore di Papasidero, venne nominato Cavaliere Ufficiale dell'Ordine della Corona d' Italia.
Dal 1816 tale ramificazione stabilì la sua dimora a Palazzo Vacchiano (Via Pozzo, oggi Via Dante), tuttora in possesso della famiglia.

Ramo spagnolo



Arma Vacchiano di Spagna

A metà del sec. XIX, i membri del casato trasferitisi in Spagna, stabilirono la loro dimora ad Úbeda, presso Jaèn, dove si unirono con molte delle famiglie locali (in particolare con i Vargas ed i Tejada, appartenenti all' antica aristocrazia sivigliana, ed anche i Marìn, i Bonillo, i Cardenas ed i Caballero).

Molti sono rammentati per la loro munificenza: don HIPOLITO VACCHIANO, già membro della Confraternita de Nuestro Padre Jesùs Nazareno de las Aguas, che finanziò interamente la processione del Venerdì Santo del 1897, e don JOSÈ VACCHIANO, che, grazie alle sue doti di artista, fabbricò una lanterna processionale d'oro e ne fece dono alla locale Confraternita del Rosario.

Si rammentano anche le azioni di don ALFONSO (o Ildefonso) VACHIANO VARGAS, già Parroco di Villanueva de la Reina (nei pressi di Úbeda), caduto, nel 1937, durante la Guerra Civile spagnola, mentre combatteva in difesa sia della popolazione locale, sia della sua Fede, venendo ricordato come un eroe ed un martire.

Questo ramo si distinse particolarmente anche in ambito ecclesiastico, con don CIRO VACCHIANO, don FRANCISCO VACCHIANO e l' ill.mo sig. don HIPOLITO VACCHIANO GARCÌA, Canonici della Cattedrale di Madrid.

In particolare quest' ultimo, già Notaio Ecclesiastico e Segretario personale del Vescovo di Madrid-Alcalà, ottenne, nel 1948, la nomina Commendatore dell'Ordine di Alfonso X il Saggio, per le sue "extraordinarias dotes de educador", in quanto Fondatore e Presidente dell'Istituto di Sant'Isidoro per l' educazione ed il sostentamento degli orfani.

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Fonti bibliografiche:
"Atti, fatti e notizie su Cicciano e la sua gente", di Francesco M. Petillo, Associazione Pro Loco di Cicciano;
"Il Decurionato di Cicciano (dal 1806 al 1861)", di Francesco M. Petillo e Luca De Riggi, Associazione Pro Loco di Cicciano ;
"La Commenda di Cicciano nel 1515", di Domenico Capolongo, Associazione Pro Loco di Cicciano;
"La Commenda di Cicciano nel 1582", di Domenico Capolongo e Luca De Riggi, Associazione Pro Loco di Cicciano;
"La Commenda di Cicciano nel 1617", di Domenico Capolongo, Associazione Pro Loco di Cicciano;
"La Commenda di Cicciano nel 1733", di Domenico Capolongo e Luca De Riggi, Associazione Pro Loco di Cicciano;
"Auf dem Weg zur Industrialisierung", di Hermann Kellenbenz e Jürgen Schneider;
"La Calabria dalle riforme alla restarazione: Comunicazioni", Società Editrice Meridionale;
"La storia assente: territorio, comunità, poteri locali nella Calabria nord-occidentale", di Saverio Napolitano;
"Napoli", Electa Napoli;
"Naples, sès monuments et sès curiositès", di Stanislas d' Aloe;
"ABC Madrid: Hemeroteca";
"Repertorio de blasones de la comunidad hispánica", di Vicente de Cadenas y Vicent;
"Collezione delle leggi e de' decreti reali del regno delle Due Sicilie";
"Croniche del Convento di S. Domenico in Soriano", di Antonino Lembo;
"Le assemblee del Risorgimento, Vol. 11, Camera dei Deputati;
"Disceptationes ecclesiasticae una cum resolutionibus", di Domenico Ursaya;
"La legislazione italiana", parte I, di M. Fragali, E. Pizzi;
"L'Anticoncilio di Napoli del 1869. L'elenco delle Associazioni e dei singoli partecipanti";
"Caduti della Guerra Civile Spagnola nella provincia di Jaèn";
"Historia de la persecuciòn religiosa en Espana (1936-1939)", di Antonio Montero Moreno, 1961;
"Gazzette ufficiali del Regno d'Italia", 1860-1946;
"Eroi dell' Università Castrense", su www.eroiuniversitacastrense.info;
"I prelati del pontificio santurio di Pompei dal 1890 al 2012", di A. Ferrara e A. Casale;
"La Basilica di San Gennaro al Vomero", di Antonio La Gala;
"Elenco dei confratelli della SS. Trinità", di Nicola Maria Milano;
"Principi di scienze sociali applicati al benessere di uno Stato", di Annibale Giordano;
"Elenco generale degli azionisti del Banco di Napoli";
"L'Archivio Storico Diocesano di Napoli", di Giuseppe Galasso, Carla Russo;
"Della Sicilia Nobile, Elenco dei Governatori del Monte di Pietà e della Tavola di Palermo", di  Francesco Maria Emanuele;
"Carellata notarile", di Benedetto Carderi;
"Atti dello Stato Civile", Archivio di Stato di Napoli.
"Archivio Storico Diocesano di Nola, Fascicolo di Cicciano".
"
Tribunale di Napoli, Tribunale Civile, Perizie, cont. 15171, un. 94, anno 1843"
"Tribunale di Napoli, Tribunale Civile, Perizie, cont.13315, un. 24, anno 1841"

