Ovvero delle Famiglie Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia. 

Famiglia Iazeolla

da uno studio di Ermanno Iazeolla - Parte Seconda

 

Carlo terzo - Il Marchese rivoluzionario

 

Carlo III, figlio di Urbano I e di donna Lucia Tardioli di Sant'Elia, nacque a San Giorgio la Molara il 4 aprile 1747 in fin di vita e fu immediatamente battezzato. Studiò giurisprudenza a Napoli seguendo le affollatissime lezioni di economia e di mercantilismo di Antonio Genovesi e di Gaetano Filangieri del quale fece proprie le idee illuministiche.
Alla morte dello zio Gerolamo Iazeolla avvenuta nel 1760 si trovò a gestire da solo l'immenso patrimonio del padre, lo fece con impegno e ambizione portando in pochi anni la famiglia ad un invidiabile livello sociale ed economico.
A soli 24 anni ottenne con Decreto Reale del 1722 di far parte di quella ristrettissima cerchia dei monopolisti dello "Jus prohibendi" delle carte da gioco; monopolio riservato a pochi e selezionati personaggi scelti fra i nobili e i borghesi di posizione sociale elevata
(1) tra i quali figurano il principe Capece Minutolo, il duca di Sangro, il marchese Caracciolo.

Nell'elenco dei monopolisti risultano anche i Cito, i Garzilli, Il Banco del Monte di Pietà e quello della SS. Annunziata.
La partecipazione economica al monopolio delle carte da gioco durò per 34 anni dal 1722 al 1806, anno di abolizione di questo privilegio; Carlo creò un'organizzazione capillare di posti di blocco per il controllo e l'esazione dei diritti sulla vendita delle carte da gioco. Oltre a percettori, cassieri e scritturali per ciascun posto doganale o sbarra, dovette assoldare guardie del corpo e soldati. Si serviva dei suoi soldati anche per spedire la corrispondenza, come risulta da una lettera spedita al conte Domenico de Cillis in Montecalvo "...il latore passa co' soldati coll'estratto generale...".

Nei suoi frequenti viaggi a Napoli e in provincia la sua carrozza era sempre scortata da militi a cavallo; tra le sue molteplici attività c'era anche quella dell'amministrazione del feudo di Montefalcone Valfortore
Nel novembre del 1772 Carlo sposò Maria Gioconda Spicciati Riccardi, figlia del barone Federico e di Anna dei marchesi Frangipane di Mirabello; un antenato della moglie, il marchese Francesco Riccardi era stato fra i maggiori arredatori delle carte da gioco nel 1653. I coniugi Iazeolla generarono 10 figli, la primogenita Rachele (1774
† ?) sposò nel 1794 il barone Nicola Massone di San Lorenzo Minore, altra figlia Maria Giuseppa (1779 1805) nel 1800 sposò Carlo Rossi del Barbazzale, barone di Grisolia, Cav. Ordine delle Due Sicilie.
Nel 1796 re Ferdinando di Borbone, per prepararsi alla guerra contro i francesi, chiese denaro ai sette Istituti di Credito della Capitale che accorpò in un unico Banco Nazionale al quale ordinò di congelare tutto il contante ivi esistente per le necessità di Corte (poi fuggirà in Sicilia con 78 casse piene di denaro); ai depositanti delle banche restarono delle Fedi di credito che non poterono essere monetizzate. Carlo Iazeolla fu uno dei pochi a non essere coinvolto nel disastro finanziario, forse anche grazie ai suggerimenti di Giuseppe Zurlo, Direttore di Finanza e suo futuro parente.
Le truppe francesi entrarono in Napoli al comandi del generale Jean E. Championnet e il
27 gennaio 1799 venne proclamata la Repubblica Napoletana; il generale designò i 25 membri del Governo provvisorio e il 25 gennaio venne eletta l'Amministrazione municipale di Napoli composta da 20 membri fra i quali vi era Carlo Iazeolla.


