La
nobile, non meno antica Famiglia de Quaranta per il corso di molti
secoli, e per avere più volte (benchè in poca distanza) mutata la
sua abitazione fece perdita di gra parte delle sue antiche memorie,
e quasi che ha smarrita la sua primiera origine, a segno che di
questa non si ne fusse conservata una continua fama trasmessa fra i
discendenti e qualche notizia in alcune antiche scritture osservata
da curiosi di antichità e di quelle qualche d’una non si ne
ritrovasse registrata ne Reali Archivi, rimarrebbe affatto oscurata
la memoria dell’origine, e poco chiaro lo splendore dell’antica
nobiltà.
Fu questa disavventura fatale ad altre Famiglie nobili di pari
antichità et a quelle vie più gli di cui discendenti poco curiosi di
conservare l’antiche notizie de lor maggiori, giudicando bastargli
il solo operare da Nobili, e che in questo solamente la vera Nobiltà
sia riposta.
In quanto all’origine dunque di questa Famiglia dicesi averla avuta
intorno all’anno millesimo di nostra Salute da un Salernitano
Nobile, di cui rimane sconosciuto il nome (manoscritto del S. Carlo
de Lellis, come, per sua fe denotamenti del P. M. Prignano Reg.e folio
254 a t.o.1. Attestazione e fede del Signor D. Giovan Batt. d’Afflitto)
certo è però che fosse molto caro a Guaimario IV Principe di Salerno
di tal nome, dal quale fu posto con grande armata alla guardia di
una porta della Città assediata dai Saraceni.
A questo vennero un giorno quaranta Pellegrini, i quali dicevano
ritornare da terra Santa, e desideravano essere ammessi nella Città,
per provvedersi d’armi e cavalli, poichè essendo esercitati nella
militia, avean disegno far prova delle loro forze contro di quei
perfidi Saraceni, sperando che il Signor Giesù Cristo avrebbe loro
data vittoria (Chron.cass.lib.2 f.35). Non pareva sicuro in tempi
così gelosi introdurre nella Città gente sconosciuta, tuttavia
considerando quel Nobile le circostanze, non ebbe sospetto
d’inganno, perché vedevagli pochi e disarmati e dicendogli essere
Cristiani e Normanni si persuase che non mentissero anzi per
l’idioma latino nel quale favellavano, come per la bellezza delle
sembiante e lunga capigliatura, contrasegni purtroppo manifesti di
quella
Nazione. Fattone dunque consapevole il Principe gli introdusse
nella Città e nella propria casa lor diede cortese ricetto e comodo
albergo, poi condussegli al Principe, il quale ammirando le generose
offerte di quei Pellegrini, subito fece apprestare armi e cavalli,
dei quali si fornirono a loro voglia.
Sortirono il giorno appresso con tal bravura che avendone stesi sul
campo quanti incontrarono, posero il resto in fuga, e fu si grande
la strage fatta da pochi, che il Re dei Saraceni non volle aspettare
il secondo assalto, ma la seguente notte sciolse l’assedio, e
partissi con tutti i suoi con meraviglia e giubilo dei Salernitani.
Il Principe sopra modo lieto di si grande avventura si pose in
cuore, non pure di rimunerare il prodigioso valore di quei quaranta
guerrieri, m’anco al lettargli con promesse di grandiosi stipendi
purchè rimanessero al suo soldo, presentogli dunque di ricchi e
preziosi doni, et offerendogli per l’avvenire cose maggiori, gli
pregò che si restassero alla difesa del suo Principato, ma quelli
avendogli rese le grazie della sua munificenza rifiutarono i doni e
le promesse, dicendo essersi impiegati in quella fattione per sol
amore di Cristo e difesa di sua santa fede, e che i loro domestici
affari non permettevano si trattenessero al suo servigio, poichè
mancando molto tempo dalle proprie case erano costretti a
ripartirsi.
Onde lasciando sconsolato il Principe partirono da Salerno per la
Normannia, ma se partirono i Normanni non si partì dal cuore del
Principe il desiderio dì averne al suo soldo almeno altri di quella
bellicosa nazione, che però giunti con essi mandò alcuni dei suoi
con ricchi doni, aggiuntevi quelle cose di maggiori delizie, che in
quei paesi nascono, per allettargli a venirvi.
Intanto ricordandosi che della libertà della patria fu principale
cagione quello nobile che introdotti aveva quei quaranta normanni ed
albergatigli in casa nel vederlo comparire in corte gioiva,
chiamandolo il Cavaliere delli quaranta con quale agnome ad esempio
del Principe il nominavano anche gli altri, ed egli recando ciò a
non poca gioia, godeva di quello agnome, che poi rimase alla di lui
posterità per cognome.
Rimunerò anche il Principe i suoi servigi donandogli alcuni poderi
fuori della Città di Salerno in quello luogo che ora dicesi
Fossalupara, situato fra essa Città ed il castello di S.Adjutore,
fortezza molto considerevole in quel tempo per essere come un
Baluardo per la difesa di Salerno in quella parte, poichè sotto di
essa fra la via militare prima che la nuova (la quale ora si vede)
intagliata fusse nel basso della falda del monte che viene bagnato
dal mare, e che quel Castello fusse di gran importanza raccogliersi
dalla donazione che pochi anni appresso fece al monistero della
SS.Trinità il Principe Gisolfo, figliuolo del già detto Guaimario,
poichè donati tutti i subborghi, o Ville di Salerno nella parte
occidentale incominciando dal vallone detto Gallocanta (intorno a
mezzo miglio fuori della Città) n’accettuò solamente la fortezza di
S. Adjutore, che si ritenne dicendo in quello privilegio di donazione
(Privil. Gisulfi 1058 in Archiv. SS.Trinità Cav.) exepta fortilia
tantum dicti castri per essere di gran considerazione come s’era
sperimentato gli anni addietro nelle guerre ch’ebbe il Principe
Guaimario suo padre con il Principe di Capua.
E quivi è da notarsi che quantunque il tenimento colle Ville della
parte occidentale di Salerno (le quali ora sono dette Casali della
Cava) donate dal Principe Gisolfo al ministero si distennessero
sino ai confini d’Amalfi e Lucera, a segno che detto monastero vien
detto nei privilegi antichi ed altre scriture (Idem Principiis
Gisulfi 1057 ed altri 1087, 1157, 1154) foris Civitatem Salernitanam,
nondimeno il Castello di S. Adjutore colle sue pertinenze ancorchè
fussero situate dentro di quel recinto, perch’era particolar membro
d’essa Città di Salerno sempre si legge menzionato a parte: così
confirmando il Duca Ruggiero la donazione fatta dal Principe Gisolfo
dichiarò: (Priv. Ducis Rug.) in quo tenimento Castrum S. Adjutori
situatum est, dal qual Castello promise donazione a parte
soggiungendo (ibidem) si cut in nostro speciali privilegio de
donatione de predicto Castro facienda per nos plenius declarabimus.
