Ovvero delle Famiglie Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia. 

Famiglia Florita

A cura del dr. Giuseppe Pizzuti

Arma: d'argento, al destrocherio movente dal fianco sinistro dello scudo tenente un albero fiorito al naturale, addestrato da un leone d'oro affrontato al tronco, ed accompagnato in capo da tre stelle (6) dello stesso male ordinate.
Altra: d'argento, al destrocherio movente dal fianco sinistro dello scudo tenente un giglio fiorito di un pezzo nodrito su di un monte, il tutto al naturale, accompagnato da tre stelle d'oro (5): due nel capo ed una nel fianco destro dello scudo.
Titolo: Nobile di Spezzano Grande.
Patroni: San Francesco d'Assisi, San Francesco di Paola.


Stemma Florita

La famiglia Florita godette la nobiltà in Spezzano Grande (poi comune di Spezzano della Sila) in Calabria Citra (oggi provincia di Cosenza), con le famiglie: Amantea, Barrese, Casole, Castiglione, Cava (o de La Cava), Cosentino, Dattilo, De Marco, Giudicessa, Granata, Monaco, Palmieri, Pantusa, Puglisi, Salerno, Scarnati, Valente.
Artusio Florita nel 1455 si fece dottore in legge.
Sigismondo, già nel 1559, era possessore di molte terre, boschi e casa.
Orazio, figlio di Sigismondo, ha avuto come figli: Bernardino, Giovan Battista, Giovan Giacomo, Filippo, sacerdote, e Claudia.
Bernardino, fu avvocato dei “Poverelli in Cristo Gesù”, la nomina era di competenza esclusiva del re e la sua casa godeva del “diritto d'asilo” pro-tempore. Da precisare che: i “Poverelli in Cristo Gesù” non erano i poveri nel senso comune, bensì i conventi, i vescovadi e le badie.
Antonio, figlio di Bernardino, sposò Belluccia Riccio di Verzino.
Giovan Battista e Giovan Giacomo, ricoprirono i più alti incarichi della magistratura del tempo, il primo fu avvocato del Demanio Regio, il secondo avvocato dei feudatari. Giovan Giacomo, essendo il terzogenito volle comunque sposarsi nel 1618 con Faustina Giuranna di Verzino, avendo disobbedito alla norma che vietava agli ultrogeniti di sposarsi, fu punito con l'sclusione della camproprietà dei beni.
Questa regola ferrea sembra essere stata più flessibile col passare del tempo; agli inizi del Settecento, nel testamento di don Giuseppe Florita si legge: “Se qualchedun dei miei figli volesse separarsi né posse disporre assolutamente della sua portione, ma ne sia padrone usufruttuario vita sua durante e poi la porzione ereditaria succeda agli altri; questo s'intende però quando morisse senza figli”.
La famiglia possedeva diverse terre in Regia Sila sin dal 1559, ne abbiamo conferma da un atto di vendita da parte di don Filippo e suo fratello Giovan Battista nel 1639 (rogito notar Scipione La Cava) a favore dei frati minimi di Spezzano Grande, consistente in terreni: culti ed inculti, pantani, pascoli, case etc., nonché altre estensioni di terreni, tra i quali le difese Agarò, Scalaretto, Fronte del Muccone, Vallone del Lacero, ed altri quozienti della difesa Pizzirillo (1).
Dalla Platea del monastero di San Francesco di Paola redatta nel 1651, “Nota delle Cappelle poste dentro la Chiesa di detto Ven. Monasterio de la Santissima Trinità di Spezzano Grande de l'Ordine di Minimi di Santo Francesco di Paula”, Filippo Fiorita (a volte negli atti si trova scritto Fiorita) era patrono della ventesima Cappella sotto il titolo di San Francesco d'Assisi. Dalla stessa Platea, nell'elenco del “Patrimonio e debitori censuari del Convento”, sono citate Persia, e Porzia.
Don Giuseppe, nel 1721 in Regia Sila risultava possessore della difesa denominata Scalzati di Fiorita.


Spezzano della Sila, portale del Santuario di San Francesco di Paola

Filippo, ebbe come figlio Marco Antonio, tutore del minore Giuseppe.
Marco Antonio, studiò lettere e successivamente si diede agli ordini sacri secolari; vendette (a suo dire) indebitamente, la difesa Jordanello a Pietro Mollo della Serra, la Sila di Culamauci, le Macchie di Marco Torchia, e le Macchie di Camigliati ai frati del convento di Spezzano Grande. A nulla valsero i reclami e gli esposti fatti nel 1739 da Filippo, Giovan Battista, Laura, ed Innocenzo, affinchè il contratto di vendita fosse dichiarato nullo. Marco Antonio aveva in possesso anche la difesa Scalzati di Fiorita.
Da un atto notarile rogato dal notaio di Spezzano Grande S. Ranieri nel 1726, appendiamo che Martino, Antonio e Francesco erano fratelli, quest'ultimo abitava nel casale della Motta di Rovito.
Da un atto notarile rogato del 1726 dal notaio S. Ranieri di Spezzano Grande, e citato Giovanni Fiorita, sposato a Rosa Puglise, figlia di Giuseppe e di Delia Scarnato.
Da un altro atto rogato nel 1739 dallo stesso notaio, sono citati: Gennaro Fiorita e Teresa Scrivana coniugi di Spezzano Grande, e Saverio Scrivana e Rosa Fiorita coniugi di Spezzano Grande.
Nell'archivio di Stato di Napoli, volume 150 n. 237, anno 1750, esiste una petizione di Antonio Florita, testi Giovanni Pugliese e Cesare De Marco, con la quale il Florita supplica il Consigliere Fragianni, delegato della giurisdizione, protestando contro un preteso falso commesso dal reverendo don Antonio Magliari, notaio apostolico. Quest'ultimo avrebbe affermato il falso in un testamento dal quale veniva escluso il Florita, erede naturale della moglie donna Antonia Rossi di Torzano (oggi Borgo Partenope, frazione di Cosenza); a nulla valsero le suppliche ed i reclami.
Ultimo discendente della famiglia presente in Spezzano Grande fu Orazio, decurione nel 1810, e successivamente Sindaco del comune nel 1812; sposò donna Anna Quintieri, figlia di Giuseppe, di Corigliano Calabro, fu professore nel Collegio di Bologna.
Altra proprietà della famiglia era indicata come Saracinella nella Sila Badiale, ma il possesso di questa nel 1850 veniva contestato dagli eredi Florita di Corigliano.
La famiglia ha continuato a fiorire in: Paola, Roma, Milano, Firenze, Busto Arsizio.

