
Ovvero delle Famiglie Nobili e titolate del Napolitano, ascritte
ai Sedili di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti
alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate chiuse,
all'Elenco Regionale Napolitano o che abbiano avuto un ruolo
nelle vicende del Sud Italia.
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La battaglia di Benevento del 1266
dr. Fabio Di Fede
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La battaglia di Benevento del
26 febbraio 1266 è la conseguenza della tensione tra il papato, che
appoggiava Carlo d’Angiò, e Manfredi, figlio di Federico II che alla
morte del padre assunse il controllo del regno di Sicilia. |

Re Manfredi |

Napoli,
Re Carlo I d'Angiò |
Dopo
essere stato incoronato re di Sicilia dal papa Clemente IV nel
giorno dell’Epifania del 1266 (che però lo aveva fatto dopo molti
tentennamenti), Carlo, fratello del re di Francia Luigi IX, decise
di muovere guerra a Manfredi. Carlo iniziò una marcia col suo
esercito da Roma per avvicinarsi al suo rivale. Il tempo stringeva
anche perché la situazione economica di Carlo era pessima, non
avendo denaro neanche per pagare le truppe mercenarie del suo
seguito. Vi erano stati anche numerosi screzi col pontefice, per le
continue richieste di denaro fatte da Carlo e per i saccheggi
compiuti dal suo esercito.
Nel frattempo Manfredi convocò i baroni,
i feudatari e ordinò loro di preparare l’esercito chiamando alle
armi i vassalli. La difesa era organizzata, con la sistemazione in
punti chiave di vari contingenti tra cui quello
Riccardo di Caserta, cognato di Manfredi,
che aveva avuto il compito di presidiare col suo esercito il
ponte di Ceprano. |
Manfredi aspettava invece a Capua, col grosso delle truppe, per
poter far fronte ad un’eventuale sfondamento delle linee difensive,
o in casi estremi poter ripiegare nell’entroterra del regno. A causa di numerosi tradimenti tra i suoi uomini, le
difese iniziarono a cadere, tra cui quelle del ponte di Ceprano,
abbandonato dai difensori in maniera tanto vile che Dante
riprendendo il tradimento di Ceprano nel canto XXVIII dell’Inferno
della Commedia scrisse: a Ceperan, là dove fu bugiardo ciascun
Pugliese riferendosi alla bolgia dove sono posti coloro che
compirono atti cattivi e scandali.
Avanzando ancora le truppe di
Carlo, Manfredi si spostò da Capua a Benevento, meglio collegata con
la Puglia, e, potendo sperare nei rinforzi, decise inizialmente di
temporeggiare per non affrontare in una battaglia campale il rivale
Carlo d’Angiò, che nel frattempo dopo una marcia d’avvicinamento
attraverso Venafro, Alife e Telese era giunto a poche miglia
dall’accampamento di Manfredi, che era sito lungo il corso del fiume
Calore. |

© Spada del XIII secolo |
In quel momento le forze angioine erano di circa 3.000
cavalieri mentre 3.500 erano quelli di Manfredi, con alcune migliaia
di arcieri(1).
La battaglia ebbe inizio il 26 febbraio del 1266, quando Manfredi
effettuò un attacco di fanteria su di un lato della collina, sempre
nei pressi del fiume Calore, riuscendo a sommergere di frecce la
fanteria francese, avendo nei ranghi numerosi e temibili arcieri
saraceni, che comunque furono scompaginati da una carica di
cavalleria avversaria.
Il resto della cavalleria di Manfredi era lungo la strada per
Benevento, ma la cavalleria francese, approfittando di
un’assottigliarsi momentaneo dello schieramento, per poter
attraversare il ponte, attaccò e iniziò una mischia talmente
furibonda che gli arcieri non potevano intervenire, in quanto non si
distingueva l’amico dal nemico.
Durante la mischia
Manfredi ordinò alle truppe di riserva di intervenire, ma molti
tradirono, fuggendo. Tra questi vi erano il conte di Molfetta e
alcuni baroni pugliesi, oltre al conte di Caserta, cognato del re.
Manfredi stesso
morì in battaglia, tanto da risultare disperso a battaglia finita al
calar della sera, quando si era ormai consumata la sconfitta totale
del suo schieramento. |
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Il suo corpo venne ritrovato tre giorni dopo
sul luogo della battaglia.
Con questa
battaglia l’Italia meridionale e la Sicilia passarono sotto il
dominio angioino.
Note:
Riccardo
I Filangieri, Signore di Gragnano, Nocera, Nusco, Satriano e
Lettere, partecipò alla battaglia sotto le insegne di re Manfredi di Svevia.
Pandolfo Dentice,
nobile del seggio di Capuana, nel
1272 riottenne da re Carlo I d’Angiò
i beni confiscati da re Manfredi, per aver partecipato con maestria d’armi alla battaglia.
Tommaso Capasso, cavaliere
di re Manfredi di Svevia, dopo la sconfitta, ebbe tutti i beni
confiscati da Carlo I d’Angiò.
Matteo d'Alena
probabilmente fu uno dei baroni (prudentemente) legittimisti, che
sostenne gli Hohenstaufen sino alla fine (1266), sicché il nasuto
francese(2)
(così dicono le cronache) dovette spogliarlo dei suoi beni per
intestarli a quei cavalieri francesi che ne avevano reso possibile
la vittoria a Benevento, secondo un orientamento tipico di quei
tempi difficili. Tuttavia, non di rado accadde che, per sedare il
malcontento sempre crescente (che in meno di 20 anni produrrà i
famosi Vespri), il d’Angiò fosse costretto politicamente a
reintegrare alcuni baroni non particolarmente compromessi con
l’antico regime. In effetti, il francese reintegrò nell’eredità del
delle Vigne
perfino alcuni beni ch’erano stati del più fidato consigliere di
Federico II di Svevia(3).
Ruggiero Sanseverino, nominato
successivamente vicario generale di Gerusalemme, per incoraggiare i
suoi militi e terrorizzare gli avversari legò alla sua arma una
maglia nemica grondante di sangue; per tale motivo Carlo I d'Angiò
gli concesse di inserire nello scudo d’argento la fascia rossa.
Don Garzia
Cavaniglia,
abilissimo comandante, che fu uno degli artefici della conquista del
Regno di Napoli da parte di Alfonso I d’Aragona,
uscendo vittorioso dalla battaglia di Benevento
e conquistando poi gran parte della provincia di Principato Ultra.
Marino
Mastrilli,
valoroso cavaliere, si distinse durante la battaglia.
Bertrando
del Balzo (~ † 1305) nel 1272 fu insignito col titolo di
conte di Avellino, quale ricompensa
per essere stato uno dei più valorosi cavalieri nel corso della
battaglia.
Bertrando e
Raimondo
Cantelmo; parteciparono valorosamente
sia alla guerra di Sicilia che e alla
battaglia di Benevento. Ebbero per ricompensa, il primo:
Cangiano, Vivaro e Rocca di Civita; il secondo: Popoli, Caramanico e
Pratola.
Simeone
del Tufo, Signore di molte terre in Aversa e barone di
Tufo, partecipò alla
battaglia.
Giovanni
Bombini fu tra i baroni che partecipò
valorosamente alla
battaglia sotto le insegne di Carlo d’Angiò.
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Note:
1) R.G. Grant Le battaglie della Storia
Milano 2006 pag. 109.
2) Carlo I d'Angiò.
3) Secondo l'autorevole opinione dell'
Avv. Roberto Celentano. |
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