E quando poi tutti quei Casali divennero una terra sotto il dominio
dei Svevi Federico Imperatore II, di tal nome, nominò il Castello di
S. Adjutore, dico così spiegando i beni del monistero che ricevette
sotto la sua protezione (Priv. Fed. II. 1221 in eodem Arch.) Castrum
Cilenti cum omnibus suis casalibus et castrum santi Adjutori terrae
Cave cum suis suburbiis, e parimenti dopo che la terra della Cava
divenne città, gli Re e Regine, che succedettero il mentuarono a
parte cominciando dal Re Danislao il quale in un suo privilegio
disse (Priv. Reg. Dan.1403) Sane pro parte universitatis et hominum
Civitatis Cave et Castri Sancti Adjutorii, come anco in altri ne
tempi sussequenti, ed in molte private scritture ritrovandosi che
S.Adjutore faceva anche Sindaco a parte, il che per
essere notorio non bisogna provarlo.
In quel territorio dunque situato fra il Castello di S. Adjutore e la
città di Salerno non molto distante dalle sue mura, edificò quel
Nobile detto delli Quaranta una magnifica Casa per abitarvi nel
tempo d’estate, e la denominò Quaranta ad uso dei Salernitani e
particolarmente nobili i quali da tempi antichissimi praticarono
edificare sontuosi Edifici nelle loro Ville, imponendogli i loro
agnomi come anco sino a moderni tempi si è usato ed oggi giorno si
vede che quantunque passate in altre Famiglie o nel dominio di
Chiese pure ritengono gli antichi nomi come il Guarno, Marco-Lanno,
Grello ed altri assai.
Edificavano i Sig. Salernitani quei sontuosi Edifici nei loro poderi
non per sola grandezza d’animo ma per loro comodo, poichè vi si
ritiravano ad abitarvi l’estate con tutta la Famiglia per godere
della campagna, ed isfuggire i caldi assai noiosi dentro la Città,
il che hanno costumato di fare sino a tempi a noi vicini, e che in
quei tempi più remoti il praticassero si legge espresso nell’Anonimo
loro istorico, il quale rendendo ragione come potessero gli
Amalfitani (che non molto numerosi abitavano contro loro voglia in
Salerno) attaccarvi il fuoco, e bruciatone una parte, fuggirsene
salvi in Amalfi dice che ciò li venne fatto, perchè nella Città vi
era pochissima gente essendo il tempo d’estate, quando quasi tutti i
migliori Cittadini abitavano nelle loro Ville (Illo tempore per sua
praedia Salernitani degebant et M. Augusti eo tempore per currebat: pro
inde Amalfitani talia operarunt: (Anonimi Hist. Long. p.2 n.18).
Ora all’uso dei Salernitani, avendo il Quaranta edificata comoda
casa in quei poderi donatigli da Guaimario ivi si ritirava l’estate
per suo diporto, tanto più volentieri perché la salubrità della aere,
l’abbondanza delle acque limpide e fresche ed altre circostanze
rendevano quella Villa assai delitiosa, ma le turbolenze, che poi
avvennero in Salerno e nel Principato ressero quella stanza più
amabile, laonde gran parte dell’anno vi dimorava solamente facendosi
vedere nella Città, quando l’urgenza degli affari il necessitava a
venirvi.
Fu da Salernitani ed Amalfitani ucciso il Principe Guaimario.
Gisolfo suo figliuolo feroce di genio, per vendicare la morte
paterna divenne tiranno, poichè (come nota il citato Historico) non
pure odiava a morte gli Amalfitani, ma inferociva contra i
Salernitani medesimi, trattandogli quasi indifferentemente da
nemici, che però il Quaranta a poco a poco s’allontanò, non pure
dalla Corte ma dalla Città standosi in Villa con la sua famiglia
dove accorsero anco molti suoi affezionati, o dipendenti.
I figliuoli di lui allevati in quel delizioso luogo, poco vogliosi
divennero di abitare nella città, e tanto più perché pochi anni
appresso succedette mutazione di stato, poichè sebbene Gisolfo diede
Sichelgaita sua sorella per moglie a Roberto il Guiscardo l’anno
1058 (Malaterra, lib.1 n.30) non di meno pochi anni appresso gli
divenne fiero nemico e dimostrò odio sì grande a tutta la nazione
normanna, che malmenava quanti gli ne capitavano nelle mani,
perlochè, il Duca Robertio l’anno 1073 pose l’assedio a Salerno, che
se gli rese per la fame (Id.lib.III n.2) ed avvenga che niun male
facesse al cognato Principe nella persona, lo spogliò non di meno
del Principato, che per sè ritenne, e dai suoi posteri passati poi
nel Conte di Sicilia, Ruggiero suo nipote, l che fatto finalmente il
primo Re di questo Regno, formò nella Sicilia la Real sede, dove
anco risedettero i suoi succesori, finchè per le ragioni di Costanza
passò il Reame nella famiglia Staufona dei duchi di svevia ed
imperatori di germania: estintosi dunque il principato dei
longobardi, e passatone il dominio in famiglia straniera,
trasferitasi la corte nella Sicilia venne a mancare la grandezza dei
nobili salernitani dei quali rari furono impiegati nei reali
servigi, e per le tante mutazioni di stato, molti si compiacquero
viver in vita privata, e quieta nelle loro Ville, dal che ne sorse
in progresso di tempo l’ingrandimento de Casali, che prima uniti in
terra sotto nome di Cava, e poi avuta la dignità di città sempre
andarono avanzandosi, nè può dubirtarsi che così come gli abitatori
furono salernitani di origine così della medesima città fussero
originari gran parte di quelle famigli nobili che vi fiorirono fra i
quali i Sig.Quaranta, che standosi nel la loro Villa ed accorrendovi
molti ad abitarvi, edificarono quivi una Chiesa dedicandola sotto il
nome dei SS. Quaranta Martiri in memoria del nome, la qual chiesa,
benchè diruta, al presente si vede essere situata nel Territorio
posseduto dal Sig. D. Placido Quaranta, che solo è quivi rimasto di
quell’Antica famiglia.