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Note:
1)
Blasone tratto dallo stemma monocromatico posto sul soffitto dell’androne di Palazzo Vacchiano, Cicciano (NA);
2) Blasone tratto da uno Stemmario anonimo del sec. XVII, detto del Volpicelli, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, con collocazione XVII.25;
3) Blasone tratto da "Insegne ovvero Stemme delle famiglie italiane", di Gaetano Montefuscoli, uno stemmario del 1780, conservato presso la Biblioteca Universitaria di Napoli, con collocazione MSS.121;
4) Blasone tratto dal "Repertorio de blasones de la comunidad hispánica", dell’ultimo Cronista Rey de Armas di Spagna, Vicente de Cadenas y Vicent.
5) Archivio di Stato di Napoli, Rei di Stato, b. 356, fasc. 1, f. 25 v.

6)
Trattasi di una tipologia di terreno, originariamente paludoso, adibito ad orto, per lo più per la coltura di pomodori, nei mesi caldi, e di cavolfiore, nei mesi freddi; estremamente fertile e redditizio, presentava un costo di acquisto proibitivo, talvolta anche di 4-5 volte superiore al prezzo di un comune terreno seminatorio. Ad oriente di Napoli ,sin dal primo sec. XVIII, si estendevano le cosiddette "Paduli", una vastissima distesa, bagnata dal fiume Sebeto, coltivata ad orto e frazionata in appezzamenti spesso minuscoli (non superiori all'ettaro) per via dell'elevato prezzo di acquisto a cui si è già fatto riferimento.