Gli eletti dell'Amministrazione municipale di Napoli

La città fu divisa in 6 Cantoni e furono istituiti sei Comitati, denominati: Centrale, Pubblica sussistenza, Contabilità o Finanze, Militare, Polizia e Stabilimenti pubblici. Carlo che era "uno dei primi banchieri di Napoli"(2) fece parte del Comitato delle Finanze insieme a Domenico Piatti e a Michele La Greca.
Nel mese di Febbraio il figlio Girolamo, appena ventunenne, già tenente dell'Esercito Regio, si arruolò con il conte Ettore Carafa per andare a fermare la controffensiva borbonica.
Il 13 giugno 1799 le truppe del Cardinale Fabrizio Ruffo entrarono in Napoli e il giorno 19 capitolò l'ultima resistenza in Castel Sant'Elmo; in quel giorno si dissolveva il sogno di Carlo e dei suoi due figli.
Feroce la fu la vendetta del monarca, il primo a pagare con la morte fu l'ammiraglio Francesco Caracciolo di Brienza, impiccato sulla nave inglese di Nelson il 29 giugno; seguirono le sentenze di condanna a morte con ritmo incessante, infine si aggiunsero le condanne all'esilio o al carcere.
Carlo Iazeolla venne imprigionato nel carcere di Santa Maria Apparente, dove erano stati detenuti personaggi famosi come i musicisti Cimarosa e Paisiello, lo storico Vincenzo Cuoco, il generale Gabriele Pepe, in attesa di condanna a morte: "Sono dichiarati rei di lesa maestà (e perciò degni di morte) tutti coloro che hanno occupato i primari impieghi nella sedicente repubblica"
(3).
In prigione conobbe un affarista di nome Raffaele Passaro che in cambio della somma complessiva di 21.000 ducati gli garantì la salvezza ma non il sequestro di numerosi beni; probabilmente fu lui a far scomparire il nome Iazeolla da tutti i documenti.
Tutti i componenti della famiglia si ritrovarono nel castello di San Giorgio la Molara ad eccezione di Girolamo che però era al sicuro in Francia; il destino volle che il Cardinale Ruffo, artefice delle condanne a morte, divenne feudatario di San Giorgio.
Carlo Iazeolla tenne il marchesato di Montefalcone dal 1794 al 1818 che acquistò per 72.000 ducati. Detto feudo, situato in Principato Ultra e confinante con San Giorgio la Molara, fu posseduto dai Caracciolo, dai Piccolomini, dai Loffredo; nel 1621 pervenne ad Andrea di Martino, deceduto senza figli, nel 1645 lo comprò Francesco Montefuscoli dalla Regia Corte, passò poi a Francesco de Sanctis e nel 1783 al suo erede il marchese Vincenzo Capece
(4).

Nel 1796 Carlo tentò di restaurare il vecchio castello che nel 1429 aveva ospitato re Alfonso d'Aragona, ma la sua proposta non venne accetta; fortezza che nel 1809 dovette essere abbattuta(5).
Egli consegnò il feudo nel 1812 all'Intendente di Avellino con lettera di suo pugno, ma la gestione si protrasse fino al 1818, anno della sua morte che avvenne il 21 luglio.
In ricordo del Marchese rivoluzionario lo storico Mariano d'Ayala inserì il suo nome nella lapide posta all'ingresso principale di Palazzo San Giacomo in Napoli.

Ritratto di Carlo Iazeolla, detto il Marchese rivoluzionario.
A destra: Napoli - lapide in ricordo dei fautori della Repubblica Napoletana
 

Urbano II - Il Re piccolo


Urbano II, figlio di Carlo III e di Maria Gioconda Spicciati, nacque a San Giorgio la Molara il 24 luglio 1776, nel castello di famiglia dove ebbe i primi rudimenti scolastici, circondato dall'affetto di parenti ed amici, quali il barone Massone e il magistrato Tardioli.
Nel 1789, anno della Rivoluzione Francese, il fanciullo, appena tredicenne, era a Napoli per gli studi e fu influenzato dal
nuovo movimento intellettuale, chiamato Illuminismo, coinvolge la cultura europea e sconvolge  gli assetti tradizionali della società. Frequentò i club che nacquero in città nel 1792 e fu tra i primi a tagliare il codino dei capelli e presentarsi con la zazzerina repubblicana, in violazione alle regole, scandalizzando e rischiando punizioni. Egli ostentatamente si fece ritrarre nella seguente miniatura:

Non si sa fino a che punto Urbano fu coinvolto nelle vicende della Repubblica Napoletana del 1779, non dovette, però, subire condanne ma certamente venne schedato tra i giacobini nemici della monarchia.
Urbano era il primo figlio maschio e il padre Carlo istituì a suo favore un maggiorasco, cioè trasmise la metà dell'ingente patrimonio per la conservazione, insieme al titolo, delle sostanze di Casa Iazeolla.
Correva l'anno 1803, gli averi del padre, nonostante il durissimo colpo subito a causa della Rivoluzione, ammontavano alla cifra astronomica di 160.000 ducati.
Nell'atto stipulato in data 24 ottobre 1803 dal notaio Antonio Verdura di San Giorgio a Cremano, tra l'altro, si legge: "...la conservazione dei beni che per mezzo dei maggiorati e fedecommessi aveva da più tempo deliberato fondare e stabilire un maggiorato colla sua corrispondente dote nella somma di ducati ottantamila in beneficio del suo primogenito maschio Sig. don Urbano Iazeolla, perchè faccia matrimonio decente col consenso e piacimento di esso Sig. D. Carlo..."
Nella cessione risulta l'intero castello di San Giorgio, il feudo di Santa Sofia, il Casino di caccia a Sant'Ignazio, dieci masserie, 30 fondi, 150 libbre di argenti, brillanti, quadri, mobilio oltre a 76.000 ducati.

Con gli 80.000 ducati di patrimonio e la sicurezza sociale e politica garantita dagli Zurlo e dalla Corte di Napoli, come si dirà in seguito, Urbano Iazeolla può dirsi a pieno titolo un piccolo re; così veniva chiamato in tutto il Principato Ultra, ma anche a Napoli e nelle regioni limitrofe. Oltre mezzo secolo dopo la sua morte, il parroco di San Giorgio, il canonico D. Andrea Paradiso, nella orazione funebre letta in memorandum del parroco D. Filomeno Iazeolla, nipote di Urbano, disse testualmente: "...basti solamente ricordare Don Urbano nonno paterno dell'estinto Arciprete che per i posti che occupava nelle amministrazioni dello Stato, per le sue alte aderenze e per il fasto della vita, in molte province del Regno Napoletano, veniva chiamato il Re piccolo..."(6).

 
Il Casino di caccia a Sant'Ignazio, in una fedele ricostruzione dell'epoca del suo splendore

Urbano sposò donna Carlotta dei conti Zurlo, 25 anni, di Baranello di Campobasso, figlia di don Biase e di donna Diana Mascione. La fastosa cerimonia avvenne nel paesino molisano dove i conti Zurlo risiedevano, alla presenza di autorità del Regno di Napoli insieme al Ministro delle Finanze Giuseppe Zurlo, zio della sposa, il barone Carlo Rossi del Barbazzale, il marchese Frangipane, il barone Massone, il marchese Riccardi e gente d'alta finanza.
Urbano gestiva tutta la ricevitoria di Ariano Irpino dalla quale dipendenvano 25 comuni da Grottaminarda a Mirabello a sud, da Accadia ad Orsola ad est, da Montaguto a Casalbore a Sant'Arcangelo; nel 1815 il Comune di San Giorgio gli concesse per 920 ducati all'anno i terreni denominati "Montagna grande, Montagna piccola, Parazzetta, Macchie, Molinello, Costa delle tane, Costemarotte, Gregaglia e Mazzocca per un totale di circa tremila ettari. In enfituesi perpetua ottenne, con decreto reale e con l'autorizzazione dell'Intendente della Provincia Roberto Filangieri,  il Mulino di Tammaro, una fabbrica per per la macina del grano e per il lavaggio della lana e dei tessuti.