Essendosi trasferito in Napoli l’altro ramo donde discende monsignor
Arcivescovo di Amalfi, et il Dr. Aniello suo fratello, il quale solo
fa casa, come con ogni chiarezza dimostrerassi appresso.
E perché con gli esempi si facci manifesto che molte famiglie nobili
della Cava fussero salernitane antiche ed alcune di esse d’origine
longobarda se n’apportono queste poche memorie per brevità, dalle
famiglie dei Curte (de Curtis) nel 1278
Bartolomeo comprò d’Adelicia de Margerio pur di Salerno una Terra
nel luogo detto Palmentata e leggiasi la di lui geneologia così:
Bartolomeus qui dicitur de Curte filius q.m Landonis, qui fuit
filius Matheis militis, filij Landulfi filij Marii, filij Ademari
filij Adenulfi Comitis, (P.M.Prignano,Re pert.fol.90) sicchè queste
generazioni importano sopra a duecento anni, ed il primo stipite
Salernitano corrisponde verso l’anno 1050.
Appresso poi nei tempi più moderni furono dette de Cava. Dalla
famiglia Longo leggasi in Salerno nel
1136: Robertus filius q.m Landonis, qui dictus est longus emit a
Ihoanne Tramontano terram in loco Coraggiano, similmente nel 1149:
Rogata filia q.m Domini Ursonis Longi, e poi dal 1400 sono i Longhi
detti di Cava, dei quali finalmente nel 1519 Antonio e Vincenzo
ritornati ad abitare in Salerno si leggono fra nobili dei seggio di
Portanova (Ib.fol.165).
La famiglia della Monica pur della Cava
vedasi esser anco Salernitana, leggendosi nel reale archivio che
Matteo Della Monica di Salerno pretendeva sopra il jus delle foglie
che si vendevano nelle botteghe di essa città insieme con le
famiglie Comite e Guarna (1334 fol.122) a chi fu prima conceduto detto jus dal
Duca Guglielmo (Priv.origini:) il che parimenti puote osservarsi
d’altre famiglie, le quali indifferentemente or furono dette di
Salerno, ora di Cava e particolarmente della Quaranta, la quale fu
notata dal P.M. Prignano così: Quaranta de Cava seu de Salerno (P.M.Prignano
rep.3 fol.283) perché essendo anticamente i casali di Salerno e la
Cava facevano un corpo con la Città di Salerno e benchè a poco si
dimembrassero, sicchè poi quando ebbe la Cava nome di Città furono
del tutto separati, non di meno nel tempo degli Re Angioini vi era
tal dipendenza che i giudici della Cava erano fatti dal Governo di
Salerno, come il detto P.M.Prignano osservò nelli Archivi Reali
(P.M.Prignano in Arch.Real.fol.20.1519) e benchè la curiosa
osservanza di P.Prignano puote accertarne i curiosi di antichità
dovendosegli indubitata fede per essere versatissimo in simili
materie ed in faticabile nell’andare investigando le memorie Antiche
delle famiglie nobili, particolarmente di Salerno sua Patria, quali
avendo notate ne suoi zibaldoni che si conservano nel registro parte
in due volumi prima della sua morte, i quali si conservano in Roma
in Biblioteca Angelica, e vengono commentati con gran lode dal P.Abb.
Ughelli famoso scrittore del’Italia sacra (Ughelli, Italia sacra
praesertim fol.VII).
Fecero dunque dimora i Sig. Quaranta in quel luogo amati e riveriti
da tutti per essere stati gli primi che vi facessero Casa, come anco
in riguardo dell’antica Nobiltà loro, la quale non pure conservarono
sempre, ma divennero ricchi e poderosi, il che si e’ manifesto
quanto rasserenate le turbolenze di questo regno con la venuta di
Carlo I e che fermò in Napoli la residenza Reale, mentre da ogni
parte ci accorreva la nobiltà del Regno, per il desiderio di
avanzarsi nell’impiego di servigi Reali, vi andarono ancor i Sig.
Quaranta i quali furono riconosciuti per nobili, ed ammessi nei
seggi di quella Città e nel Reale Archivio si leggono l’onorate
memorie d’Angelo, Stefano, Ligoro, Venuto, Benvenuto, Sergio,
Grazio e Paulo, e che questi venissero da Cava, e non fussero
originarii Napoletani, ben puote argomentarsi dai nomi di Benvenuto
e Grazio non praticati in Napoli, ma bene in questi Paesi, come anco
nella famiglia Longo, i nomi di GiovanGentile, Ido, Raguccio,
Giosuè, Provenzano, e simili, e nella famiglia de Curtis i nomi di
Allegri, Pacifico, ed altri (Repertorio Prignano) che nel 200
udirgli davano indizio di Cavajoli; ma poco importa avessero
qualunque nome i Sig.Quaranta ritrovandosi magnifiche memorie della
Nobiltà loro, e ricchezza e che fussero cari a Regnanti et
imparticolare se ne leggono li seguenti: Angelo fu da Carlo poi
fatto Credensiero dello Sale nella Città di Napoli, ufficio che in
quei tempi davasi a nobili di seggio, come si vede leggendosi in
quella scrittura i suoi colleghi, con tale ordine Giovanni Vespolo,
Donadeo Rossi, Abbraccia Benevenuto, Giacomo Severino, Angiolo
Quaranta, Giovanni Brancaccio, Marino Rossi, Guglielmo Coppulo,
Angiolo Puderico, ed altri nobili.
Trovasi anco Angiolo avere prestati denari al Re (1246 a fol.
41.42.43) insieme con Grazio pur de’ Quaranta e nel medesimo anno
osservasi Benvenuto dell’isteso cognome con altri essere stato
collettore della Città.
Sergio vien mentovato nell’istesso Registro di Carlo I, insieme con
Giovanni Boccatorto (a. 1270), crederei che questo Sergio fusse
della Piazza di Forcella si perché nè egli, nè alcuno discendente
dei suoi si ritrova annoverato fra li signori Quaranta del seggio di
Porto, nella congiura contro dei Griffi
(della quale dirò appresso) come anco perché tra le famiglie nobili
di Forcella, che edificarono la Chiesa di S.Agostino si conta la
Famiglia Quaranta, da Cesare d’Engenio (Engenio. Napoli Sacra).
Figliuolo di Sergio fu Tomaso, di cui si ritrova memoria in un
registro del Re Ruberto(1319).