7) ASNA, Tribunale di Napoli. Tribunale civile. Perizie - Inventario dei documenti iconografici 1809 - 1862, contenitore  15171,  unità cartografica  94.
8)
Archivio di Stato di Napoli, Tribunale di Napoli. Tribunale civile delle Perizie, b 190, f.lo 25318, csn.
9)
Di famiglia onorata nell'esercizio delle professioni legali, originaria di Benevento, nacque dal magn. don Saverio, notaio e proprietario dell'Ufficio di Mastrodattia della Ruota Civile della Gran Corte della Vicaria.
10)
Pur essendo tutt'altro che raro incontrare, tra gli atti dello Stato Civile di quegli anni, la dicitura "case di Zoppoli" apposta all'indirizzo dei soggetti più svariati, si rammentano i più rimarchevoli: il piano nobile della casa di Vico Antignano era in affitto agli Orlando, cospicua famiglia proprietaria della zona; un appartameno nel Largo Antignano in fitto a don Francesco Pastena, Ricevitore doganale, appartenente ad altra notabile famiglia della zona, proprietari della Masseria Pastena, confinante con la Masseria Vacchiano; altro appartamento nel Largo Antignano risulta, più tardi in locazione al barone don Giacomo Dolce, di Palermo, Controloro dell'Ospedale Militare della Cava.
11) Inizialmente in fitto dal Monastero di San Liborio alla Carità, proprietario dell'immobile, in seguito (1796) acquistato.
12) Costui fu, verosimilmente, il primo impiegato assunto da don Antonio, avendo iniziato come semplice "giovine di negoziante" nel 1806, facendo poi carriera sino alla posizione di cassiere, ottenuta, con ogni probabilità, tra il 1810 ed 1815.
13) E
retta nel sec. XV dal celeberrimo Giovanni Pontano, Ministro del Re Ferrante d’Aragona, appartenne poi ai mentovati Ossorio Calà che la vendettero, fatiscente, al de Simone che la riportò a nuovi fasti, ristrutturandola completamente. Il complesso rimase a lungo proprietà degli stessi de Simone, tanto da giungere ad essere comunemente appellato "Palazzo de Simone". Nel corso dei secoli si avvicendarono vari affittuari, tra i più degni di nota Antonio Pignatelli dei Principi di Monteroduni, nonchè il suo figlioccio Francesco Palomba, futuro Marchese di Villanova maritali nomine, in seguito al matrimonio con Rosalba Ossorio y Calà, proprietaria ed eponima della vicina Villa Rosalba.
14)
Costruita nel 1707, per volere degli Ossorio Calà, duchi di Diano, all’epoca proprietari del luogo, in sostituzione di un’edicola votiva di epoca medioevale, posta a commemorazione del miracolo, nel 1857 fu venduta al Re Ferdinando II, che iniziò i lavori per la costruzione di una basilica sul modello di quella di S. Francesco di Paola, interrotta la costruzione con l'invasione piemontese, nel 1860 la cappella fu dichiarata monumento nazionale, per poi essere, nonostante ciò, abbattuta nel 1897.
Presso l'Archivio notarile distrettuale di Napoli è depositata una descrizione della cappella, risalente al 1823, che la descrive come ad aula unica con volta a botte, illuminata da un finestrino ovale con cancello di ferro posto al di sopra del vano d’ingresso; all’interno c’erano un altare di marmo colorato, un’acquasantiera di marmo e due vani adibiti a sacrestia e a vestibolo di collegamento con la masseria. Il piano superiore era costituito da una loggia con volta a scodella con affaccio verso i campi coltivati (da "Napoli guida: percorsi sacri tra Vomero ed Arenella", di Dante Caporali).