Il mulino di Tammaro, alla Perrazzeta, di don Urbano Iazeolla, in una ricostruzione eseguita su ciò che attualmente rimane.

Questa industria messa in efficienza dal Re piccolo ebbe un notevole successo e numerosi erano i clienti di tutti i paesi vicini. Urbano aveva un ruolo di primissimo piano grazie principalmente al suocero Biase Zurlo (1775   1835) che nel corso degli anni aveva ricoperto le seguenti cariche: Governatore Regio, Consigliere d'Intendenza (1806), Ispettore delle Contribuzioni Dirette, (1807), Commissario per i Demani ed infine Intendente del Molise (1810/22) e di Capitanata poi; carica di grande autorità che gli conferì ampi poteri di polizia, di finanza e di giustizia sotto la protezione del Governo di Napoli, dove il fratello Giuseppe era ministro dell'Interno.
Il Re piccolo ebbe dalla prima moglie Carlotta Zurlo, che morì nel 1818 a soli 40 anni, otto figli dei quali: il primogenito maschio Giovan Battista (1806 - 1859), laureatosi in architettura, divenne gesuita; Maria Teresa (1804
?) sposò il Cav. Giosuè de Agostini di Campolattaro, Gioconda (1811 ?) sposò l'On. Pasquale Napoletano di Nola, Antonio (1813 1875) impalmò Rosa Paolella, nobildonna di Castelluccio Valmaggiore, Federico (1815 1870), Avvocato.  
Urbano II nel 1821 si risposò con donna Vincenza Cautano-Bonghi, figlia di Giantommaso e di Isabella dei marchesi Frangipane, dalla quale ebbe due figli: Francesco Paolo e Filomena.
Dopo anni di quiete e di una vita brillante, iniziarono i guai per Casa Iazeolla; il Cardinale Ruffo pretese la restituzione del feudo di San Giorgio e il pagamento degli arretrati. Una serie di investimenti sbagliati portarono, in breve tempo, Urbano al crac finanziario con un debito di 121.213 ducati; gli furono confiscati molti beni e sequestrato anche un'ala del castello. Fu imprigionato nel 1834 nell'Arciconfraternita di S. Mattia del Carmine alla Concordia in Napoli, dove si fece ritrarre con un biglietto di preghiere in mano e giaccone blu bottonato d'oro.


Don Urbano II Iazeolla - Ritratto del 1834


Don Biase Zurlo, genero di Don Urbano II Iazeolla

La reclusione di Don Urbano ebbe fine nel 1835 dopo che i figli avevano soddisfatto tutti i creditori; tornò nel castello di San Giorgio dove morì nel 1853 all'età di 77 anni, circondato dai dieci figli. La sua scomparsa fisica non servirà a cancellarne la memoria che, a dispetto di tutto, resterà quella del Re piccolo, potente, leggendario, grandioso, dote quest'ultima che la sua progenie ha largamente ereditato e conserva tuttora.

 

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Note:
1) P. Pieri: Il Regno di Napoli, Arch. Stor. Prov. Napol., NS XII p. 143. - L. de Rose, Studi sugli arredamenti del Regno di Napoli, 1649/1806, pagg. 275 e 280.

2) A. Meomartini, , I Comuni della Provincia di Benevento, p. 147 S. Giorgio la Molara. - M. Rotili, Benevento e la Provincia Sannitica, p. 326.

3) V, Cuoco, Saggio storico sulla Rivoluzione Napoletana, p. 196.
4) L. Giustiniani, Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, Tomo VI, pag. 79 - 80.
5) Cosimo Nardi, Storia del feudo del Fortore - la Baronia di Montefalcone - rapporti dello Iazeolla con  Montefalcone.
6) Il tsto del manoscritto autografo è nell'archivio di Casa Iazeolla.

 

Indice delle pagine:
Famiglia Iazeolla - Parte prima

Famiglia Iazeolla - Parte seconda
Famiglia Iazeolla - Parte terza

Famiglia Iazeolla - Genealogia

 

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