Da Tommaso nacquero Biase e Giano (1336) ed ambedue annoverati si
leggono fra i Valletti reali, essendo in uso che i giovanetti Nobili
così allettati fussero nella Corte, Biase fu anco Hostario e
familiare della Duchessa di Calabria, moglie di Carlo Illustre unico
figliuolo del Re Roberto.
Egli si casò con Gristella Severina,
dalla quale generò Antonio, Luciano, Flaminio, Iambo (Giovanni) e
Gesualda; dei primi tre ill.mi si ritrovava scrittura di
convenzione, fatta con Punzillo Isalla per alcune case; (Arch.S.Severino.Nap.
arca 2.1376) nè si legge esservi intervenuto l’ultimo Ill.mo, forse
perché era minore, non di meno egli si ritrovava menzionato con gli
altri, in una rimunerazione fatta da Carlo III, a detti cinque
figliuoli di Biase Quaranta d’annue oncie dodici d’oro, per servigi
prestati alla Corona (1383-f.158) questo Iambo (Giovanni) ultimo
figliuolo di Biase, crederei fusse quello Giovanni, il quale sotto
il Re Stanislao fu mastro nazionale (1409,ex lib.Mag.rat.) officio
maggiore de moderni Presidenti della Regia Camera, perché non pure
aver ei cura del Real patrimonio, ma per non esservi allora
Magistrato superiore, vien giudicato da molti al pari dei moderni
Regenti; e fu decretato che non potesse ottenere tal ufficio chi non
fusse nobile d’uno dei cinque seggi o dottore.
Da Iambo o Giovanni già detto nacque Aniello, il quale intervenne
con altri nobili del Seggio di Forcella nella visita fatta da Nicolò
Arcivescovo di Napoli della Chiesa di S.Maria a Piazza nel tenimento
di Forcella; dal che si conferma che questo ramo dei Sig.Quaranta
godesse in quel seggio, leggendosi così notasti i nomi di quei
Nobili, che vi intervennero; (fede del lib.in pagamento di
Not.Rug.Pezza): presenti detti nobili homini, e Venerabili de’platea
Forizilla.
In primis Mag.co Dom. Porcello de Sicula,
nobile Nardo Chianuta et nobile
Athanasio Cotugno et Domino Petro Paolo
de Sicula et nobile Anello Quaranta et nobile Ioanne de Hercules et nobile Ioannello
Corvitello et Domino Anello de Alexandro.
Molto numerosi però si ritrovano i Quaranta nel Seggio di Porto,
scorgendosi esservi stati Stefano, Ligorio, Venuto (e o Benvenuto)
Grazio e Paulo ed altri dei quali solo Stefano era morto quando gli
altri con loro figliuoli congiurarono con più di cinquanta altri
Cavalieri del medesimo seggio contro dei Griffi e loro fazione.
Di questa congiura notasi nel Real Archivio che fu dato ordine al
capitano di Napoli, che con il suo Giudice ed Attuario pigliasse
diligente informazione della congiura ordita contro il Giudice
Ligorio Griffo, ed altri di sua nazione, da molti Cavalieri del
seggio di Porto delle famiglie Alopa,
Castagnola, Ferrilla, Gennara, Quaranta ed
altre, nominandovi cinquantacinque congiurati e fra questi della
famiglia Quaranta annoverò Grazio, Nicolò, figliuolo di Ligorio; or
fulminando gli ordini Regi conto dei congiurati, furono astretti
allontanarsi dalla Città, fra i quali Nicolò figliuolo di Stefano si
ritirò nell’antica Patria, per allontanarsi da tumulti, essendo i
Griffi, non pure assai numerosi e potenti, m’anco di genio inquieti,
con quali forse non sperava di potere avere pace buona e sincera. E
poichè s’abbia qualche notizia del genio di essi Griffi è da
osservarsi nei medesimi Archivi Reali, che nel 1305 ritrovasi che,
per tumulti e brighe fur confinati in Ebuli, Armandello con altri,
Signorello, Sergio, Nicolò e Griffo dei Griffi nella città di Bari.
Quattro annui appresso quasi tutte le famiglie del seggio di Porto
congiurarono contro di tal famiglia come si è detto nè per avere il
Re proceduto con opportuni rimedii, s’estinsero i rumori, vedendosi
risorta l’inimicizia tra essi Griffi e la famiglia Castagnola, una
delle dianzi congiunte, poichè Rinaldo con gli altri ebbe briga con
Alessandro, Carmino, Andrea ed altri de Griffi, nella quale pare che
questi avessero la peggio, mentre leggesi che Paulo Castagnola,
padre di Rinaldo fece istanza ed ottenne dal Re, che in quella causa
si procedesse per via ordinaria et non ex officio,
per essere i Griffi molto potenti.
E quantunque il Re facesse da questi dar parola, e sicurtà de non
offendere i Castagnoli, pure dopo sette anni ritrovasi che i già
detti Alessandro e Carmine con altri loro fratelli ed altri uccisero
Lorenzo, fratello di Rinaldo nell’uscire da Castello Nuovo
(abitazione Reale in quel tempo) contro la data fede, perochè viene
ordinato dal Re adirato che lor fossero demolite le case e
s’esigesse la pena, ma questo non bastò ai Castagnoli, ritrovandosi
che dopo sette anni, Rinaldo con altri assalirono Carmino ed
Alessandro per vendicare la morte di Lorenzo lor fratello.
Nicolò Quaranta dunque figliuolo di Stefano forse più degli altri
intricati nella inimicizia dei Griffi, per isfuggire le brighe con
famiglia così numerosa, potente ed inquieta e quel che più era
considerabile molto al Re cara (Campanile, nella famiglia Griffa) si
risolse del tutto distaccarsi da Napoli, e fermarsi a viver vita
quieta nell’antica Patria. Era allora la Cava unita sotto il nome
di Terra, ma del tutto dismembrata da Salerno, poichè come si disse,
i suoi giudici erano fatti dal Senato Salernitano.