15) Dalle pubblicazioni sul Giornale delle Due Sicilie e dagli atti ripubblicati su "Le Assemblee del Risorgimento: atti raccolti per deliberazione della Camera dei Deputati", 1911, sono deducibili le esatte somme versate dai nostri: don Antonio Vacchiano pagò 130 ducati in qualità di proprietario, 60 ducati in qualità di negoziante e 5 ducati in qualità di titolare di un beneficio ecclesiatico; donna Rosa Zoppoli pagò 10 ducati in qualità di proprietaria; don Raffaele e don Giuseppe Vacchiano pagarono 200 ducati ciascuno in qualità di proprietari. Da "Il diario del Parlamento Nazionale delle Due Sicilie per gli anni 1820 e 1821" è possibile apprendere quali fossero le percentuali delle rendite fondiarie imponibili da cui si deduceva quanto ogni proprietario dovesse pagare (cit. "che si fosse obbligato a versare un decimo della rendita colui, che possedesse una rendita imponibile da 60, a 300 ducati; due decimi chi ne possedesse da 301 a 1000" etc.); calcolata, dunque, in base a detti dati, la totalità delle rendite della famiglia in 2750 ducati, si scopre come essa si sia mantenuta, più o meno, stabile rispetto alle rendite dell'inizio del secolo (ca. 2800 ducati).
16)
ASNA, Tribunale di Napoli. Tribunale civile. Perizie - Inventario dei documenti iconografici 1809 - 1862, contenitore  13315,  unità cartografica  24.
17)
Si rimanda a "Molise 1848: cronaca, personaggi e documenti" di Sergio Bucci, nonchè alla nota sulla famiglia Centomani in occasione dell'unione tra don Francesco Vacchiano e donna Francesca Centomani.
18) Noto capo della fazione liberale molisana (ove si travavano gli ex-feudi dei Centomani), salito ad una certa prominenza durante l'invasione piemontese del 1860.
19)
La nobile famiglia de Dominicis, nel suo ramo napoletano, si rese illustre ed onorata, sin dal sec. XVIII, nell’esercizio della professione medica. Si rammentano, a tal proposito, il dott. don Luigi de Dominicis (1718 -1784), prozio di donna Elisabetta, che, dottor fisico e chirurgo di chiara fama, fu, dal 1750 al 1783, aggiunto alla cattedra di Anatomia patologica e descrittiva dell'Ateneo napoletano (di cui, all'epoca era titolare il celeberrimo dott. Cotugno, del quale don Luigi fu assistente), nonchè Preparatore ed Incisore anatomico presso la medesima cattedra, e Curatore del Gabinetto e Teatro Anatomico dell'Ateneo, il dott. don Gennaro de Dominicis (1720 - 1791), fratello di don Luigi, il cui figlio, dott. don Vincenzo de Dominicis (1740 - 1820), padre di donna Elisabetta, fu medico e chirurgo di eccelsa reputazione, vicino al Cotugno, ed operò nei principali ospedali di Napoli. Il primogento di detto don Vincenzo, dott. don Gennaro de Dominicis (1779 - 1819), anch’egli dottor fisico e chirurgo, stimato tra i più capaci nell’ambiente napoletano, distinto per educazione e talenti, morì prematuramente a seguito di un incidente in carrozza.
Tra i fratelli minori di costui si rammentano don Nicola de Dominicis (1795 - 1876), Tenente nei Dazi Indiretti, ed il dott. don Apsremo de Dominicis (1786 - 1863), il quale intraprese gli studi legali, ottenendo il dottorato, e, dopo un’onorata carriera come Avvocato e Patrocinatore, fu appuntato Regio Giudice Circondariale. Costui prese per moglie, in prime nozze, donna Maria Irolla, figlia di un cospicuo negoziante, e, alla morte di costei, impalmò donna Maria Giuseppa Paolini, figlia dell’avvocato don Moderato, nobile di Sulmona, più volte eletto e deputato del Seggio del Popolo a Napoli.
Da don Aspremo discese il dott. don Moderato de Dominicis (1826 - 1869), dottore in legge ed avvocato, noto per le sue idee liberali e costituzionaliste, il quale prese parte, a Napoli, ai moti del 1848 (è rammentato per aver innalzato il “lauro della vittoria” sulle barricate di strada Toledo). L’anno successivo combattè tra le fila dell’esercito della Repubblica Romana in qualità di ufficiale, venendo costretto, poco più tardi, all’esilio in Egitto, durante il quale fu autore di una discreta produzione letteraria.
Tra i fratelli di don Moderato si rammenta, in particolare, il Cav. Gaetano de Dominicis (1814 - 1896), anch’egli dottore in legge ed avvocato, il quale intraprese, nel 1862, la carriera nella Magistratura del Regno d’Italia, giungendo a presiedere i Tribunali civili e correzionali d’Ivrea, Lucca, Massa, e Pisa, per poi divenire Consigliere di Corte d’Appello a Torino, nel 1873; fu insignito del cavalierato degli ordini della Corona d’Italia (1862), e dei Santi Maurizio e Lazzaro (1869). Tra i numerosi figli di don Gaetano si annovera il Cav. Avv. Emilio de Dominicis, Direttore Capo di sezione di 1^ classe del Ministero della Guerra, il Cav. Ernesto de Dominicis (1843 - 1910), dottore in ingegneria, e la Baronessa Filomena de Dominicis (1847 - 1930), la quale prese in moglie, a Torino, il colonnello Ignazio Federico Ferrero, Barone di Graglia; da uno dei rami scaturiti da questa unione, discese Raul Ferrero Rebagliati, Primo Ministro del Perù. Alla morte del barone Ferrero, Filomena sposò il Tenente Generale Alfredo Sterpone, dal quale non ebbe figli.