Altri personaggi che diedero lustro alla famiglia

Marcello, notaio in Spezzano Grande, come risulta da un atto rogato nel 1580. Di seguito riportiamo il signum” manoscritto(2).


Notaio Marcello Florita

Tommaso, notaio, nel 1580 rogò l'istrumento con il quale Tiberia de Mercuri donò al Convento di San Francesco un terreno denominato Feraudo.
Nel 1587, in un rogito del notar Angelo de Paola di Cosenza, viene citato Giovanni Tommaso Florita.
Antonio e Domenico, sono citati in un atto notarile rogato il 7 agosto 1712 dal notaio Filippo Giannotti di Macchisi.
Cavaliere Giorgio, vissuto nel Novecento, fu questore, pubblicò diversi volumi.

Pubblicazioni del Cavaliere Giorgio Florita

Altre famiglie con le quali si unirono in matrimonio furono: Giannice di Acri, Lupinacci di Figline, Mazzei di Iotta di Pedace.
La famiglia possedeva una casa palaziata, come risulta da catasto onciario del 1743, e nel catasto del 1813, ed era considerata di 1^ categoria. Passò poi alla famiglia Bonifacio e da questa ai fratelli Lecce. 

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Note:
(1) - Con l'editto di re Roberto d'Angiò del 24 dicembre 1333 tutta la Sila era demanio della Regia Corte; in essa in virtù di diverse leggi successive e specialmente era vietato ai privati di far difese (recintare delle estensioni di terreno per far pascolare le mandrie o seminarvi). Di frequente, i privati occupavano il demanio ed il Fisco agiva attraverso l'istanza fiscale presso la Regia Camera della Summaria contro gli occupanti. Alcuni proponevano delle transazioni al Fisco per le estensioni occupate, ma, doveva seguire la transazione col Fisco per esserne legittimati nel possesso.
Molti furono i contenziosi attraverso i secoli, basti pensare che non vi era ancora il catasto, il primo rilevamento fiscale lo fece effettuare Carlo di Borbone
nel 1742 e prese il nome di “Catasto Onciario” (perchè la rivalutazione del reddito veniva fatta in Oncia, che era l'unità di misura di peso e di massa prima dell'introduzione del sistema metrico decimale e nei tempi antichi unità monetaria); questo rilevamento (o censimento) aveva dei grossi limiti in quanto era compilato sulla base delle dichiarazioni dei singoli proprietari e non sulla base di un accertamento eseguito dai funzionari pubblici, per cui gli sconfinamenti erano all'ordine del giorno.
(2)
- “Il “signum” manoscritto, particolare e di elezione personale di ciascun notaio, ha certamente origine molto lontana nei tempi, contemporanea forse alla stessa origine della professione notarile, e garantiva l'identità del notaio rogante e l'autenticità del rogito, come oggi il sigillo ufficiale dei notai. Nel Regno di Napoli il “segno” manoscritto venne abolito e sostituito da un'impronta in metallo recante il nome, il luogo e la provincia di appartenenza del notaio, in forza del Decreto 3 gennaio 1809, n° 268, di Re Gioacchino Napoleone, che stabiliva il nuovo Regolamento notarile. Altro Decreto del 3 settembre 1810, n° 729, stabiliva al 15 settembre 1810 l'entrata in pieno vigore del Regolamento notarile di cui al precedente decreto”. Vincenzo Maria Egidi “SIGNA TABELLIONUM EX ARCHIVIO PUBLICO COSENTINO, TESTO-TAVOLE-INDICI, FONTI E STUDI DEL Corpus membranarum italicarum”, vol.V, Direttore Antonino Lombardo, Il Centro di Ricerca Editore, Roma-1970, pp. 12, 65-66, tav. LXXVIII, n. 644.
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Fonti:
- Peppino Via, Luigi Palmieri, “Spezzano Grande, storia, folklore e nobiltà”, Edizioni Orizzonti Meridionali 1994.
-
Stato della Regia Sila, sotto la delegazione dell'Illustre giudice della Gran Corte della Vicaria Giuseppe Zurlo, compilato dal Giureconsulto Carlo Romeo direttore dello stato del sacro patrimonio nell'anno 1790, Volume I, Napoli, stamperia governativa 1866.
- Gaetano Montefuscoli,“Imprese ovvero stemme delle famiglie italiane”.
- Domenico Puntillo, Cinzia Citraro, “Historia Brutiorum - Bernardino
Bombini”, Edizioni Prometeo, Castrovillari 2015.


Continua sul sesto volume in preparazione di "LA STORIA DIETRO GLI SCUDI"

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