Il Castello di S.Adjutore (fra il quale e la Città di Salerno ed a
questa più vicina d’ogni altra era la Villa dei Quaranta) quantunque
per l’accennati motivi fusse pure unito alla Terra della Cava e
particolarmente per essere con gli altri Casali donati al Monastero
della Trinità dal Principe Gisolfo, non di meno in effetto come che
anticamente era stato Castello di Salerno più a questa Città che
alla Cava apparteneva; e se bene nel governo concorreva con essa
Tera, dimostrava non di meno l’indipendenza nel creare il suo
Sindaco a parte, come si vede dal privilegio del Re Roberto
(Privilegio Reg.Rub.1339) il che proseguì a fare per molti anni
appresso, per lo che pareva a Nicolò che standosi nella detta sua
casa, non si dimembrasse dall’antica Patria Salerno, dove si vede
che i suoi posteri abitassero imparentandosi con famiglie nobili
come dimostrerò appresso, sicchè indifferentemente fur detti de Cava
et Salerno, il che di sopra notai con l’autorità del P.M.Prignano.
Ma prima di parlare di questo Nicolò, dal quale discendono i viventi
Sig.Quaranta della Casa di Monsignor Arcivescovo di Amalfi, non devo
tra lasciare le memorie degli altri che si fermarono in Napoli dopo
l’accennata congiura contro de Griffio, vidasi dunque Grazio uno dei
congiurati essere stato persona di molta stima, poichè sei mesi
appresso non pure era per grazia del Re Roberto, ma per le sue buone
parti fu da lui destinato nel l’esazione delle collette, per la sua
Piazza di Porto, insieme con Bartolomeo
Guindazzo, Andrea Bozzuto,
Errico Marogano, Pietro
Cittolo e Pietro
Commodio e sono chiamati, in quella scrittura, sex probi viri
Civitatis Neapolis (Reg).
Nicolò figliuolo di Ligorio, ebbe per i suoi servigi provvisione di
venti once annue, remuneratorie considerabile in quei tempi dal che
puote raccorsi che non poco si faticasse in servigio del suo Re; fu
padre del 2° Ligorio, il quale nella sua prima età fu valletto della
Reale Casa (1346) da cui poi nacquero Nicolò e Giovannello, i quali
si leggono essere procuratori, Francesco loro fratello, nè altre
memorie ho letto.
Benutello o figliuolo o nipote del già detto Venuto, fu Giudice
della Balliva di Napoli, insieme con Giovanni Cotamio.
Intorno a questi tempi ritrovasi ancora Letizia moglie di Pietro
Giaquinto ed Isabella moglie di Tommaso
Macedonio.
Ritornando ora a Nicolò figliuolo di Stefano, che partì da Napoli,
egli fermò la Casa nella primiera sua patria, prese per moglie
Caterina Longo (famiglia non meno
antica che nobile, della quale uscì il Presidente Giovan Gentile ed
altre persone qualificate) dalla quale generò Andrea, Giacomo e
Ruberto.
Da Andrea nacque Matteo, da Giacomo, Giannotto e da Ruberto,
Antonello.
Questi tre cugini temendo che per lunghezza di tempo rimanesse
sconosciuta la di loro Origine da Stefano e Nicolò Cavalieri
Napoletani (giacchè così nella Cava, come altrove molti ve n’erano
dell’istesso cognome) si risolsero fondare uno jus patronato della
Famiglia, per mezzo del quale si conservasse in futuro la memoria
del’antica nobiltà loro; sicchè sempre essi ed i loro posteri
fussero conosciuti distinti dagli altri. Nel 1415 dunque Giannotto
ed Antonello a nome proprio e come procuratori di Matteo loro cugino
eressero il jus patronato, edificando dentro la Parrocchiale di
S.Nicolò in Dupino, una cappella in onore di S.Caterina,
assegnandoli convenevole entrata, conforme a quel tempo,
riserbandosi per sè e loro Successori il ius presentandi il
Cappellano.
E che fine particolare di essi fusse il distinguersi dagli altri di
tale cognome si vede chiaro perché asseriscono fondare e dotare alla
Cappella, perché vi si celebrassero messe e si pregasse per l’anime
de loro antenati, nominandogli fino a Stefano nobile dicendo: In qua
eadem cappella Ioannelius Antonellus et Matteus dispositi sunt dare
quod libet annuo, in perpèetuum, pro dicendis missis ibidem et rando
pro animabus suorum pa truum; nec non communis corum avi et ave
paternae q,m Nicolai filii Stefani Quaranta nobilis Viri civt. Neap:et
q.m Catharine de Longo Civ. Cavae (Copia fundat juris Patronat:ex
Orig:in pergam:in Curia Cav: p.D.Placidum Quaranta die 3 Jun:1630).
E’ picciolo contrassegno sarà che avesero avuto mira al separarsi e
distinguersi dagli altri, l’avere chiamati in questo contratto per
testimonij Tommaso, Martuccio, Stazio, Errico e Carluccio tutti
cognomati Quaranta, ma che alla loro famiglia niente appartenevano:
dalla quale al presente solamente vivono Monsignor Arcivescovo
d’Amalfi, il dr Aniello di lui fratello con i suoi figliuoli e D.
Placido il quale gode del jus patronato, come si dimostrerà
appresso.
Da Giovannetto nacque GiovanMatteo, da cui non apparono figliuoli,
come
raccogliesi dalla presentazione fata da Andriello e nipote di
Matteo, uno dei
primi fondatori (V.processis:Juris Patron:in Curia Ep:Cav:).
Antonello
figliuolo di Roberto fu padre di Bernardo e Bernuccio ambidue
Dottori in legge:
Bernardo e parimenti di gran valore e famoso nell’arte militare fu
armato
Cavaliere da Re Ferdinando il vecchio e diede gran saggio del suo
generoso
spirito guerriero nelli tumulti e ribellione de Baroni sollevati
contro del Re
nel principio del suo regno, poichè con due suoi figliuoli ed altri
gentiluomini della Cava dall’armi nimiche, fermandola nella fede
Reale,
impiegandovi infaticabilmente la persona e la roba in servigio del
Re suo
Signore del che questi ne fece ampia testimonianza in un suo
Privilegio (1460)
nel quale chiamandolo Cavaliere e dottore e raccontando i servigi
fatti tanto
da lui, come dai suoi figliuoli lor concedette esenzione ed immunità
non solo
dalle ordinarie collette, ma da qualsivoglia imposizione, tassa o
pagamento per
tutto il Regno, con esimergli anco da qualunque servigio personale
dovuto alla
Reale Corona.