19 bis) Scopo dell'associazione era "di provvedere efficacemente perchè i concetti della libertà, onestà e capacità possano prevalere", ed era "composta di elementi che, nell'ambito delle istituzioni, rappresentino tutte le gradazioni politiche, e comprendano la parte più reputata e specchiata della sezione stessa". Immagine e testo virgolettato tratto dal Corriere di Napoli del 20-21 Agosto 1889, conservato presso la Biblioteca civica Pietro Acclavio, Taranto (Inventario: 20952 ; Segnatura: Corriere Napoli 1889), presente sul sito internetculturale.it.
20)
Famiglia di antica nobiltà generosa, nota sin dal tardo periodo angioino, ebbe origine a Potenza, dove tenne, sin dal XV sec., il feudo di Revisco ed amministrò, per secoli, i beni dei Loffredo, trasferì la sua dimora a Napoli nel sec. XVIII. Nicolò Centomani fu Vescovo di Monopoli, nel XVIII sec.; Gaetano Centomani, Avvocato ed Uditore di Rota, fu Ministro del Re alla corte Papale ed Amministratore dell'Azienda Farnesiana; Ascanio Centomani, fu tra i primi avvocati del Foro Napoletano; Nicola Centomani, acquistò nel 1780 i feudi di Macchiagodena, Santa Lucia, Sant'Angelo in Grotte e Bottone col titolo marchionale.
21)
Si rinvia alla trascrizione del Consiglio di famiglia: http://www.antenati.san.beniculturali.it/v/Archivio+di+Stato+di+Napoli/Stato+ civile+della+restaurazione/Avvocata/Matrimoni+processetti/01_09_1860-31_12_1860/004911997_00925.jpg.html?g2_imageViewsIndex=0
22)
Antichissima famiglia dell'alta nobiltà, di origine palermitana, insignita, tra i tanti, dei titoli di Principe di Catelvetrano, Duca di Terranova e Marchese d'Avola; il Marchese Emanuele Tagliavia d'Aragona (bisnonno di donna Francesca Centomani) provò, dinnanzi la Regia Camera della Sommaria, la sua discendenza dalla Casa Reale d'Aragona e dalla Casa Reale ed Imperiale di Svevia (Acta Interpositionis decreti pro Ill.i Marchione de Tagliavia D. Emanuele de Tagliavia d'Aragona cum domino fisco realis patrimoni, ad oggi conservati nel fondo della Gran Corte della Vicaria presso l'Archivio di Stato di Napoli).
23)
La famiglia Coseglia fu una famiglia civile di cospicua distinzione, proprietaria di un discreto novero di fondi nei dintorni di Napoli e di un palazzo nel quartiere della Vicaria (Borgo Sant'Antonio Abate, n.116), si distinse nell'esercizio di importanti impieghi nelle Amministrazioni della Corona e nel Banco di Napoli. Nel sec. XVIII si rammenta don Giuseppe Coseglia (1715-1780), proprietario e funzionario della Corona, il cui primogenito, don Domenico (1744-1830), della medesima condizione, acquistò il mentovato palazzo a Vicaria. Il secondogenito di don Domenico, don Luigi (1778-1855), ricoprì un ufficio di rilievo nel Banco di Napoli, finendo la sua carriera come Contatore della Cassa di Rame nel Banco di San Giacomo, figura seconda al solo Governatore della Cassa. Costui generò da donna Gelsomina Fumo, figlia del grande orefice e gioielliere don Antonio, don Domenico Coseglia (1825-1891), che, intrapresa una carriera al servizio dell'Amministrazione Provinciale, divenne, nel 1872, Prefetto d'Ordine nel Manicomio Provinciale di Santa Maria dell'Arco, a Sant'Anastasia, sotto l'amministrazione dell'Ispettore Economo Cav.  Stefano Mazza, per poi subentrare a quest'ultimo l'anno successivo, giungendo ad amministrare entrambi i manicomi della Provincia (San Francesco di Sales, a Napoli, ed il già nominato Santa Maria dell'Arco a Sant'Anastasia). Un impiego nelle medesime strutture fu ricoperto anche dal figlio di don Domenico, avuto con donna Brigida Siciliano, figlia del notaio don Giuseppe, il sig. Giuseppe Coseglia (1847-1920), Ufficiale d'ordine di 1^ classe nella detta Amministrazione, il quale fu, anche, amministratore della rivista politica "L'Era novella" per conto del Duca di San Donato. Da costui nacque, anche, la sig.ra Amelia Coseglia, sorella della sunnominata Ersilia, che sposò il Sig. Alfonso Maria Vacchiano (1873-1936), figlio di don Gennaro; da tale unione discendono rami attualmente esistenti.