E nel medesimo anno ritrovandosi a nome della Città della Cava
appresso il Re,
insieme con Pietro Cola Longo, Lionello
de Curte, Tommaso Gagliardo, Petrillo
della Monica, e Perosino
Giordano, ai quali benchè il Re dicesse che
dimandassero grazie essi non vollero supplicarlo di cosa alcuna,
laonde il
generoso Re non sapendo che concedere a vassalli si degni da quali
si teneva
ottimamente servito, volle che nel ritorno loro portassero alla
Città un
privilegio da lui firmato di propria mano e col suo Real suggello in
carta
bianca, (priv.in Archiv.Civ.Cavae) acciò vi scrivessero quanto
sapesser
desiderare.
Ebbe ancora Bernardo dal medesimo Re privilegio di poter estrarre in
ciaschedun anno dal Regno cinquanta carre di grano; (In R.Cam.Sum.ex
24 fol.18
1460) che poi del pari fusse nelle lettere eccellente il dimostrò
con essere
stato Regio Auditore nella Provincia di Terra di Bari. Fra i
figliuoli di
Bernardo ritrovasi Alessandro e nipote di esso. Bernardo che par
fusse
GiovanBernardo (così nominato in memoria dell’avo) il quale ebbe per
moglie
Geronima Cavaselice, la di cui madre fu Francesca
Ruggi, famiglie
ambidue della
primiera nobiltà di Salerno, nel seggio del Campo.
Bernuccio, l’altro figliuolo fu parimenti dottore in legge il quale
facendo
casa in Salerno si vede fra que’ nobili, poichè si ammogliò con
Polita Guardata, sorella di quel famoso letterato Masuccio ed ambidue
figlioli di
Lisio Guardato e Margarinella Mariconda (Prothocoll. Notar Iuliani
Barbarisi)
pur nobili in Salerno, e del medesimo seggio del Campo; sebbene la
Guardata era
originaria di Sorrento, dove anco oggi giorno risplende, non meno
per antica,
che chiara nobiltà: ebbe dalla Guardata Bernuccio tre figliuoli,
Colantonio,
Barnaba e Pierluigi, li quali si applicarono allo studio delle
lettere.
Il primogenito Colantonio s’impiegò nelle scienze ed in altri
esercizii degni,
il quale che fusse nobile Salernitano si legge in molte scritture
parti
colarmente nel libro de’decreti della medesima Città dell’anno 1521
nel quale
si vede chiamato ed annoverato fra nobili, (Lib.decret.1521 a fol.L,
in Arch.Civ.Sal.) che fusse nobile del seggio del Campo, come pure l’attestò
il P.M.Prignano di tutta la famiglia, nel suo primo repertorio grande, (Prign.
Rep.fol.154 T.L.) (nel quale, notando le memorie delle Famiglie nobili
scritte
sopra lo scudo dell’armi, ne’quali di tre seggi godesse e sopra lo
scudo della
famiglia Quaranta notò Quaranta del Campo) ma se ne leggono infinite
cedule di
chiamate di nobili di quel seggio, le quali nell’anno 1647 furono
bruciate dal
popolo con altre scritture pubbliche e private in quelli tumulti e
sollevazioni
popolari, non di meno molti nobili di fede degni del me desimo
seggio del
Campo, i quali prima avevano veduto e lette esse cedule attestano
avervi
osservato il nome di Colantonio Quaranta: (fede del degn.Archidia.no
Granito e
del Sig.Giulio Ruggi e del Sig.D.Giuseppe
Astiopica) e finalmente si
legge
espresso in una lite del benefico di S.Maria d’Alimonda agitata da
Colantonio
ed il Canonico Antonio suo figliuolo contro quelli della famiglia
Solimena, nel
qual processo in più luoghi sono dette ambedue queste famiglie
Quaranta e
Solimena nobili dell’istesso seggio del Campo: (Proc.Oriig.in Curia
Arch.
Salernitana) fu Colantonio per la sua Nobiltà e virtù carissimo al
Principe
Antonello Sanseverino, dal quale egli ebbe in dono quella parte
delle voci di
detto jus patronato di S.a Maria d’Alimonda alla sua corte ricaduta,
(ex codem
proc.) e ne ricevette favori ricordandosene anche nell’ultimo
testamento che
fece morendo in Sinigallia;
(ex test.privato 1498) prese per moglie D.Colantonio Giovannella della Queva
nobilissima Spagnuola (la cui sorella si maritò con Carlo Grillo
nobile del
medesimo seggio del Campo) dalla quale Giovannella generò Antonio
che fu Abate
e Canonico della Cattedrale di Salerno (ex eodem proceso) e una
figliuola
chiamata Fenicita; rimasto vedovo si ricasò con Chiarella della
Porta
Salernitana, la di cui nobiltà basti solo ad accennare che il
Principe Gisolfo
chiamò suoi parenti Gaiferio ed Alberto della Porta; e da questi
discese quel
Eufranone Vice Re di Sicilia e chiarissimo per altre dignità (Id.f.139
ibid) la
cui sorella Regale fu moglie di Giacomo Sanseverino Conte di
Tricarico, edificò la Chiesa di S.Maria della Porta dei Padri Domenicani in
Salerno l’anno
1275 come frontespizio di essa chiesa si legge.
Da lei ebbe Colantonio GiovanVincenzo e GiovanRoberto dei quali
appare
successione.
Barnaba attese allo studio delle leggi ed ottenuto il grado di
Dottore
ritrovasi essere stato Giudice e Luogotenente Generale di S.Pietro
Cerviglione,
(in Cancel:fol.32.1503) dove ratificò una rinuncia fatta da Nicola
suo figliuolo già detto nobile di Salerno. (Scritt.Orig.).
Pierluigi,
l’altro fratello
fu molto caro al Cardinale Giovanni d’Aragona, figliuolo del Re
Ferdinando ed
Arcivescovo di Salerno, di cui fu familiare e commensale (In Regis.3.Card.Arag.
fol.270 in Arch.SS.T.Cav.) ritrovasi anco di esso memoria in una
scrittura
fatta dal suddetto GiovanBernardo a Francesca Ruggi sua suocera. (inst.in
proc.appo il Sig.D.Giulio Ruggi). Ritornando alla serie della diretta
dicendenza da
Stefano e Nicolò suo figliuolo Cavalieri Napoletani detti sopra,
d’Andrea
figliuolo di Nicolò nacque Matteo (del jus patronato della famiglia
uno de’fondatori) il quale fu padre d’Andriello (ex proc.Jus patron.) e di
questi
furono figliuoli Ferdinando, GiovanFilippo, Giacomo, Marco e Simone,
de’quali
quattro ultimi fratelli si legge altro che i loro nudi nomi nel
processo del
Jus padronato.