24) Nella "Grande guida commerciale storico-artistica scientifica amministrativa statistica industriale e d'indirizzi di Napoli e provincia compilati su dati ufficiali", di Augusto Lo Gatto, per l'anno 1904, si trova, tra i nomi di Avvocati e Patrocinatori, la menzione di "Vacchiano Alfonso, Avv., Via Vomero per il Largo Antignano, 16, Palazzo proprio".
25)
La notabile famiglia Nardi, ebbe la sua origine in Napoli, ove, sin dal sec. XVII, i suoi membri, onorati nell'esercizio delle professioni legali e di alti incarichi nelle amministrazioni della Corona, godettero della nobiltà di privilegio. Non minore la distinzione derivata dalle cospicue proprietà terriere ed immobiliari, site in città e nei dintorni di Napoli, in particolare tra Miano e Piscinola, nonchè nel casale di Polvica. In particolare a Piscinola possedettero, almeno dalla metà del sec. XVIII, un palazzo signorile (Strada Capochianca), e diedero il loro nome ad una viuzza. Ai primi del Settecento si incontra don Andrea Nardi (1693-1770), dottore in legge, dai cui due figli maschi, don Gennaro e don Vincenzo, discesero due rami distinti della famiglia. lI primogenito, mag.co egr. don Gennaro Nardi (1728-1817), ricco proprietario, esercitò la professione notarile, così come, in seguito, il di lui figlio don Raffaele (1777-1842), dottore in legge e notaio, il quale ricoprì, parallelamente all'attività notarile, un ufficio di alto profilo nel Banco di Napoli. Detto don Raffaele, dalla sua consorte donna Maria Domenica Aurisicchio (di nobile famiglia originaria dell'amalfitano, ebbe per madre una Prota, patrizia di Atrani ed Amalfi), ebbe numerosi figli, tra i quali si rammentano: don Domenico (1799-1874), dottore in legge ed avvocato, che fu Superiore della Reale Arciconfraternita dei Nobili del SS. Rosario alla Sanità, don Vincenzo (1804-1886), dottore in legge e direttore dell'Amministrazione Postale e don Luigi Maria (1808-1884), dottore in legge e notaio (padre di donna Marianna Nardi, moglie di don Gennaro Vacchiano). Da don Vincenzo discese il Prof. Cav. Antonio Nardi (1835-1900), farmacista e figura di un certo rilievo nella politica del Municipio di Piscinola del tardo XIX secolo, vicino al potente Deputato Aniello Alberto Casale. Dal mentovato don Vincenzo (1733-1795), fratello del mag.co don Gennaro, discese don Andrea (1775-1843), il quale ricoprì importanti incarichi nelle amministrazioni militari del Regno, prima a capo della sezione contabile della Regia Militare e poi alla direzione dell'Ospedale Militare di Cava de' Tirreni. Tra i figli di don Andrea si distinsero don Errico Nardi (1813-1880), alto funzionario del Banco delle Due Sicilie, ed il fratello don Leopoldo (1816-1887), dottore in medicina e chirurgia. In particolare, tra i numerosi figli di don Errico, accanto a Federico, Alberto e Cerlo, Ufficiali del Banco di Napoli, ed Eugenio, dottore in legge ed avvocato, si distinse, in particolar modo, il Cav. Uff. Comm. Achille Nardi (1845-1919). Costui, laureatosi in legge, dimostrò un non comune acume finanziario, più volte messo in luce a servizio di alti impieghi nel Banco di Napoli, del cui Consiglio di Amministrazione fu, più volte, Segretario Generale, per poi ricoprire, dal 1884, l'incarico di Censore del Banco. Fu uno dei fondatori e Direttore Generale della Banca di Anticipazioni e Cassa di Risparmio di Napoli, tra i maggiori istituti bancari dell'epoca, informalmente detto "Banca Nardi", presieduto dal Principe di Torella; fu anche Presidente della Cassa Cooperativa di Credito e di Previdenza per gli impiegati del Banco di Napoli, e componente del Consiglio di Amministrazione della Cassa di Risparmio per gli invalidi della Regia Marina. Dedicatosi anche al giornalismo, assunse le direzioni de "Il Pungolo", "Il Commercio" ed il "Don Marzio", testate di grande importanza nel panorama dell'epoca, e divenne , anche, Presidente del Circolo del Commercio e degli Interessi Napoletani. Nel 1878 fece la sua discesa in politica, venendo nominato Consigliere Municipale di Napoli, carica nella quale sarebbe stato rieletto più volte sino al 1892; ricoprì anche, più volte, le funzioni di Assessore, nonchè  di facente funzione di Sindaco di Napoli, tra il 1887 ed il 1888, succedendo all'amministrazione del Principe di Ruffano. Durante la sua permanenza nel Consiglio Municipale di Napoli, fu tra i principali fautori dell'edificazione della Galleria Umberto I, del cui comitato di inaugurazione, terminati i lavori, fu Presidente. Ai primi del Novecento, ritiratosi dalla politica, ricoprì gli incarichi di Ispettore Municipale delle Tasse e dei Pubblici Servizi. Prese in moglie la figlia del celebre Comm. Gennaro Marantonio, alto funzionario del Ministero della Guerra, da cui ebbe numerosa prole.
Si fa presente che tale famiglia innalzò, nel corso del XIX sec., stemma identico a quello dei nobili Nardi, patrizi di Montalto Uffugo e Firenze, pur non intercorrendo alcun legame di parentela tra le due famiglie.


Continua nel sesto volume in preparazione di "LA STORIA DIETRO GLI SCUDI"

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