Ma Ferdinando il primogenito fu uomo di gran valore, come pure per
la perizia
delle lettere, nelle quali s’impiegò sin dalla prima gioventù, ma
per la sua
gran capacità ed attitudine che dimostrò ne politici affari,
accoppiandovi un’assidua infaticabilità d’ingegno e della persona, per lo che fu
molto caro al
Re Ferdinando il vecchio, e ad Alfonso suo primogenito, come chiaro
si scorge
da 29 lettere regali a lui scritte per affari importanti della
Corona, (Lett.Origini.appo D.Placido Quaranta) (in quelle chiamandolo il Re Nobile
Familiare,
Fedele, Togato, Cancelliere e Commissario Regio) leggesi parimente
essere
mandato in Otranto, e terra di Bari per negozi importanti, con ordine
che come
Ministro Regio, per tutto fusse ben ricevuto, e nella Reg.Camera si
vede
esserli stati pagati denari per sua provvisione, (Arch.R.C.Sum.1481
fede dell’Arch.Toppi) fu poi mandato fuori del Regno, e prima nell’Avellina
coll’Ambasciatore del Duca di Ferrara; indi alla Morea ed a tal fine dal
Re li
furono pagati denari (ex lib. Te saur.8 fol.88 e 230) appresso fu
impiegato
dal Re in diverse Ambasciate in Italia, come ad Innocenzio VIII
Sommo
Pontefice, al Duca di Milano ed alli Sig.Gonzaghi per affari
importanti: ed in
particolare osservasi in esse lettere che col titolo di Commissario
gli fu
imposto d’assistere in alcuni maneggi, che ricercavano grande
accortezza e
fedeltà, come appresso il Sig.Virginio Orsino Capitano dell’armi
Regali nella
Marca e luoghi convicini, in tempi assai gelosi, poichè il Re
quantunque
professasse ossequio al Pontefice non di meno giudicava bene in
sergreto
favorire quei sudditi alla Chiesa poco ubbidienti per suoi interessi
ed in molte
occasioni gli scrisse con tale confidenza, che ben si potè scorgere
che il
Quaranta aveva la midolla de’sentimenti Reali, quanrunque l’Orsino
avesse il
comando dell’armi, particolarmente ne’movimenti degli Aquilani, e
fazioni degli
Anolani, scrivendo il Re prima a lui, e con maggior confidenza, che
all’Orsino
così parimenti gli scoprì gli intimi suoi sentimenti intorno al dar
aiuto a
Senati e condotto a Padiglioni bene spesso a sè li chiamava per
comunicarli a
voce cose importanti, che non giudicava fidarle allo scritto:
davagli il Re per
suoi servigi provvisione ordinaria (fede di Toppi.Artch.della
R.C.S.ria 1488)
ed oltre a ciò gli aveva conceduta la Mastrodattia di Foggia e della
Cava, con
potestà di esercitarla per mezzo di persona da lui sostituita (Priv.Orig.
1469)
ed il Cardinal d’Aragona Commendatore della Corte Eclesiastica della
Cava vi
aggiunse la Mastrodattia di quella Chiesa, sicchè veniva a godere
esso Quaranta
gli emolumenti dell’Ecclesiastico e temporale in essa Città: non v’è
dubbio che
più altamente sarebbe stato remunerato se i tempi calamitosi della
Reale Casa d’Aragona non avessero troncato ogni speranza.
Morto il Re Ferdinando
par che
avesse a cuore di farlo Alfonso II suo figliuolo il quale essendogli
affezionato quando era solo Duca di Calabria, dopo che fu coronato
nel Regno
paterno s’avvalse di lui mandarlo suo Ambasciatore al Re di Tunisi
(e per
quanto può penetrarsi) perché insinuasse al Turco, quanto temer
dovesse di
Carlo VIII Re di Francia incamminato al conquisto del Regno di
Napoli, ed in
questa Ambasciata seppe così bene adoperarsi Ferdinando che
(aggiuntavi d’altra
parte le richieste del Papa Alessandro VI) il gran Signore mandò a’
Veneziani
un suo Ambasciatore, minacciandogli di guerra se non si dichiaravano
contro il
Francese, come pur finalmente ferono collegandosi con il Papa, con
il Re dei
Romani e di Spagna e Duca di Milano perlochè fu costretto
ritornarsene in
Francia (Argentone libro 3,C.15) quantunque standosi in questi
maneggi di lega,
senza ritrovare chi gli facesse minima resistenza quel giovanetto Re
s’impadronì del Regno, essendosene fuggito Alfonso in Sicilia, ed
all’arrivo di
Carlo, anche il Re Ferdinando suo figliuolo, che egli l’aveva fatto
coronare in
queste turbolenze: Ferdinando quantunque fusse aragonese, non fece
perdita
delle cose che aveva perché il Francese vedendo stabilito nel Regno
di nuovo
acquisto, con rendersi affezionati i vassalli concedette un
privilegio generale
che ognuno fusse mantenuto nel suo possesso (l’istesso Argentone
nelle sue
Memoerie, libro 5 cap.14) avendo solamente nel principio a pochi
tolto gli
stati loro ma in generale a sudditi fate assaissime grazie e tolte
molte
gravezze.
In virtù, dunque di quella mastrodattia e gli ne fu spedito nuovo
privilegio
dal nuovo Re Francese, (Priv.Car.VIII Copia orig.apud D.Palcidum
Quaranta) come
anco in riguardo della Mastrodattia di Foggia gli ne fu spedito un
altro da
Guglielmo di Villanova fatto nuovo Conte di Foggia;(op.D.Plac. Quaranta) ritrovasi poi memoria di Ferdinando di avere
presentato
il juspatronale della famiglia, il Cappellano delle due voci che
egli aveva
furono di lui figliuoli GiovanTommaso, Benedetto e D.Placido
Sacerdote (sic).
GiovanTommaso fu familiare della Regina Giovanna vedova di Re
Ferdinando, e
Sig.della Cava, dalla quale gli furono confirmate le già dette
Mastrodattie,
rinunciategli da suo padre, (1515)(pri.apud.D.Placidum Quaranta) le
quali anco
le confirmò il Re Cattolico (priv.1515) a cui già era pervenuto il
Regno.
Da GiovanTomaso nacque Giulio dottore di legge, che si ritrova
essere stato
Giudice Regio nella terra di Stilo in Calabria, (1566) dove morì,
avendo
lasciato un altro GiovanTommaso, il quale fu padre di D.Matteo e
D.Placido
sacerdote, e questi fu ultimamente presentato il juspatronato da
Fulvio Carmino
Saluto ed Angiolo suoi fratelli quali tutti sono morti, senza
lasciar prole
maschile. Benedetto, l’altro figliuolo di Ferdinando si legge in d.o
processo
del Juspatronato dicendo sui essere presentato da lui per proc.re
alla d.a
Cappella Marino figliuolo ed erede di esso Benedetto figliuolo di
Ferdinando,
(ex eodem processo) ritrovandosi Benedetto ben agiato di beni di
fortuna e
stimando a suoi generosi disegni angusta la città di Cava, si
illegibile.
Risolse ripassare in Napoli da dove erano venuti gli antenati suoi e
fermarvi
la Casa.
Comprò dunque un palazzo nel quartiere di Montagna nel Vico Sopra il
Pozzo
Bianco, il quale dell’antica abitazione e qualità della famiglia,
sin oggi
giorno dicesi il vicolo delli Quaranta, la quale casa sinora da suoi
discendenti, che sempre hanno vissuto nobilmente, e sfuggito di
esercitare
uffici populari per non pregiudicare alla nobiltà loro. Marco
nacque da
Benedetto.
Anco Marino nacque da Benedetto, ed impiegatosi sin da fanciullo
nello studio
delle leggi divenne famoso avvocato ne’Regi tribunali, accoppiando
alla sua
eminente dottrina una notabile integrità di vita, del che ne fa
testimonio
Stefano, suo figliuolo, che nella somma del Bullario da lui
composta,
apportando un testo di Bartolo così aggiunse: ubi excellens Marinus
Quaranta
pater meus consultus et advocatus nemini secundus vita et doctrina
conspicuuus
in eius dictis per Bartulum multa addidit. Ebbe Marino per moglie
Prudenzia Gagliarda di quello stipite donde discese Muzio Cavaliere di Malta
(Fede della
Città di Cava) il quale eresse quale magnifico elogio nella Cappella
di sua
famiglia dentro la chiesa di S. Maria della Nova in Napoli, ne’ quali
vengono
spiegate in parte le glorie e dignità de’suoi maggiori.
Dalla Gagliarda generò Marino Claudio e Stefano, questo divenuto
uomo di
chiesa, fu canonico della Cattedrale di Napoli ed essendo famoso
giuriconsulto
fu da tutti ammirato e stimato; compose la somma dello Bullariio
opera che va
per mano delli leggisti, nella quale oltre della fatiga dei autori
vi si
conosce la sua gran dottrina nelle sue erudite annotazioni ed
addizioni, con
quali diede saggio in parte del suo gran talento del suo raro
ingegno.
Claudio l’altro figliuolo di Marino fu pure dotore in legge e si
casò con
Caterina de Rosa, sorella di Theodoro (che fu giudice di Capova) e
zia paterna
di Giuseppe R. o C.re persona di rara bontà e dottrina a tutti nota
ed anco di
Tomaso Vescovo di S.Angelo e Bisaccia, la quale famiglia fu sempre
cospicua e
nobile nella Città della Cava e potesi scorgere particolarmente da
un antico
Juspatronato di più di duecento anni di essa famiglia, nel quale
furono detti
nobili, nè vi mancarono uomini guerrieri, de’quali molti ancora
vivono con
carichi militari.
Ebbe dalla detta moglie Claudio, Stefano, Gennaro e Aniello.
Stefano nella
sua prima età fu chiamato da Dio a servirlo nella Religione dei
Teatini e quivi
del pari avendo appreso purità di vita e lettere umane, divenne
perciò a tutti
riguardevole e vien celebrato dal P.Ughelli con tale elogio (Italia
Sacra t.VII
in Arch.Amalf.): Illumanarum divinarumque rerum summis viris
comparandus.
Egli nello stato privato di religione, sin dalla prima gioventù,
diede
gran saggio, poichè fu lettore di Teologia in Napoli ed in Roma e
della
Congregazione de Propaganda in Napoli, ancora Consultore del S.o
Ufficio e
consultore della Sacra Congregazione dei Riti; laonde avendo avuto
largo campo
di manifestare il suo gran talento nel fior degli anni suoi, in età
che non
passava i quaranta anni rese adorna la sua Famiglia Quaranta colla
dignità dell’Arcivescovado di Amalfi, conferitogli di proprio moto dal Pontefice
Innocenzio
X, qual si fusse il suo zelo nel primo ingresso verso della sua
chiesa, da lui
adornata con rifare anco il Palazzo, con abbellirlo di quanto vi
faceva
bisogno, vien attestato da quel Elogio, che due anni appresso gli fu
eretto
dalle dignità e Canonici di Amalfi (cosa rara ne’prima praticata da
quel R.
Capitolo) ed avendo poi sopra altri venti anni proseguito dirigere
quella
Chiesa, con pari zelo, e bontà si rendè ad ogni stato di persona non
meno
amabile e riverito.
Gennaro fu Canonico della cattedrale di Napoli, e Vicario delle
Monache di
essa Città, ufficio difficile e di gran confidenza solito darsi
dagli
Arcivescovi a persone di sperimentato merito e valore, si conobbe la
di lui
prudenza nelle passate sollevazioni e tumulti popolani, quando il
tutto andando
sossopra non succedette però in tali Monasteri di Monache minimo
inconveniente
del che gli rese grazie il Sig. don Giovanni d’Austria, come anco per
gli altri
servigi fatti alla Corona (lett.di d.Giov.Orig.).
Aniello solo fa
casa in
tutta questa nobil famiglia, della quale è rimasto unico ceppo, egli
nella
prima gioventù prese il grado di dottore in leggi, si casò con
D. Ippolita
Mascambruno, famiglia tanto antica e nobile di Benevento, che stimò
soverchio
dirne altro, bastando solo averla nominata. Da questa Signora abbe
quattro
figliuoli, Domenico Dottor in legge, don Stefano Maria, teatino,
Tommaso e
Giovan Battista pur dottori in leggi, i quali così come sono giovani
che danno
di loro alte speranze, così daranno altra materia a’posteri d’accrescere
lodi a
così Nobile ed Antica Famiglia.
Usa la Nobil Famiglia Quaranta per arma:
una fascia vermiglia in campo d’oro,e dentro di essa fascia vermiglia
quattro numeri di dieci,
in questa forma,
con corona sopra tre stelle,
tre monti e vipera.
In memoria dell’Antica origine di Quaranta.
Anno Domini 1660.
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